I trenta leader dei paesi Nato più i rappresentati di diversi paesi ospiti si incontreranno per tre giorni a Madrid in un vertice definito «cruciale» che potrebbe portare a cambiamenti storici nell’alleanza. 

I principali temi sul tavolo dei leader sono tre: trovare una mediazione sull’Ucraina tra chi teme un’escalation e che invece vorrebbe inviare ancora più sostegno al paese. Persuadere la Turchia a non mettere il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza, senza al contempo cedere troppo al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Infine, concordare su un aumento delle spese militari degli stati membri, che porti il più alto numero di loro a raggiungere la soglia del 2 per cento del Pil in spesa per la difesa.

Che fare con l’Ucraina

La questione più pressante è la linea da adottare nei confronti dell’invasione dell’Ucraina. Fino ad oggi, l’alleanza ha mantenuto una linea sorprendentemente unitaria. Le obiezioni iniziali sull’invio di armi pesanti nel paese sono state rapidamente superate e ora le forze armate ucraine stanno ricevendo un costante flusso di armamenti basati sugli standard Nato, così da rendere più semplice in futuro il rifornimento di munizioni e parti di ricambio.

Con il passare delle settimane e poi dei mesi, l’unità di questo fronte sembra incrinarsi. Da un lato ci sono i paesi dell’Europa dell’est, come Polonia e paesi baltici, che spingono per continuare gli invii di armi e anzi, espanderli fino al punto da rendere l’esercito ucraino capace di riconquistare i territori perduti dal 24 febbraio. I più determinati esponenti di questa fazione sono per una vera e propria “punizione” della Russia: proseguire il conflitto e le sanzioni fino a mettere la Russia in condizione di non minacciare più i suoi vicini.

Dall’altro lato ci sono i paesi fondatori dell’Unione, come Germania, Francia e, con un profilo più basso, l’Italia. Questo gruppo è spaventato più dalle conseguenze economiche del conflitto che da una minaccia militare russa. La Germania, in particolare, è stata al centro dell’attenzione per la sua supposta fredezza sull’invio di armi in Ucraina. Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato spesso della necessità di «non umiliare» la Russia, mentre il governo italiano ha presentato un piano per il cessate il fuoco che congela l’attuale situazione sul fronte, una soluzione al momento inaccettabile per gli ucraini.

Fin dall’inizio dell’invasione gli Stati Uniti sono stati più vicini al blocco orientale che a quello di Germania e Francia, con il segretario di Stato Antony Blinken che alla fine dello scorso aprile parlava dell’indebolimento della Russia come uno degli obiettivi del conflitto. Ma con il progressivo peggioramento della situazione militare in Ucraina, anche nell’amministrazione americana iniziano a moltiplicarsi le voci di chi dice che la riconquista dei territori perduti è difficile, se non impossibile, e quindi presto o tardi si dovrà tornare al tavolo dei negoziati.

Che fare con la Turchia?

L’altra questione spinosa per i leader riuniti a Madrid riguarda la gestione del veto che la Turchia di Erdogan sembra pronta a mettere sull’ingresso di Svezia e Finlandia, due paesi storicamente neutrali ma che hanno deciso di chiedere ufficialmente l’ingresso nell’alleanza dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Erdogan accusa i due paesi di ospitare sul loro territorio terroristi appartenenti al Pkk, il gruppo politico-militare che da anni lotta per l’autonomia della popolazione di lingua curda che vive in Turchia e che è considerato un movimento terroristico anche da Unione europea e Stati Uniti

Svezia e Finlandia respingono le accuse e per il momento si sono rifiutati di estradare in Turchia le persone indicate dal governo di Ankara, che in quasi tutti i casi sono stati accolti come rifugiati. 

Ma l’alleanza dovrà probabilmente trovare un compromesso, poiché la Turchia, che è membro dell’alleanza dal 1952, ha il diritto di veto sull’ingresso di nuovi membri. Erdogan ha annunciato nelle ultime settimane la sua intenzione di iniziare una nuova operazione militare contro i curdi dell’Ypg della Siria settentrionale, alleati degli Stati Uniti nella lotta contro l’Isis. 

Lasciare mano libera ad Ankara con i curdi siriani potrebbe essere una delle monete di scambio per ottenere l’assenso di Erdogan. Per il momento, però, le trattative rimangono segrete. Se fino a un mese fa, tutti i principali osservatori erano convinti che la minaccia di veto turco fosse solo una strategia negoziale, oggi la situazione sembra molto più seria.

Che fare con la spesa militare?

Le linee guida della Nato impegnano i trenta stati membri a spendere almeno il 2 per cento del Pil per la difesa, ma da lungo tempo solo una minoranza rispetta questa indicazione. Al momento soltanto nove paesi su trenta superano la soglia, ed erano ancora meno prima dell’invasione russa della Crimea e del Donbass nel 2014. Tra i paesi che non raggiungono il 2 per cento ci sono Germania, Italia, Canada, Spagna e Paesi Bassi.

La nuova invasione russa del 24 febbraio ha cambiato la situazione e ora la Nato dice che 19 stati membri hanno piani per portare la spesa per la difesa sopra il 2 per cento nei prossimi anni. Il caso più celebre è quello della Germania, che con una svolta storica ha annunciato l’investimento di 100 miliardi di euro nella difesa, una cifra sufficiente a portarla ben oltre la soglia.

Ma oltre agli annunci bisognerà capire quanto di questa spesa si tradurrà concretamente in investimenti, acquisti di equipaggiamenti, programmi di addestramento e via dicendo. L’ideale sarebbe che l’aumento di speso venisse coordinato, ma con numerose industrie militari nazionali in competizione le une con le altre è difficile mettere d’accordo tutto. Inoltre è possibile che con il crescere della stanchezza per il confronto nei paesi meno minacciati dalla Russia, le promesse di aumento di spesa vengano progressivamente ridotte. Evitare che questo accade e assicurare investimenti di qualità sono tra gli obiettivi più importanti del vertice.

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