Nell’immaginario collettivo e nelle pagine dei manuali di storia contemporanea, il mese di febbraio sarà probabilmente associato a un periodo di profondi cambiamenti epocali in Europa e alle pagine più drammatiche della storia russa: dalla “rivoluzione di febbraio del 1917” e la fine della dinastia dei “Romanov” all’invasione russa in Ucraina e alla morte dei più grandi oppositori del presidente Vladimir Putin.

Non è un caso, infatti, che dopo la notizia della morte di Aleksej Navalnyj, nei mass media sia stato menzionato da giornalisti e analisti anche l’assassinio di Boris Nemtsov, ucciso il 27 febbraio del 2015, ma mai inspiegabilmente celebrato nel mondo occidentale in quest’ultimi nove anni.

Oggi, questi due nomi rappresentano l’idea di un’opposizione liberale e la presenza nella società di una “Russia alternativa” allo zar Putin, nonché il sacrificio di uomini che hanno lottato sino alla loro morte per una Russia più democratica e inclusiva.

Eppure, Navalnyj, che ha ereditato il testimone di una parte del movimentismo russo proprio da Nemtsov, aveva tutt’altro carattere, un diverso sistema di valori e la totale assenza di un’esperienza politica amministrativa.

Navalnyj è stato un outsider del sistema politico russo che ha, con grande lungimiranza, utilizzato i nuovi media per mobilitare le giovani generazioni contro il regime putiniano e ovviare all’impossibilità di avere una visibilità televisiva che il Cremlino gli ha sempre negato.

Come abbiamo ricordato in queste pagine, il percorso politico di Navalnyj è oscillato da un nazionalismo, con dichiarazioni talvolta xenofobe e razziste dei suoi primi anni di attivismo politico, per poi sposare la causa liberale dopo il 2010.

L’orientamento conservatore e nazionalista di Navalnyj è riemerso ancora nel caso dell’annessione illegale della Crimea: pur criticando la violazione del diritto internazionale in un suo tweet del 2014, Navalnyj affermava che la Crimea appartiene al suo popolo e che è «una parte naturale» della Federazione russa.

In occidente Navalnyj sarebbe stato definito un trasformista della politica e un populista con un grande carisma e una notevole capacità oratoria che ha risvegliato il popolo a lottare contro la corruzione nel Cremlino.

In una competizione elettorale libera molto probabilmente Navalnyj sarebbe diventato il presidente della Federazione russa, ma è altrettanto plausibile ritenere che per governare questo vasto paese, per la sua storia e le sue tradizioni, e per l’eredità del sistema putiniano, il blogger avrebbe dovuto ricorrere ad una sua variante della “verticale del potere”.

Difficile pensare che la Russia possa diventare una liberaldemocrazia in futuro, a prescindere da chi la governerà, ma rispetto al regime autoritario di Putin, la Russia di Navalnyj sarebbe stata maggiormente democratizzata.

Storia alternativa

E chissà come sarebbe stata la Russia di Nemtsov se solo Boris Eltsin non gli avesse preferito il giovane cekista Putin, come lui stesso ha ricordato nelle pagine del suo libro L’inafferabile Russia. Confessioni di un ribelle  (2008): «(Eltsin) era persuaso che fosse necessario un presidente che garantisse la sicurezza della sua persona».

Nemtsov non usava i social e la sua attività di governatore di Nižnij Novgorod gli aveva consentito di stare in mezzo alla gente e di ottenere buoni risultati nello sviluppo socio-economico della regione.

Uno sviluppo economico che la Russia degli anni Novanta non ha vissuto quando nel periodo 1997-1998 è stato primo vice premier del governo e ministro dell’energia e del combustibile.

A differenza di Navalnyj, Nemtsov è stato un uomo delle istituzioni che ha compreso la degenerazione del sistema durante la presidenza putiniana e non si è risparmiato nel denunciarla.

Secondo alcuni analisti russi, è proprio quest’esperienza politico-amministrativa al fianco di Eltsin che ha costituito il suo tallone d’Achille e le critiche dell’opposizione. Anche Navalny gli avrebbe detto: «Non venire per parlare ai miei comizi, rovinerai la mia immagine, sei un rudere degli anni Novanta».

Tuttavia, Nemtsov merita di essere ricordato, proprio nei giorni dell’anniversario dell’invasione russa in Ucraina, per il suo impegno come consulente del presidente Viktor Juščenko, nel 2005 e 2006 e per la lotta all’indipendenza dell’Ucraina.

Nemtsov era presente durante la rivoluzione arancione a Kiev nel novembre 2004. Nei giorni dell’EuroMaidan ha mostrato lo striscione “Ucraina, siamo con te” davanti all’ambasciata ucraina a Mosca, perché gli era stato proibito dal presente Viktor Janukovyč l’ingresso nel paese dal servizio di sicurezza ucraino, ed è stato assassinato qualche giorno prima della manifestazione del 1 marzo 2015, da lui organizzata per criticare la posizione russa in Ucraina.

Scrive Nemtsov nel suo libro: «Putin pensa sinceramente che la vittoria di Juščenko in Ucraina significhi un indebolimento della Russia. Pensa sinceramente che chi ha appoggiato Juščenko sia nemico della Russia. Quando gli dicevano che la vittoria di Juščenko era la vittoria della Russia democratica, e che la sconfitta di Janukovyč era la sconfitta della Russia burocratica e dittatoriale, non poteva, non voleva capirlo. Putin crede fermamente che gli unici in grado di difenderlo siano i burocrati. Lui stesso è un burocrate fatto e finito, e loro sono la sua base d’appoggio. E ritiene che non li si debba offendere».

Il giorno prima della sua morte, intervistato dal quotidiano Moskovsky Komsomolets, Nemtsov aveva affermato che Putin voleva intensificare la guerra, rifiutando di introdurre forze di pace dell’Onu in Ucraina e che il presidente stava «cercando questa escalation per fare evolvere quella guerra da un confronto tra il popolo russo e l’Ucraina, a un globale conflitto tra la Russia e l’odiato, maledetto e marcio Occidente».

Capacità di mobilitazione

Sebbene Nemtsov fosse diventato un politico al margine delle istituzioni, aveva ancora una grande capacità di mobilitare le persone, come del resto aveva fatto in occasione della prima guerra cecena nel 1996 quando riuscì a raccogliere un milione di firme e le aveva portate a Eltsin in un minivan per convincerlo a cessare la guerra e fargli firmare, un anno dopo, l’accordo con Aslan Maskhadov.

E probabilmente è stato proprio un mandante ceceno, Ramzan Kadyrov, oltre alla responsabilità politica del sistema di potere putiniano, ad ordinare l’uccisione di Nemtsov sul ponte Bol'šoj Moskvoreckij vicino al Cremlino nel quale ancora oggi molti russi portano un fiore al suo memoriale.

D'altronde lo aveva anticipato lui stesso in un passaggio del suo libro: «In Cecenia non c’era mai stato un presidente. Io pertanto ritenevo che, in omaggio alla tradizione cecena, si dovesse escludere il presidente, formare un parlamento e quindi un governo di compromesso fra i vari gruppi, compresi i separatisti. La sala rumoreggiò, tutti facevano baccano. (..) Quando lasciai la sala fui avvicinato da un tipo con gli occhi biancastri, l’uomo mi disse che per un discorso del genere meritavo di essere ucciso. Gli chiesi chi fosse. Lui mi esibì la tessera di tenente colonnello o colonnello dell’Fsb. Era Ramzan Kadyrov. Non posso dire di essermi spaventato molto, perché i ceceni che mi circondavano dissero subito che Ramzan aveva scherzato. Ma io nei suoi occhi non avevo visto nessuno scherzo. Nei suoi occhi avevo visto l’odio».

Nemtsov è stato il primo dissidente in loco a comprendere e denunciare la degenerazione politica della Russia e le sfrenate ambizioni di Putin, ma ha sempre sperato in un futuro migliore per la sua amata Russia, pur riconoscendone difetti endogeni di natura storica e valoriale.

Scrive nel suo testamento politico: «Non appena vi sarà una forte domanda di libertà e democrazia, non appena si capirà che il regime instaurato in questi ultimi anni significa corruzione e divario abissale tra poveri e oligarchi, nascerà un leader popolare. Non appena vi sarà domanda di verità, si chiederà anche un leader onesto. (…) La gente non è pronta a prendere con le proprie mani le redini del proprio destino. A noi russi piace credere nei miracoli. All’improvviso comparirà un nuovo leader, il popolo all’improvviso aprirà gli occhi. Ma non possiamo ignorare il contesto storico».

Parole che richiamano alla mente la conferenza di Ivan Turgenev nel 1860 su Amleto e Don Chisciotte nella quale lo scrittore russo attribuiva al protagonista dell’opera di de Cervantes l’idealtipo di un uomo che vive per estirpare le forze del male nella sua lotta contro i mulini a vento, mettendo in repentaglio la propria vita.

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