«Vladimir Vladimirovich, gli abitanti della città di Khimki ti chiedono aiuto», dice una voce di una donna fuoricampo, mentre la telecamera riprende una quindicina di persone, avvolte in pesanti vestiti e con in mano cartelli su cui si può leggere “Sos”. La donna spiega che dal 2 gennaio questa cittadina alla periferia Mosca è senza riscaldamento. Con le temperature che raggiungono regolarmente i -25 gradi, gli abitanti rischiano letteralmente di restare congelati.

Il filmato, pubblicato pochi giorni fa, ha fatto il giro dei social network russi e, soprattutto, dei media occidentali. Quello di Khmki non è l’unico caso. La combinazione di un inverno particolarmente rigido con la fatiscente infrastruttura energetica russa ha causato una serie di collassi a catena nei sistemi di riscaldamento in tutto il paese, dall’isola di Sakhalin a nord del Giappone, fino alla città di Voronezh, al confine con l’Ucraina. Per Putin, nel pieno della campagna elettorale per le scontate elezioni presidenziali del prossimo marzo, si tratta di uno dei peggiori imbarazzi da mesi a questa parte.

Parti invertite

Se non ci fossero centinaia di migliaia di persone che rischiano di restare congelate, sarebbe una situazione ironica. Un anno fa, proprio in questi giorni, gli abitanti di Kiev e delle altre principali città ucraine tremavano di freddo nelle loro case, lasciate senza energia dalla campagna di bombardamenti russi contro le infrastrutture energetiche ucraine. 

Quest’anno l’inverno si sta dimostrando molto più duro del precedente e il fiume Dnipro, che attraversa la capitale ucraina, si è quasi completamente congelato, un evento che non si verificava da diversi anni. Ma l’aviazione russa non è riuscita a replicare i “successi” ottenuti l’anno scorso – in parte a causa della maggior efficacia delle difese aeree ucraine, in parte perché i russi hanno cambiato i loro obiettivi: dalle centrali termiche alle industrie militari. Così a Kiev, i riscaldamenti funzionano regolarmente e in tutto il paese, tranne che nelle aree più vicine al fronte, uffici e abitazioni sono avvolti nel tepore che rende sopportabili i gelidi inverni del paese.

Nel frattempo, secondo il giornale russo indipendente Moscow Times, ci sono almeno 43 regioni diverse della Russia in cui il riscaldamento sta avendo problemi più o meno seri. I casi più gravi si sono verificati intorno alla capitale. Come nella cittadina di Podolsk, tre chilometri da Mosca, dove quasi 150mila persone sono rimaste per una settimana senza gas e al gelo dopo l’esplosione di una tubatura del sistema di riscaldamento. A Klimovsk, un’altra cittadina alla periferia della capitale, decine di appartamenti sono rimasti senza riscaldamento e le autorità hanno installato una gigantesca cucina da campo per consentire agli abitanti di avere almeno un pasto caldo. A Nizhny Novgorod, alcuni appartamenti sono stati allagati dall’esplosione di una tubatura. In un incidente simile avvenuto a Novosibirsk, nel cuore della Siberia, tredici persone sono rimaste ustionate dall’acqua bollente e numerosi condomini sono rimasti senza riscaldamento.

Il solito copione

In Russia, come in gran parte dell’Ucraina, il riscaldamento è quasi completamente centralizzato. L’acqua che circola nei termosifoni arriva da grandi caldaie in grado di rifornire interi isolati o, più spesso, direttamente dalle centrali termoelettriche, tramite tubature lunghe decine di chilometri. Si tratta di un sistema molto efficiente per scaldare milioni di persone in temperature che possono facilmente scendere trenta gradi sottozero, ma che richiede una manutenzione capillare.

Ma il Cremlino oggi ha altre priorità. Nella legge di bilancio per il 2024-2026, di fronte a un raddoppio delle spese militari, il budget allocato per i lavori infrastrutturali è stato più che dimezzato. Il problema però è ben più vecchio del conflitto in Ucraina. Studiosi ed esperti del settore avvertono da anni che il governo della Federazione russa non investe a sufficienza nelle sue infrastrutture, comprese quelle legate al riscaldamento. In molti casi, le tubature sono state deposte oltre mezzo secolo fa e gli ultimi lavori di manutenzione risalgono a prima della caduta dell’Unione Sovietica. 

La guerra ha comunque delle conseguenze dirette sull’attuale situazione. Riparare le tubature interrate richiede molta manodopera, ma con una disoccupazione ridotta al minimo storico, e l’esercito in competizione con l’industria militare per accaparrarsi i pochi lavoratori ancora disponibili, spesso nelle città russe manca la forza lavoro necessaria a eseguire le riparazioni.

Per il momento, Putin ha preferito non farsi coinvolgere troppo direttamente nella questione. Il suo portavoce, Dimitri Peskov, si è limitato a dire che la maggior parte degli incidenti è stata causata dal freddo insolito e che il problema delle infrastrutture non si può «risolvere in 10 o 15 anni». Per il resto, il Cremlino ha seguito il consueto copione, annunciando la nazionalizzazione della fabbrica che con le sue caldaie forniva riscaldamento alla città di Podolsk, dove si sono verificati i disagi più gravi, e l’arresto di due dirigenti dell’impianto. Nel frattempo, le tubature continuano a esplodere e migliaia di persone restano al freddo.

© Riproduzione riservata