«Gli Stati Uniti controlleranno la Striscia, anche con le truppe, se serve» ha detto Donald Trump in un annuncio che ha scioccato non solo gli stati arabi ma anche altri leader occidentali. Con il premier israeliano alla Casa Bianca i due hanno discusso soprattutto del piano di pulizia etnica nei confronti dei gazawi
L’ultima volta che Donald Trump e Benjamin Netanyahu si sono incontrati alla Casa Bianca risale al 27 gennaio 2020. Quel giorno il presidente degli Stati Uniti presentò il suo piano di pace per il Medio Oriente. Lo aveva chiamato il “Deal of the century”, un progetto però che era stato subito respinto al mittente dall’autorità palestinese.
A cinque anni di distanza lo scenario politico in Medio Oriente è rivoluzionato. Netanyahu entra alla Casa Bianca con un mandato di cattura internazionale della Corte dell’Aia per crimini di guerra, la Striscia di Gaza è completamente rasa al suolo e ci vorranno 14 anni solo per ripulirla dalle macerie, i proxies dell’Iran hanno subito duri colpi e la Siria non è più un rifugio per le milizie filoiraniane. A cinque anni di distanza tutto è cambiato ma le preoccupazioni dei palestinesi sono le stesse: le idee di Donald Trump sul futuro di Gaza. La scorsa settimana ha infatti annunciato di voler trasferire «momentaneamente» o «permanentemente» i gazawi dalla Striscia per «ripulirla». Una soluzione che preoccupa anche gli stati arabi della regione. Ma che è stata ribadita anche ieri. «Gli Stati Uniti controlleranno la Striscia, anche con le truppe, se serve» ha detto Donald Trump, assicurando che Washington si prenderà in carico la ricostruzione di Gaza e la trasformerà nella «Costa Azzurra del Medio Oriente». Trump ha annunciato la «ownership» americana sulla Striscia e ha detto che entro quattro settimane presenterà anche il suo piano per la Cisgiordania. La proposta è stata respinta fermamente dall’Arabia Saudita ma anche da altri stati arabi.
Martedì 4 i ministri degli Esteri di Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania hanno inviato una lettera al segretario di stato americano Marco Rubio per esprimere la loro contrarietà al progetto. «I palestinesi non vogliono lasciare la loro terra. Noi sosteniamo assolutamente la loro posizione. Una mossa del genere aggiungerà una nuova dimensione pericolosa al conflitto», hanno scritto nella missiva.
L’incontro con Trump e Musk
La settimana è ancora lunga. Alla Blair House dove alloggerà per tutta la settimana, Netanyahu ha incontrato l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff e il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Mike Waltz. In serata, l’incontro con il tycoon.
«Il fatto che Benjamin Netanyahu sia il primo leader straniero alla Casa Bianca dimostra che il presidente Trump continuerà a schierarsi fermamente con Israele e che è impegnato con tutto il cuore a garantire che tutti gli ostaggi ritornino a casa», ha detto la portavoce Karoline Leavitt parlando ai giornalisti.
I due hanno discusso dei negoziati per la seconda fase della tregua, gestiti ancora una volta dal Qatar. A Doha le delegazioni di Hamas e Israele si sono incontrate con la prima che punta il dito accusando Tel Aviv di ostacolare il protocollo umanitario. Preoccupano le incursioni militari dell’Idf in Cisgiordania dove aumenta il numero dei morti e degli arresti. Dall’inizio della tregua sono stati imprigionati 380 palestinesi. In risposta, i miliziani di Hamas hanno colpito un checkpoint militare vicino al villaggio di Tayasir a est di Jenin.
Nell’attentato sono stati uccisi due soldati israeliani. Ma nella visita negli Stati Uniti del premier israeliano c’è tanto altro a partire dall’accordo per la normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita, nata sulla scia degli accordi di Abramo, e la fornitura di nuove armi a Tel Aviv. Netanyahu spera di far sbloccare oltre otto miliardi di dollari di bombe e missili (1 miliardo già lo ha incassato) e Trump sta già muovendo le sue pedine nel Congresso per aiutare il suo amico.
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