Il governo di Pechino ha ordinato la costruzione nelle principali città cinesi di strutture di quarantena di massa per gli arrivi dall’estero. Quando il paese riaprirà, chi entrerà trascorrerà il periodo d’isolamento non più in hotel, ma in nuovi grandi centri ad hoc (20 stanze per ogni 10mila abitanti). La “Stazione sanitaria internazionale” è quasi pronta a Guangzhou, il capoluogo della provincia del Guangdong, dove si concentra la maggior parte dei lavoratori stranieri. Gli appartamenti avranno aria condizionata, ventilazione e fognatura autonome. Check-in, misurazioni della temperatura, servizio pasti e disinfezione quotidiana verranno effettuati da robot, per limitare al massimo la possibilità di contagio.

  • Perché è importante

Così la Cina, chiusa dal marzo 2020, potrà gradualmente riaprire – probabilmente non prima della conclusione delle Olimpiadi invernali di Pechino (4-20 febbraio 2022) –, continuando a seguire la strategia “contagi zero”. Secondo Zhong Nanshan, dovrà comunque prima essere stato immunizzato l’80-85 per cento dei cinesi (attualmente il 78 per cento ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino). Per l’epidemiologo di riferimento del governo, per ammettere nuovamente gli stranieri dovranno verificarsi altre due condizioni: basso tasso di mortalità e alto tasso di vaccinazioni nel resto del mondo. Attualmente – ha sottolineato Zhong – il tasso di mortalità globale da SARS-CoV-2 oscilla tra l’1 e il 2 per cento, dieci volte più dell’influenza.

  • Il contesto

Le prossime Olimpiadi invernali seguiranno regole diverse da quelle estive di Tokyo: ci saranno gli spettatori, ma solo cinesi; potranno entrare nella “bolla” unicamente i membri delle delegazioni (circa 2mila complessivamente) vaccinati, gli altri dovranno affrontare 21 giorni di quarantena. Nonostante in Cina si registri quotidianamente mai più di una una manciata di sintomatici, le autorità – che recentemente sono riuscite a bloccare focolai di variante Delta a Nanchino e nel Guangdong – insistono con la linea “contagi zero” per motivazioni sanitarie (limitata efficacia dei vaccini “made in China” e fragilità del sistema sanitario nazionale); e politico-ideologiche, perché la narrazione patriottica della “vittoria sul nuovo coronavirus” è diventata parte integrante dell’ideologia “informale” del Partito comunista secondo la quale il socialismo cinese è “superiore” alle democrazie liberali.

Via alcuni dazi di Trump, riparte il dialogo Pechino-Washington

Lunedì scorso Katherine Tai ha illustrato la politica commerciale di Biden nei confronti della Cina in un discorso presso il Center for Strategic and International Studies di Washington. La rappresentante per il commercio ha annunciato che l’amministrazione Usa rimuoverà alcuni dei dazi sulle importazioni cinesi imposti da Trump, ma ha aggiunto che qualsiasi cambiamento significativo potrà arrivare solo in seguito a colloqui con Pechino non ancora in programma. Tai ha aggiunto che gli Usa possiedono tutti i mezzi per fare pressione sulla Cina, inclusa la section 301 del Trade act del 1974.

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  • Perché è importante

Alla Reuters Tai ha dichiarato che è irrealistico che le prime due economie del pianeta taglino il loro commercio bilaterale e che, su questo fronte, il suo governo, piuttosto che a un decoupling, mira a un recoupling con la Cina. Secondo molti analisti l’amministrazione Biden proverà a utilizzare “il bastone e la carota” nei confronti di Pechino. Il governo di Pechino ha accolto con favore la disponibilità al dialogo degli Usa e quello che giudica un approccio diverso dall’amministrazione Trump. Tuttavia – come chiarisce questo editoriale del Global Times –, sulla pianificazione economica da parte del governo e sul ruolo delle aziende di stato, Xi Jinping e compagni non sono disposti a mediazioni.

  • Il contesto

Secondo il rapporto China Pathfinder, pubblicato martedì scorso da Atlantic Council e Rhodium Group, a partire dal 2016, quella cinese ha iniziato a fare marcia indietro, diventando un’economia sempre meno aperta.

Per il direttore del GeoEconomics centre dell’Atlantic Council, Josh Lipsky, «la fiducia reciproca tra le due maggiori economie si è completamente erosa. Gli Usa ritengono che la Cina stia approfittando, mentre quest’ultima è convinta di venire ingiustamente calunniata mentre fa ciò che qualsiasi altra nazione farebbe mentre la sua economia matura».

Lipsky ha ricordato il protezionismo che esacerbò gli effetti della Grande depressione, avvertendo che «negli ultimi anni, le politiche di Washington e Pechino hanno iniziato a ripercorrere questa strada sinistramente familiare». Lo stesso China Pathfinder riconosce però che alcune delle sei aree dell’economia cinese analizzate sono in linea con i mercati aperti: è il caso del commercio, dove nel 2020 Pechino ha fatto meglio di Washington sui dazi; dell’innovazione, nella quale la Cina si sta avvicinando a Spagna e Italia; e dei venture capital, nei quali è preceduta solo da Usa e Regno Unito.

Yuan, di Lorenzo Riccardi

La Personal information protection law

La nuova legge sulla protezione dei dati varata da Pechino, la Personal information protection law, entrerà in vigore il prossimo 1° novembre. La norma punta a contrastare i monopoli nel settore tecnologico; disciplinare il trattamento dei dati; bilanciare marginalità e performance economiche.

La Personal information protection law ha caratteristiche analoghe alla Gdpr, la General data protection regulation che, dopo un lungo processo di approvazione e implementazione, dal 2018 è in vigore in ogni stato dell’Unione europea.

In relazione alla tutela del diritto alla privacy la legge prevede che i cittadini debbano poter sapere quali informazioni personali vengono raccolte, possano non concedere l’utilizzo dei dati, e possano richiedere correzioni o cancellazioni dai database.

Per le aziende che gestiscono una grande mole di dati (come Alibaba, Tencent o Didi) si tratta di gestire in modo completamente diverso le proprie attività e il rapporto con gli utenti. Chi opera in Cina in ogni altro ambito dovrà approfondire e adeguare i propri standard alla nuova normativa.

La legge stabilisce che per il trattamento dei dati personali vi debba essere il consenso esplicito degli interessati tramite contratto, se non in presenza di un interesse pubblico o di un’emergenza, come ad esempio durante la pandemia.

La Cyberspace administration of China (Cac) è l’autorità che supervisiona e conferma la conformità del trattamento delle informazioni personali alle regole sulla privacy per i gruppi coinvolti. La legge riguarda aziende cinesi e gruppi stranieri che operano nel mercato interno e prevede sanzioni e blacklist per i soggetti che non si adeguino al rispetto della normative o che trasferiscano informazioni verso paesi con minor tutela.

Le norme contrastano in primis gli abusi dei grandi gruppi tecnologici, ma ogni azienda dovrà implementare in fretta policy interne e verifiche sul rispetto della Personal information protection law.

I “minatori” cinesi costretti a emigrare offshore

La direttiva con la quale, il 24 settembre scorso, la Banca centrale cinese (Pboc) e altre otto agenzie governative hanno vietato nella Repubblica popolare gli scambi tra compagnie internazionali di criptovalute e utenti cinesi (e dichiarato illegale ogni transazione relativa alle criptovalute) sta producendo i suoi effetti. Huobi e Binance (due piattaforme globali di trading) hanno bloccato le nuove iscrizioni di utenti cinesi, mentre il colosso del commercio elettronico Alibaba ha annunciato che, a partire da domani, vieterà la vendita di attrezzature per “minatori” di criptovalute. La miniera virtuale F2Pool ha interrotto la fornitura di servizi in Cina.

  • Perché è importante

Quella di Pechino è la più importante azione repressiva contro le criptovalute finora lanciata a livello globale e, nell’immediato, spingerà in alto il prezzo di Bitcoin e delle altre, e sposterà offshore una quantità di attività finora basate in Cina, evidenziando la capacità delle attività virtuali di eludere i regolamenti dei governi.

Dopo il varo della direttiva, sono state almeno una dozzina le compagnie di trading di criptovalute che hanno annunciato che taglieranno i legami con la Repubblica popolare. Per Pechino alzare una grande muraglia contro Bitcoin e le altre è di vitale importanza, per mantenere il controllo del governo sul sistema finanziario e per fermare l’attività, estremamente energivora e inquinante, di produzione di bitcoin e degli altri token.

  • Il contesto

Secondo il ministero dell’Industria e dell’informatica (Miit) di Pechino, in Cina sono presenti oltre 1.400 compagnie di blockchain e nel settore il paese dispone di una filiera completa (a questo link una storia delle criptovalute in Cina). Nelle aree più remote – come, ad esempio, in Mongolia – i “minatori” cinesi hanno attrezzato grandi strutture nascoste della potenza di migliaia di kilowatt-ora.

Per sconfiggere le criptovalute non emesse da autorità monetarie il governo cinese sta lavorando alla sua valuta digitale sovrana, lo yuan digitale, in fase avanzata di sperimentazione.

Questi i consigli di lettura della settimana:

How can China better manage its used electric car batteries?;

Hammered by Blackouts, China’s Rust Belt Grinds Down;

Hit Netflix Series “Squid Game” Sets the Chinese Internet on Fire.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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