La situazione in Nuova Caledonia, paese d’Oltremare francese del Pacifico, è ancora ben lontana dalla normalità, a tre settimane dallo scoppio di una rivolta che ha, letteralmente, infiammato il capoluogo. Nouméa è stata devastata da incendi che hanno distrutto prima i simboli commerciali della Francia (concessionarie di automobili, supermercati, aziende), poi anche scuole, biblioteche, case private.

Si contano sette morti, cinque dei quali kanak – il popolo originario di questa terra – e gli altri due gendarmi francesi. I voli commerciali sono ricominciati solo il 5 giugno, tra mille difficoltà, anche perché molte strade sono tuttora sbarrate dai militanti della Ccat, il Centro di Coordinamento delle Azioni sul Territorio, un movimento militante indipendentista voluto principalmente dal partito dell’Union Calédonienne (Uc).

È una crisi acuta, dopo oltre 30 anni di pace, che mette in discussione il tentativo di costruire una società basata sulla convivenza, tra il popolo kanak e le altre componenti etniche dell’arcipelago. È una rivolta che avrà effetti importanti sulle prossime elezioni europee in Francia e sulle politiche del cosiddetto asse Indo-Pacifico.

La storia delle ostilità 

Per provare a capire cosa succede occorre riavvolgere il nastro della storia. Nel 1988, dopo quattro anni di violenti scontri tra i kanak, il popolo indigeno colonizzato dai francesi a partire dal 1853 e i bianchi di Caledonia (chiamati caldoche o pionieri), i leader dei rispettivi campi si stringono la mano e avviano un processo di riconciliazione. Jean-Marie Tjibaou, leader del Fronte di Liberazione Kanak e Socialista e Jacques Lafleur, anti-indipendentista, provano a uscire dal caos con un accordo di reciproco riconoscimento. Tjibaou sarà ucciso l’anno dopo, il 5 maggio 1989, ma il processo di pace andrà avanti tra alti e bassi.

Nel 1998, indipendentisti, non-indipendentisti e lo stato francese firmano uno dei più innovativi patti di decolonizzazione, l’Accordo di Nouméa, che di fatto crea un paese a sovranità condivisa. Molte competenze dello stato (dall’istruzione alla fiscalità, dalle miniere di nichel al patrimonio, dai lavori pubblici all’ambiente) passano al Congresso della Nuova Caledonia.

Vent’anni dopo l’Accordo sono previsti referendum per la piena indipendenza, con il possibile trasferimento alla Nuova Caledonia delle ultime competenze di uno stato indipendente (moneta, giustizia, difesa, relazioni internazionali).

L’Accordo di Nouméa era basato sul riconoscimento di tre principi: il “fatto coloniale”, cioè l’annessione indebita di un paese già abitato nel 1853; l’esistenza di un popolo kanak definito pleuple prémier; infine il riconoscimento da parte dei kanak del diritto delle altre popolazioni di vivere in Nuova Caledonia per costruire insieme un “destino comune”.

Come nel Sudafrica di Mandela le parti in conflitto si riconoscono reciprocamente. L’Accordo segna la decisione di far tacere le armi e costruire una società che intreccia insieme: i kanak, innanzitutto; gli europei (tra cui molti italiani) arrivati all’inizio come detenuti, a fine Ottocento, una manodopera forzata che ha costruito le strutture della colonia e si è radicata nel territorio; oceaniani come gli abitanti originari di Wallis e Futuna, a lungo considerati come “nemici” dei kanak, pericolosi lealisti francesi; gli asiatici, i caraibici e altre “comunità di sofferenza”, altre “vittime della storia”. Il paese ha ora due bandiere, quella kanak e quella francese (oltre a quella europea).

I referendum 

Negli ultimi anni qualcosa si inceppa. Il primo referendum per l’indipendenza avviene nel novembre del 2018 e vede la vittoria del “No” con il 56 per cento; il secondo si tiene nel 2020 e la vittoria del “No” è più risicata, 53 per cento. Il terzo referendum è un caos: gli indipendentisti chiedono il rinvio a causa del Covid-19, ma Parigi non accetta. Si va alle urne nel dicembre del 2021 con il boicottaggio da parte dei kanak: con un’affluenza bassissima il “No” passa al 96 per cento. È il primo di una serie di errori del governo francese che, da garante di un Accordo e di un cammino di indipendenza, viene ora visto di nuovo come un attore del campo anti-indipendentista.

La Nuova Caledonia è un paese multiculturale, i matrimoni misti sono frequenti, il meticciato è diffuso, ma la polarizzazione etnica è sempre sullo sfondo. Le etnie non sono realtà biologiche, ma costruzioni identitarie e simboliche, che si attivano in certe condizioni economiche e politiche. Dal 1998 a oggi molto denaro è fluito dalla Francia continentale al paese, ma le politiche di uguaglianza e re-equilibrio previste dall’Accordo di Nouméa non hanno funzionato.

In Nuova Caledonia ci sono proporzionalmente più vetture Porsche che nel resto della Francia, ma una fetta importante di popolazione vive di orticoltura di sussistenza. Meno del 10 per cento dei kanak ottiene un diploma di scuola superiore e la disoccupazione giovanile è molto alta.

La scuola, con poche eccezioni, non si è “oceanizzata”: continua a trasmettere competenze sull’Europa continentale e ben poco sull’Oceania e i suoi popoli. Il riconoscimento dei kanak e della loro cultura millenaria non è avvenuto nei fatti e neppure la storia delle altre comunità di sofferenza che abitano il Territorio è stata molto presa in conto.

La crisi 

Negli ultimi anni la crisi economica ha cominciato a mordere anche qui, con cause globali e specificità locali. L’unica risorsa del paese, il nichel, è crollata. Come è possibile in tempi di batterie elettriche e di telefonini? Per una delle tante ambivalenze o schizofrenie dell’Europa. Le aziende europee preferiscono il nichel dell’Indonesia e di altri paesi che lo vendono meno caro (con quali attenzioni ai lavoratori e all’ambiente?).

In questo quadro di diseguaglianze, di mancati riconoscimenti culturali, di carenza di leader politici all’altezza della situazione, l’accensione di una miccia ha incendiato l’edificio. Insensibile alle richieste indipendentiste di avere più tempo per trovare un nuovo accordo con le forze lealiste pro-francesi, il governo di Parigi ha avviato una riforma costituzionale che “dis-gela” il corpo elettorale.

La riforma prevede che a votare nelle prossime elezioni provinciali da cui scaturirà il nuovo Congresso della Nuova Caledonia (previste entro dicembre 2024) saranno circa 40mila elettori in più, in gran parte francesi metropolitani e polinesiani, residenti da almeno 10 anni. Per i kanak è una sconfitta e la sconfessione dell’Accordo di Nouméa. Passato prima al Senato e poi all’Assemblea, il provvedimento dovrà essere adottato a Versailles da una seduta congiunta, per ora non convocata.

La protesta e gli sviluppi

La miccia ha creato l’esplosione. Nella settimana dal 13 al 20 maggio i militanti della Ccat hanno prima bloccato le strade. La protesta è poi degenerata in incendi e saccheggi, la cui responsabilità è negata dagli indipendentisti della Ccat e dell’Uc. Gli abitanti di alcuni quartieri, bianchi inclusi, hanno a loro volta realizzato sbarramenti stradali per proteggersi.

È tornata forte a Nouméa la retorica e l’odio del “noi” contro “loro”. Tornano le bandiere uniche, presagi di sciagure a venire. Il tentativo di Macron di stabilizzare la Nuova Caledonia e renderla una solida base francese dell’asse indo-pacifico, contro ingerenze cinesi e russe, sembra al momento in discussione.

Lo spazio per il dialogo non è chiuso: solo le politiche della convivenza (si intravvede l’emergere di forme di solidarietà nei quartieri multietnici) e la volontà dello stato di accompagnare il paese verso una reale sovranità tuttavia potranno condurre fuori dalla crisi.

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