L’ospedale più grande della Striscia di Gaza ancora funzionante è «completamente fuori servizio» per la mancanza di carburante e per la presenza di combattimenti nell’area che circonda la struttura. Lo ha riferito un portavoce del ministero della Sanità di Gaza. L’ospedale Nasser si trova nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia, e sono attivi solo quattro membri del personale medico, che si prendono cura di tutti i pazienti.

«L’ospedale Nasser di Gaza non è più in funzione, dopo una settimana di assedio seguita dal raid in corso», ha scritto su X il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, denunciando l’impossibilità per l’Oms negli ultimi due giorni di entrare nell’ospedale per valutare le condizioni dei pazienti e i bisogni medici, nonostante abbiano raggiunto la struttura per consegnare il carburante. 

Sono circa 200 i pazienti ancora nell’ospedale, scrive Ghebreyesus, e almeno venti devono essere trasferiti con urgenza in altri ospedali per ricevere le cure necessarie. «Il prezzo per i ritardi sarà pagato da vite umane dei pazienti», conclude.

Ma il Nasser non è l’unico ospedale messo in pericolo dall’offensiva israeliana. Le forze di difesa israeliane stanno colpendo con «bombardamenti dell’artiglieria il terzo piano dell’ospedale di Al-Amal», ha denunciato la Mezzaluna rossa palestinese. 

Secondo i dati diffusi dal ministero della Sanità di Gaza, dall’inizio dell’offensiva, il 7 ottobre, nella Striscia sono morti 28.985 palestinesi, 127 solo nelle ultime 24 ore. Il bilancio dei feriti è invece di 68.883.

Solo negoziati diretti

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Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha formalizzato la «decisione dichiarativa» con cui si oppone a qualsiasi «imposizione unilaterale» sul riconoscimento di uno stato palestinese da parte della comunità internazionale. Un accordo, dice il premier israeliano, che può essere raggiunto solo attraverso negoziati diretti. La decisione è stata approvata all’unanimità dal gabinetto. 

«Israele rifiuta i dettami internazionali relativi a un accordo permanente con i palestinesi. Un accordo, se dovesse essere raggiunto, avverrà solo attraverso negoziati diretti tra le parti, senza precondizioni», ha dichiarato il premier, «Israele continuerà ad opporsi al riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese. Tale riconoscimento, sulla scia del massacro del 7 ottobre, concederà un premio enorme e senza precedenti al terrorismo e impedirà qualsiasi futuro accordo di pace».

Risoluzione Onu

Martedì, su impulso dell’Algeria, il Consiglio di sicurezza dell’Onu voterà una risoluzione che chiede il cessate il fuoco umanitario nell’offensiva israeliana a Gaza, riporta Reuters, ma gli Stati Uniti porranno probabilmente il veto. Lo ha detto l’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield: «Gli Stati Uniti non sostengono l’azione su questo progetto di risoluzione. Se dovesse essere messa ai voti così come è redatta, non sarà adottata». Thomas-Greenfield, nella dichiarazione, ha precisato che gli Stati Uniti per mesi «hanno lavorato instancabilmente verso un obiettivo a cui tutti noi dovremmo aspirare: una risoluzione sostenibile del conflitto di Gaza in modo che israeliani e palestinesi possano vivere fianco a fianco e godere di pari misure di sicurezza, dignità e libertà». 

L’ambasciatrice spiega quindi che il paese che rappresenta sta lavorando a «un accordo sugli ostaggi tra Israele e Hamas, che porterebbe un periodo di calma immediato e prolungato a Gaza per almeno sei settimane, e da cui potremmo poi prendere il tempo e i passi per costruire una pace più duratura».

Biden, nell’ultima settimana, ha avuto diverse interlocuzioni con Netanyahu, e i leader di Egitto e Qatar, «per portare avanti questo accordo». Ci sono ancora lacune, continua l’ambasciatrice, ma «gli elementi chiave sono sul tavolo. Tutto sommato, crediamo che questo accordo rappresenti la migliore opportunità». Thomas-Greenfield sostiene quindi che non si raggiungerebbero gli stessi risultati con la risoluzione presentata dal Consiglio di Sicurezza».

La conferenza di monaco

Alle dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu di ieri sera, in conferenza stampa, ha risposto il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh durante il suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, che si chiude oggi. «Netanyahu non ha ottenuto nulla fino ad ora. E intanto sono state uccise 28mila persone», ha detto, sottolineando che «la situazione è molto seria. Tutti dovrebbero ritenere Israele responsabile per quello che sta succedendo» a Gaza.

Shtayyeh ha chiesto il rilascio di tutti gli ostaggi e la fine di questo conflitto: «Ci stiamo confrontando con vari attori internazionali», ha spiegato, tra cui Stati Uniti, Qatar, Egitto ed Europa, «per trovare una soluzione». Sulla situazione a Rafah, dove sono sfollati oltre 1,5 milioni di gazawi, con l’esercito israeliano che minaccia l’ingresso, il primo ministro palestinese ha ricordato che «le persone dovrebbero essere in grado di tornare nelle loro case, non essere cacciate in Egitto. Sappiamo che c’è un programma da parte di Israele per spingere le persone fuori da Gaza. Ma la cosa più importante è consentire alle persone di tornare a casa». Secondo l’Onu gli sfollati a Rafah si starebbero spostando verso il centro della Striscia.

Netanyahu ieri, in conferenza stampa, ha infatti confermato la volontà di continuare a combattere fino alla sconfitta di Hamas, nonostante le richieste dei ministri degli Esteri del G7 di evitare un’offensiva a Rafah, che avrebbe «conseguenze potenzialmente devastanti sulla popolazione civile». Inoltre, i ministri degli Esteri del G7 hanno chiesto «un’azione urgente per affrontare la catastrofica crisi umanitaria a Gaza». Netanyahu, durante la conferenza stampa, ha poi assicurato che le forze di difesa israeliane continueranno a combattere finché non saranno liberati tutti gli ostaggi.

Il segretario di stato Usa, Antony Blinken, intervenendo a Monaco, ha affermato che per Israele nei prossimi mesi ci sarà una straordinaria opportunità di integrarsi in Medio Oriente, vista la disponibilità dei paesi arabi a normalizzare i legami con Tel Aviv. Ma per il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, non può esserci un accordo per il cessate il fuoco se non porta a «una completa fine dell’aggressione, al ritiro dell’esercito di occupazione a Gaza e la rimozione del blocco della Striscia». 

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