Con una mossa rara e singolare il leader delle Nazioni Unite, António Guterres, ha recentemente invitato il popolo sudanese e la società civile a sostenere il premier Abdalla Hamdok, da poco liberato dagli arresti domiciliari in cui lo aveva costretto l’esercito del generale Abdel Fattah al Burhan dopo che, due mesi fa, un colpo di stato militare aveva troncato la collaborazione civili-militari e interrotto la transizione.

Il segretario generale António Guterres ha affermato di simpatizzare con «lo sdegno» dei manifestanti sudanesi ancora in rivolta contro il ruolo dei golpisti e la loro permanenza nei gangli delicati del potere in Sudan. Tuttavia ha lanciato un appello al «buon senso» in modo che il Sudan possa riprendere «una transizione pacifica verso la vera democrazia».

«Si tratta di una situazione che non è perfetta ma che potrebbe ancora consentire una transizione verso la democrazia», ha affermato Guterres rivolgendosi ai giovani e alla società civile sudanese.

Il compromesso

Secondo il segretario dell’Onu, la liberazione del primo ministro e la sua reintegrazione è stata comunque una vittoria e che potrebbe essere molto pericoloso per il paese «se l’opinione pubblica sudanese continuasse a opporsi all’accordo del mese scorso».

Hamdok era stato arrestato il 25 ottobre scorso, fin dall’inizio del colpo di stato. Ora invece è stato autorizzato a nominare un nuovo gabinetto. Nel frattempo, i militari stanno rilasciando (un po’ a rilento) gli altri detenuti politici arrestati insieme al premier.

Oltre che dalle Nazioni Unite l’accordo è stato lodato come un segnale positivo anche dagli Stati Uniti, uno dei maggiori sostenitori della rivoluzione democratica del 2019.

Le dichiarazioni di Guterres hanno tuttavia irritato i manifestanti anti golpe che continuano a chiedere il completo allontanamento dei militari da ogni carica del potere politico. Per sostenere i manifestanti, dodici membri del precedente governo non hanno accettato la reintegrazione e si sono dimessi in maniera irrevocabile.

L’ex ministro degli Esteri Mariam al Mahdi ha dichiarato che Hamdok non si era consultato con gli altri ministri né li aveva coinvolti prima di concludere la trattativa. Di conseguenza migliaia di manifestanti a Khartoum continuano a scendere in piazza per chiedere l’istituzione di un’amministrazione di governo completamente civile.

La transizione democratica

La situazione rimane incerta e tesa, con scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti nella capitale e nelle maggiori città del paese. Ciò che i giovani ritengono particolarmente inaccettabile è la liberazione di alti funzionari vicini all’ex dittatore Omar al Bashir, avvenuta durante nei due mesi dopo il golpe.

L’inviato delle Nazioni Unite per il Sudan Volker Perthes ha fatto sapere che la reintegrazione del premier non è che un primo passo a cui devono seguirne molti altri affinché la transizione riacquisti la sua piena titolarità democratica.

Gli Stati Uniti continuano a incoraggiare la ripresa del dialogo tra civili e militari, aggiungendo che il ripristino di Hamdok non è sufficiente. Il segretario di Stato Antony Blinken ha definito il momento attuale come un inizio, ribadendo la richiesta dell’amministrazione Biden che i militari rilascino tutti i detenuti politici e revochino lo stato di emergenza.

Solo così, ha aggiunto il segretario di stato, potranno essere sbloccati i 19 miliardi di dollari dell’operazione messa in opera dalla Banca mondiale per la cancellazione del debito.

Il recente accordo Hamdok-Burhan non prevede un ritorno alla situazione precedente al golpe ma una rivisitazione che offre ai militari garanzie sia per ciò che concerne l’amnistia per i fatti di sangue della recente storia sudanese, che per il controllo di parti importanti dell’economia, da decenni appannaggio dell’esercito.

Per come si erano messe le cose dopo il 25 ottobre, la ripresa della collaborazione civili-militari in Sudan rappresenta comunque una vittoria per Washington e i suoi alleati. L’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno sostenuto la posizione americana senza cercare vie autonome e contribuito al rilancio del dialogo. Si tratta di un raro caso di multilateralismo efficace, che rimette l’Onu al centro e costruisce un consenso regolatore della crisi.

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