«Ormai prendo appunti con carta e penna. Con la mia ex fidanzata speriamo che non abbiano preso anche le nostre immagini in intimità insieme». Giornalista europeo spiato da un governo europeo, Szabolcs Panyi è il reporter ungherese del centro di giornalismo investigativo Direkt36, che con le sue inchieste sul cerchio magico di Viktor Orbán, sulle sue connessioni con Mosca e Pechino, ha attirato le attenzioni del premier. E non solo quelle.

Quando e come si è accorto di essere spiato?

Devo essere sincero, da tempo ormai metto in conto di avere gli occhi del mio governo addosso. Negli scorsi anni ho avuto più di un’avvisaglia dalle mie fonti. Ma stavolta, con il caso del software israeliano Pegasus usato dai regimi per intercettare, mi è arrivata una dritta ben circostanziata. È andata così: in primavera, Frederik Obermaier, il giornalista premio Pulitzer del quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, ha contattato il mio capo. All’epoca, Obermaier stava già lavorando al caso Pegasus assieme all’organizzazione Forbidden Stories. Il mio numero era nel database degli spiati, è stato identificato e ci è stato chiesto se eravamo d’accordo a fare un’analisi forense del mio cellulare, o per essere più precisi, del backup del mio iPhone. Questa analisi ha confermato che ero stato hackerato dal software Pegasus per almeno sette mesi.

Tutto questo ve lo siete detti per telefono?

No, i dettagli scottanti della faccenda ce li siamo scambiati a maggio in una camera d’albergo di Buda, la città vecchia di Budapest. Lì i colleghi europei ci hanno rivelato del database e del progetto giornalistico. E sia chiaro, nel mirino dello spionaggio qui in Ungheria non c’ero mica solo io; c’erano altri colleghi, c’erano avvocati, personaggi dell’opposizione, il proprietario di un media non allineato col governo e gli imprenditori a lui vicini; c’era persino uno studente canadese della Central European University che nel 2018 fu trattenuto dalla polizia perché partecipava alle proteste contro il premier.

La ministra della Giustizia ungherese glissa. È certo che sia stato il governo a spiarla?

La ministra Judit Varga non ha confermato ma non ha neppure negato, e anzi se ne è uscita con un commento del tipo: «Non siate ridicoli, ogni paese ha bisogno di strumenti tecnologici di questo tipo!». Il ministro dell’Interno ha detto che nulla di illegale è stato fatto, ma sono certo che persino nel caso dei giornalisti spiati troverebbero un appiglio legale per giustificare le intrusioni. Come faccio a essere certo? Il punto è che Pegasus, il software israeliano, può essere venduto solo ai governi e agli apparati statali, non alle aziende né ai privati. Inoltre fonti che prima lavoravano per l’intelligence ungherese ci hanno confermato che Pegasus veniva utilizzato. Tutti gli elementi puntano lì. Abbiamo anche ricostruito gli incontri avvenuti nel 2017 e 2018 tra Benjamin Netanyahu e Viktor Orbán. La fase in cui i rapporti tra i governi diventano più stretti coincide con quella in cui Pegasus arriva sui cellulari ungheresi.

Un anno fa, l’allora direttore del sito di informazione Index, quando vide minacciata l’indipendenza della testata, lanciò una allerta di pericolo: «In danger». Si riferiva alla libertà di informazione. Lei, da spiato, ritiene che anche la sua incolumità sia a rischio?

Nella lista globale dei sorvegliati ci sono centinaia di giornalisti, e – per fare qualche esempio – uno spiato in Marocco è stato messo in carcere per anni, un altro che è stato ucciso in Messico nel 2017 si è scoperto che era stato prima sorvegliato con Pegasus. Io sono fortunato perché vivo in Ungheria, uno stato membro dell’Unione europea, e non solo voglio sperare che la mia vita non sia a rischio, ma so che in Europa spiare è una chiara violazione dello stato di diritto. Non è solo una violazione della mia privacy, ma del mio diritto come giornalista di proteggere le mie fonti.

Lei ricorda che questa è una violazione dello stato di diritto intollerabile in Ue. Bruxelles ha dimostrato, nei fatti, di non tollerarla?

Ursula von der Leyen ha detto che il caso Pegasus è inaccettabile e… bla bla bla. Le dichiarazioni della Commissione sono una collezione di «very concerned» e «seriously concerned», è tutto un «siamo molto preoccupati». Ma è tutta retorica, mancano le azioni. Un membro della Commissione europea ha persino detto che la sicurezza nazionale è competenza degli stati membri dunque l’Ue non investigherà in merito.

Proprio ieri la Commissione europea ha presentato il rapporto sullo stato di diritto, cioè sullo stato di salute della rule of law nei vari stati membri. Bruxelles sta fronteggiando in modo adeguato le violazioni dello stato di diritto da parte dell’Ungheria?

Vanno avanti dal 2010, siamo nel 2021. In questi undici anni ci sono state svariate occasioni per intervenire, molti comportamenti gravi da parte di Orbán, e io non vedo da parte di Bruxelles né la volontà politica di agire né il peso politico per farlo. In una inchiesta pubblicata a settembre su Direkt36 abbiamo raccontato come e perché per anni Berlino e Budapest si sono supportate l’un l’altra; abbiamo svelato qual è l’intreccio di interessi economici, industriali e politici che ha garantito al mio premier una sorta di lasciapassare. Il problema è che le violazioni dello stato di diritto, della democrazia, se non vengono arginate si estendono, proprio come una malattia contagiosa. E infatti ci sono problemi, oltre che in Polonia, anche in Slovenia e in altri paesi.

Il nuovo rapporto del Centre for Media Pluralism and Media Freedom, appena uscito, ribadisce che nel suo paese l’indipendenza e il pluralismo dei media sono «gravemente a rischio». Il report di ieri dell’ Ue sulla rule of law dice: «Il pluralismo dei media rimane a rischio». Se è a rischio vuol dire che esiste ancora?

L’informazione è stata da tempo sotto attacco e possiamo dire che sta perdendo la guerra; ne usciamo tutti sconfitti. Qualche sporadica esperienza, come la nostra, si salva online, ma per il resto i giornali locali sono controllati dal governo, i quotidiani sono filogovernativi… E il caso Pegasus fornisce nuovi tasselli. Nel mirino è finito anche Zoltán Varga, l’imprenditore proprietario del sito 24.hu.

Un anno fa, quando scoppiò il caso Index, Varga confidò di sentirsi pressato, sotto scacco.

Gli fanno pressioni perché venda il suo impero mediatico al premier. Spiare può servire sia a controllare le informazioni o le iniziative dell’opposizione sia a ricattarla.

Un problema democratico che mina anche le prossime elezioni?

Sì. Del resto qui la democrazia è sotto attacco plurimo, Pegasus è la punta dell’iceberg.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono grandi sostenitori del suo premier. Che ne pensa?

Che anche voi avete i vostri problemi con l’estrema destra – è stato scioccante per me assistere alle immagini dei migranti lasciati in mare da Salvini quando era ministro – e che non c’è da stupirsi che siano alleati.

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