«Netanyahu si comporta come Hitler», questa l’accusa che il dittatore Erdogan ha rovesciato sul pessimo leader israeliano responsabile della strage di civili palestinesi dopo l’orrendo pogrom di Hamas del 7 ottobre.

Dura anche la reazione, ma il fatto in sé, il paragone e quanto ne risulta, restituisce una riflessione di qualche tempo fa. L’aveva sviluppata Avishai Margalit in un saggio prezioso sull’etica del compromesso, nello specifico a quanta giustizia si è disposti a rinunciare nel nome della pace. Tematica attuale e incalzante per noi alle prese come siamo con due conflitti per i quali fissare una tregua appare missione quasi impossibile.

Il problema è come impedire che l’impotenza temporanea della politica si traduca in una capitolazione storica. Ora, se ci troviamo in questa terra di nessuno una ragione è nel giudizio che parte dell’Europa e dell’occidente ha dato non dell’invasione ucraina in sé, ma della natura che stava e starebbe all’origine di un’azione tanto sciagurata.

Putin come Hitler

Per capirci, il lodo “Putin eguale Hitler”, così prossimo alla scomunica turca piovuta sul capo del governo d’Israele. In quel suo saggio Margalit racconta un aneddoto imputato a Isaiah Berlin: un uomo fu sorpreso a battere violentemente sopra un bollitore che fischiava. «Che cosa stai facendo?» gli fu chiesto. «Non sopporto le locomotive a vapore». «Ma questo è un bollitore, non una locomotiva». «Sì, sì, lo so, ma li devi ammazzare da piccoli».

Tradotto, indicare ogni dittatore del presente come il nuovo Hitler o Stalin riproduce l’immagine del bollitore e della locomotiva e però questa visione è l’antitesi dello spirito di compromesso. In altri termini, se la politica si limita a disumanizzare il nemico – a turno Saddam, Gheddafi, Putin come nuovi Hitler, oggi è il turno di Erdogan su Netanyahu – la conseguenza sarà una guerra senza sbocco e una paralisi dell’azione diplomatica.

Il patto di Monaco

Ma seguiamo ancora Margalit in quel suo riflettere su pace e giustizia. In questi mesi si è scomodato spesso lo sciagurato patto di Monaco del 1938 e l’epigrafe di Winston Churchill, «potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra».

Aveva ragione, l’accordo di Monaco non fu un compromesso, ma una resa totale. Il tema è che si trattò di un «compromesso sordido» non tanto per i suoi contenuti ma per l’interlocutore.

Se la pretesa sui Sudeti, è l’argomento di Margalit, fosse stata avanzata dal «rispettabile Walther Rathenau anziché dal terribile Hitler» e fosse stata espressione della Repubblica di Weimar in nome del diritto di autodeterminazione dei tedeschi dei Sudeti, sarebbe stato diverso? Lui risponde di sì e lo spiega così, l’accordo non può essere giudicato immorale solo perché basato su un errore di valutazione politica.

Ma allora cosa ci fu di sordido nel patto di Monaco? La risposta è che sordido era colui che lo firmò. «Un patto con Hitler era un patto con il male radicale, dove il male è inteso come affronto al senso morale stesso: non riconoscere Hitler come il male radicale fu una deficienza morale che andò ad aggiungersi a un grave errore di valutazione politica».

Ma torniamo al presente. Se qualcosa la storia insegna è non rimanere schiacciati dentro una logica che non consente di elaborare passi, anche simbolici, finalizzati a tenere aperto il sentiero del compromesso e di una tregua.

Questo vale per l’Ucraina come per la tragedia del 7 ottobre e di Gaza. La stessa formula della Terza guerra mondiale a pezzi contiene in sé un potenziale distruttivo perché se a fronte dei diversi contesti e conflitti, l’idea è che Stati Uniti, Cina, Russia, leggano quei conflitti come sfida alla loro sopravvivenza, lo spazio del negoziato – di un compromesso non immorale – è destinato a restringersi sino a scomparire. Lo stesso accadrà se quei conflitti, tanto più nel caso dovessero allargarsi, si risolvessero in una lista allungabile di nuovi Hitler da scomunicare dinanzi al tribunale della Morale dovendo a quel punto distruggerli al fine di estirpare il Male.

Ma temo sarebbe quello un mondo destinato al più devastante e cinico degli esiti. Forse per evitarlo conviene partire dalle parole che si usano e i giudizi che le sorreggono. Ecco perché quella frase del dittatore turco non è solo un brutto incidente, ma un atto di completa e colpevole irresponsabilità.

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