È arrivato a Roma, mercoledì scorso invitato dal Comitato Liberiamo Ilaria Salis e dall’Anpi, per partecipare a un incontro pubblico organizzato dall’Università Roma Tre, dove è stato accolto dal rettore Massimiliano Fiorucci. Aveva altri incontri in agenda Roberto Salis, il padre di Ilaria. Ma capiamo la prudenza e la misura delle parole: sta cercando di fare il possibile, soprattutto l’impossibile per tirare fuori sua figlia dal carcere di Budapest.

La settimana scorsa il ministro degli Esteri ungherese Szijjártó lo ha attaccato («Sono scioccato dalle reazioni italiane, la gente è stata quasi picchiata a morte nelle strade e questa signora viene dipinta come la vittima di un processo ingiusto»). Proprio mentre intorno all’ambasciata italiana di Budapest comparivano scritte come «Ilaria muori», «Il fascismo non si processa», firmate con una croce celtica.

Ma Roberto Salis non può permettersi di essere pessimista. Anche se la sua vita, racconta, da «serena» è stata travolta «da un turbine, un terremoto». Non può fermarsi. Martedì sarà a Strasburgo, in coincidenza con la plenaria dell’europarlamento. Non è escluso un incontro con il commissario Paolo Gentiloni. Ma per ora di certo c’è una conferenza stampa organizzata dall’eurodeputato Massimiliano Smeriglio, ex Pd ora di Alleanza verdi sinistra, e incontri con altri eurodeputati. All’università Roma Tre ha lanciato anche una proposta ai colleghi italiani e alle personalità impegnate nella battaglia per Ilaria: una staffetta democratica alla prossima udienza del processo che si celebrerà a Budapest il 28 marzo.

Ingegnere Salis, come sta Ilaria?

I contatti con lei ora sono abbastanza frequenti, da quando ci hanno dato la possibilità di parlarle abbiamo riusciamo a dialogare con lei via cellulare. Lei sta abbastanza bene. È preoccupata per le dichiarazioni del ministro ungherese. Il 13 marzo avrebbe avuto il concorso per entrare in ruolo come insegnante.

Oggi qual è la vostra prospettiva?

Cercare di portarla ai domiciliari. Prima in Ungheria e poi in Italia.

La Farnesina chiede di non politicizzare la vostra vicenda, e di abbassare i toni. Lei condivide questa richiesta?

Quello che è successo a mia figlia non dovrebbe essere una questione politica, lo diventa perché in Ungheria si sta celebrando un processo politico. In Italia ci vorrebbe un fronte comune di tutte le istituzioni. E certo non agevola la situazione di mia figlia il fatto che ci siano scontri politici.

Questi scontri però ci sono stati. Perché secondo lei?

Ci sono state prese di posizione, da una parte e dall’altra, che non hanno aiutato. Sicuramente all’inizio ci sono state difficoltà. Adesso però le istituzioni sembra stiano facendo quello che avrebbero potuto fare un po’ prima. Lasciamole lavorare, lasciamo loro raggiungere l’obiettivo.

È in corso uno sforzo diplomatico da parte dell’Italia?

Sì, certo. Per portare Ilaria ai domiciliari ora noi abbiamo fatto tutto quello che era necessario. A breve dovremmo vedere se questa misura si potrà attuare.

Dopo una grande esposizione mediatica, anche sua personale, ora teme che cali il silenzio su sua figlia, o il silenzio giova agli sforzi diplomatici?

Il silenzio su Ilaria può calare nel momento in cui le cosa vanno in una certa direzione, positiva secondo il mio giudizio. Nel momento in cui non andassero bene, il silenzio sarà interrotto. Quando tutti lavorano nella stessa, e giusta, direzione, non c’è bisogno di fare tante chiacchiere, su questo posso persino convenire. Ma se non avessimo alzato la voce non sarebbe accaduto nulla. Intendo dal 29 di gennaio in avanti.

Posso chiederle qualcosa di quello che vi dite con Ilaria?

Fra noi parliamo per lo più di questioni operative. La situazione è intricata, e per lo più non abbiamo molto tempo per fare discorsi diversi da quello che serve in questo momenti: cosa dire agli avvocati, di come rapportarsi ad alcuni interlocutori in Ungheria, anche qui per lo più parliamo di avvocati. Non abbiamo bisogno di ricordarci che ci vogliamo bene. Lo sappiamo.

Per tutto il primo anno di detenzione di Ilaria, vi siete sentiti soli?

Le dico come mi sono sentito. La mia professoressa di latino definiva questo stato così: vox clamantis in deserto. Mi sembrava ogni volta di parlare senza voce, nel nulla, di avere davanti un muro.

Come sono stati i rapporti con l’ambasciata italiana?

All’inizio critici. Ora si sono rasserenati. Ma mi scusi, non ritengo di dover tornare su questi temi: ora non serve a nulla.

Le iniziative su sua figlia servono comunque a tenere un filo di dialogo con la pubblica opinione?

A parte questo, è utile sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che avviene in Ungheria. È un paese che fa parte dell’Unione europea dove prima erano concesse senza alcun problema, oggi sono tollerate manifestazioni che in Germania o in Italia sarebbero considerate apologia di nazismo o di fascismo. Focolai di questo genere sono realtà pericolose per la sicurezza e la stabilità politica di tutta l’Unione.

Sappiamo delle minacce di gruppi neonazisti a Ilaria. Temete ancora per la sua e la vostra sicurezza?

È un tema su cui siamo stati estremamente preoccupati, ed infatti è che per questo motivo che fino a un certo momento non abbiamo chiesto i domiciliari in Ungheria: lo ritenevamo troppo pericoloso. Adesso il ministro della Giustizia Carlo Nordio ci ha caldamente suggerito di fare questo passo. E ho motivo di credere che abbia valutato la situazione, anche con informazioni a cui io giustamente non posso avere accesso, ma grazie alle quali si sente nella condizione di consigliarci questo passaggio. Immagino abbia fatto le sue verifiche per assicurarsi che siano superate le ragioni dei timori che a suo tempo ci hanno frenato.

Capisco che rispondere ora non è facile: ha fiducia nella giustizia italiana ed europea?

Sì. Ma mi sono reso conto che in certe situazioni le istituzioni hanno bisogno di qualche aiuto. Ogni tanto bisogna ricordare loro qualcosa. E fino a che la situazione di Ilaria non sarà risolta sarò molto attento a fare tutto quello che serve sia fatto.

© Riproduzione riservata