Con l’insurrezione della Wagner, la leadership di Pechino ha ricevuto un secondo, fragoroso avvertimento sulle conseguenze alle quali la sua quasi-alleanza con la Russia sta esponendo la Cina. Infatti, se c’è un paese che più di altri potrebbe subire le ripercussioni di un’implosione del regime putiniano, questo è la Repubblica popolare cinese (Rpc), che ha oltre 4.000 chilometri di frontiera comune con uno stato indebolito, la cui economia, sotto embargo, si è sempre più intrecciata a quella cinese.

Con l’attacco all’Ucraina, Mosca ha fatto strame di quei princìpi di sovranità e integrità territoriale che Pechino difende in ogni consesso e comunicato, a tutela del suo sistema politico imperniato sul partito comunista (Pcc), come delle sue pretese di “riunificazione” di Taiwan. Dopo il 24 febbraio 2022, le perplessità per la scelta di un simile compagno di strada che si erano affacciate nel partito e nella società, sono state messe a tacere dalla censura. Tuttavia il rifiuto di condannare quell’invasione ha esposto Pechino alla minaccia di sanzioni internazionali e favorito il “de-risking” da parte dell’occidente.

A 48 ore dal tentativo di marcia su Mosca che Prigozhin ha fermato a 400 chilometri dalla capitale, non si registra ancora alcuna dichiarazione ufficiale cinese, anche se ieri il vice ministro degli esteri, Andrey Rudenko, si è recato a Pechino per discutere col capo della diplomazia Qin Gang. Secondo quanto riferito dal governo russo, la Cina ha espresso il suo sostegno a Vladimir Putin per stabilizzare la situazione interna. E gli organi di stampa cinesi hanno accusato i media occidentali, che starebbero «provando a minare l’unità sociale russa promuovendo l’ammutinamento di Prigozhin e creando l’illusione che la Russia abbia molte contraddizioni interne e che il “palazzo sta crollando”».

Partnership scomoda

Ma, nascosta dalla cortina fumogena della propaganda, la leadership cinese vive con inquietudine gli eventi di Mosca. Secondo il direttore del Centro per gli studi russi e centro-asiatici dell’università Fudan di Shanghai, Feng Yujun, «la situazione internazionale complessiva, compresa la direzione futura della guerra Russia-Ucraina, l’incertezza sullo sviluppo della Russia, i problemi geopolitici e i cambiamenti significativi nell’ambiente circostante, avranno un profondo impatto storico sulla Cina».

Sotto la lente degli analisti cinesi è finita la capacità di Putin di controllare la situazione interna in una fase in cui sia l’esercito russo sia il governo subiscono, dall’interno e dall’estero, una pressione senza precedenti. Uno stress test inedito per la partnership “senza limiti” con Putin voluta da Xi Jinping e cementata dal mutuo timore degli Stati Uniti: il nemico del mio nemico è mio amico.

Ma con il pronunciamento di Prigozhin e dei suoi camerati, Xi e compagni hanno visto materializzarsi un incubo per scacciare il quale il Pcc lavora per decenni. Per la leadership di Pechino la sfida lanciata dal capo della Wagner è gravissima e palesa le difficoltà di Putin. Infatti il sistema politico cinese non soltanto vede le milizie private come fumo negli occhi, ma esercita un controllo (organizzativo, politico e ideologico) ferreo sull’esercito. La ragione è semplice: i tentativi di sovvertire i regimi a partito unico nascono quasi sempre come rivolte di palazzo, con il sostegno decisivo di parte delle forze armate o di mercenari.

Chi controlla la pistola

Il controllo sull’Esercito popolare di liberazione (Epl) viene garantito da una complessa rete di organismi di partito e strutture di controllo politico, a tutti i livelli di comando. Dalla potentissima Commissione militare centrale, presieduta dal segretario generale del partito comunista, che ha la funzione di leadership militare, al Dipartimento di lavoro politico, che attraverso la rete di “commissari politici” serve ad assicurare la supervisione politica sui due milioni di effettivi dell’Epl, l’esercito più numeroso del mondo.

Fu Mao Zedong a proclamare che «è nostro principio che il partito comanda la pistola ma non permette mai alla pistola di controllare il partito». E in effetti la lealtà dell’Epl al partito comunista cinese è stata confermata nelle due crisi più gravi del regime, con l’intervento dei militari contro le guardie rosse per porre fine, nel 1968, alla fase più calda della Rivoluzione culturale, e quando, nel 1989, dopo diversi tentativi, Deng Xiaoping e Li Peng riuscirono infine a trovare dei reparti disposti ad aprire il fuoco sui manifestanti per reprimere il movimento di piazza Tiananmen.

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