Un giudice di pace, il direttore di banca, i soldi da riciclare e i rapporti con insospettabili. Non ci sono solo le spiagge limpide, la buona cucina e l'ospitalità, la crescita turistica dell'Albania nasconde anche fiumi di soldi sporchi riciclati dalle organizzazioni criminali. Emerge da alcune informative che Domani ha potuto consultare e che raccontano di come i trafficanti investano in posti da sogno, resort e catene alberghiere sfruttando anche il nostro paese dove hanno imprese e riciclano denaro sporco. 

La visita di Meloni

Mafie che sono rimaste escluse dalla narrazione che ha accompagnato la visita di Giorgia Meloni dall'altra parte dell'Adriatico dove ha assunto i panni di madre severa che paga il conto agli italiani scrocconi e rinnovato l'amicizia tra i due popoli meritandosi l'appellativo di sorella d'Albania. Una narrazione monca perché nei lanci d'agenzia, nelle interviste rilasciate dal primo ministro albanese, Edi Rama, nelle comunicazioni di palazzo Chigi manca sempre una parola: la mafia.

Quella albanese è diventata tra le più potenti al mondo e si alimenta delle relazioni con le nostre organizzazioni criminali, la società foggiana, la mafia siciliana e la 'ndrangheta. L'Albania è la Colombia d'Europa e i narcotrafficanti gestiscono la distribuzione, la vendita degli stupefacenti attraverso il controllo dei porti con loro uomini di fiducia.

Un'organizzazione di cui si occupano le polizie di tutto il mondo, quelle europee e anche quelle sudamericane. Dati che non erano sfuggiti a pensatori e opinionisti vicini alla nostra prima ministra che, fino a poco tempo fa, parlavano dell'Albania usando un termine semplice e inequivocabile: narco-stato ed evocando il rischio di una migrazione di massa. 

Appellativi che non tenevano conto delle trasformazioni e delle politiche di contrasto messe in atto in questi anni, ma che richiamavano le parole dell'ex capo di Stato ed ex premier, Sali Berisha, uomo di destra, ex medico personale del dittatore Hoxha, che definiva Rama «un golpista» e l'Albania «un narcostato» guidato dal partito socialista, ribattezzato «partito cannabista».

Definivano il modello di Rama costruito sugli scandali e i rapporti opachi parlando di una democrazia sospesa. Proprio Rama che aveva aiutato, con l’invio di medici, il nostro paese durante l’emergenza pandemica e che anche al nostro giornale ha parlato di una nuova Albania.

«Abbiamo fatto enormi sforzi in questi anni e stanno cominciando a ripagarci, soprattutto a livello d’immagine dopo essere stati perseguitati per decenni dallo stereotipo degli albanesi ladri e criminali, Albania criminalizzata e corrotta. Abbiamo investito sulla bellezza e le infrastrutture, ricostruendo, restaurando il patrimonio culturale e rigenerando i vecchi immobili comunisti», ha ricordato Rama.

Eppure negli incontri tra i leader neanche una parola pubblica è stata spesa per il flagello che devasta il paese, diventato presto il principale esportatore di marijuana nonostante gli accordi tra le autorità albanesi e italiane e le politiche di contrasto. Domani ha letto alcune carte giudiziarie che raccontano il livello di penetrazione nell’economica legale della mafia albanese e di affari lungo la direttrice Italia-Albania.

Il mutuo finto

Nel 2018 vengono intercettati quattro cittadini albanesi che si trovano in Italia per qualche giorno. Hanno il profilo comune ad altri criminali, sono imprenditori, apparentemente insospettabili. Gli investigatori li ascoltano perché li ritengono «trafficanti di cocaina di rango internazionale». Quello che dicono racconta cosa è diventata la criminalità albanese che aveva iniziato, negli anni novanta, con lo sfruttamento della prostituzione e poi è diventata il distributore di erba per tutte le mafie oltre a occuparsi di smercio e vendita di cocaina.

Parlano proprio di cocaina, in particolare di un carico in partenza dalla Colombia che deve arrivare passando per un peschereccio in uscita dal paese sudamericano che dovrebbe incrociare uno yacht, inviato dagli albanesi, che dovrebbe fermarsi in un porto turistico per un mese prima di ripartire per non destare sospetti.

Uno dei sodali parla di un investimento appena fatto in Liguria, ha acquistato una casa da 600 metri quadrati assieme ad un terreno, lo vuole trasformare in struttura ricettiva «capace di ospitare i turisti olandesi ed austriaci che affollano quelle località». In un’altra conversazione uno dei trafficanti dice che ha comprato un’altra casa da ristrutturare, ma pagherà lo stato con fondo perduto. Il bonus edilizio è servito anche ai criminali albanesi. 

I soldi da investire sono troppi, così inizia una conversazione con un altro sodale, il facilitatore, che deve aiutarlo in Albania per realizzare un investimento senza problemi giudiziari. Il socio d'affari lo rassicura visto che, grazie alla conoscenza con un direttore di banca e del padrone dello stesso istituto di credito, potrà accendere un mutuo in grado di ripulire il denaro sporco aprendo un conto corrente che potrà chiudere nel giro di qualche mese.

Hanno già comprato anche un’altra struttura in Albania, deve diventare un enorme resort con un ristorante «con piscina, grosso parcheggio, una zona adibita a discoteca ed addirittura un’area commerciale da affittare». I soldi da investire si aggirano sui dieci milioni di euro e una parte vorrebbe destinarla nell'acquisto di quote della società albanese di gas.

La rete

Il gruppo in Italia entra in contatto con un avvocato, che svolge anche l’attività di giudice di pace in Toscana, con il quale devono condividere un affare: la costruzione di appartamenti. 

C'è un altro incontro tra gli esponenti del gruppo che getta un'ombra inquietante sui livelli di penetrazione della criminalità albanese, avviene nel gennaio 2019 sull’isola caraibica di Aruba (Antille Olandesi). Sono presenti i quattro narcotrafficanti, ma non solo, anche «esponenti imprecisati dell’attuale governo albanese in carica». Gli investigatori hanno ascoltato decine di conversazioni scoprendo la rete di amici che il gruppo criminale vanterebbe.

Poi parlano di un dipendente di un comune albanese che non si era piegato al loro volere e ai progetti di edificazione, «… deve fare tutto ciò che gli diciamo noi … se vuole stare a posto, e se vuole vivere … », dicono i componenti del gruppo.

Le indagini sono in corso e, in attesa, degli sviluppi investigativi bisogna considerare che la procura speciale albanese contro la criminalità organizzata e la corruzione, in questi anni, ha indagato e sanzionato per corruzione o abuso d'ufficio in Albania magistrati, sindaci, politici, ma anche un ex ministro dell'Interno proprio del governo Rama.

Si tratta di Samir Tahiri che è stato ministro dell’Interno dal 2013 al 2017, è finito citato proprio nel 2017 in un’inchiesta della procura di Catania su un gruppo di trafficanti albanesi dediti al traffico di marijuana verso l'Italia. Nel gruppo figuravano anche i fratelli Habilaj, parenti dell’ex ministro, il cui nome spuntava diverse volte nelle intercettazioni telefoniche effettuate dagli inquirenti italiani. 

Lo scorso anno, la corte speciale d'Appello per la corruzione e la criminalità organizzata ha condannato Tahiri a  5 anni di reclusione per abuso d'ufficio, una pena ridotta e 3 anni e 4 mesi, la procura aveva chiesto 12 anni anche per traffico di sostanze stupefacenti.

Tahiri si è sempre dichiarato estraneo alle accuse e ha fatto ricorso. A metà luglio, il parlamento albanese ha votato a favore della richiesta della procura per l’arresto dell’ex vice premier, Arben Ahmetaj, deputato dell’assemblea, indagato per corruzione e riciclaggio in una vicenda legata alla costruzione di tre inceneritori. In un paese dove il traffico di stupefacenti rappresenta il primo business delle organizzazioni criminali è inevitabile che la corruzione arrivi fino ai vertici dello stato.

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