Il costituzionalismo, inteso come movimento filosofico che ha da sempre tentato di limitare e di plasmare il potere politico, è indubbiamente uno dei pilastri delle democrazie liberali. Il suo contributo al rispetto del pluralismo è essenziale e, del resto, la gestione delle scelte in contesti democratici non si riduce al principio di maggioranza. Se, infatti, la maggioranza risultante da regolari elezioni ha il diritto di governare in democrazia, la stessa esistenza della maggioranza «presuppone, per definizione, l’esistenza di una minoranza e, in conseguenza, il diritto della maggioranza presuppone il diritto all’esistenza di una minoranza», come ricordava Hans Kelsen.

Questo spiega perché le costituzioni, in particolare quelle post-totalitarie, siano così ricche di strumenti (si pensi, ad esempio, al ruolo delle corti costituzionali) volti a garantire i diritti fondamentali, che devono appartenere a tutti e non solo ai rappresentanti della maggioranza politica di turno. Questa è quella che possiamo chiamare l’essenza “contro-maggioritaria” del costituzionalismo, che si traduce nell’esigenza di strumenti volti a controllare l’esercizio del potere, inclusa la validità delle leggi approvate dalla maggioranza politica, come ricordava Alexander Bickel.

Sarebbe tuttavia un errore descrivere questa componente contro-maggioritaria come antidemocratica, perché si finirebbe per perdere il valore aggiunto offerto dal costituzionalismo alla garanzia del pluralismo.

Populismo e costituzione

Come possiamo descrivere l’atteggiamento del populismo rispetto al costituzionalismo? L’approccio classico tende a concepire populismo e costituzionalismo come fenomeni antitetici, questa rappresentazione, tuttavia, non mi pare cogliere la complessità del fenomeno. A ben vedere, i populismi adoperano continuamente categorie proprie del costituzionalismo: popolo, maggioranza, sovranità, democrazia, solo per citare alcuni esempi. Ciò rivela l’insidia della sfida populista (specie nel caso dei populismi di governo): almeno in prima battuta, i populismi tendono a mostrarsi compatibili con la struttura delle democrazie costituzionali, salvo poi tentare di alterarne il nucleo essenziale.

Per affrontare la questione di come i populismi (specie quelli di governo) si approcciano alle costituzioni ci soffermeremo su tre elementi, identificando – più che definendo in astratto – il nucleo dei populismi.

Il primo elemento è dato dal riferimento costante all’identità, mentre il secondo è quello, se vogliamo strumentale, dato dall’appello diretto al popolo senza necessità di intermediazioni; si tratta di ciò che Luigi Corrias ha chiamato la «politica dell’immediatezza». Non è un caso che il referendum – cioè uno dei più noti strumenti di democrazia diretta – , sia stato tradizionalmente soggetto a strumentalizzazioni da parte dei populisti. Infine, i populismi, e questo ci riconduce alla tensione esistente con il costituzionalismo, si caratterizzano per un approccio radicalmente maggioritario e, in questo, sfruttano l’apparente neutralità del concetto di maggioranza. Il terzo elemento è rappresentato dall’approccio radicalmente maggioritario.

In effetti, l’aspetto della politica dell’identità rappresenta una delle caratteristiche principali dell’approccio populista alle categorie del diritto costituzionale, nella costruzione di contro-narrazioni costituzionali che frequentemente tendono alla rivisitazione dei pilastri del costituzionalismo, in particolare di quello post-totalitario. Alla fase della riscoperta dell’identità segue quella della contrapposizione fra il soggetto costituzionale per eccellenza (il “popolo”) e “l’altro”, generica macrocategoria a cui ricondurre le minoranze dissidenti.

Con riferimento alla questione dell’assenza di mediazione è noto come, nel loro tentativo di creare un rapporto diretto fra popolo e leader, i populismi finiscano per attaccare il quadro istituzionale delle democrazie rappresentative, in particolare i parlamenti, visti come sede delle élite corrotte. In questo contesto, il referendum è un congegno particolarmente esposto a rischi di strumentalizzazione, specie se non accompagnato dalle dovute garanzie. Non a caso i populismi tendono a contrapporlo spesso all’attività delle istituzioni rappresentative, scorgendo in esso e nella volontà popolare la fonte assoluta e non mediabile della verità politica.

Il referendum è un istituto nobile e rischioso del diritto costituzionale, dato che «ciò che appunto il referendum ignora è il compromesso, sul quale si fonda inevitabilmente la maggioranza di tutte le leggi in ogni stato di massa con forti contrasti regionali, sociali, confessionali e di altra specie», come ricordava Max Weber. Non a caso Davide Casaleggio ha più volte parlato dell’inevitabilità del superamento della democrazia rappresentativa.

Il terzo elemento è quello, forse, più intuitivo. Per i populismi la democrazia può essere ridotta alla mera regola della maggioranza ed è nella maggioranza che viene identificato il popolo. Le minoranze, quindi, sono percepite come altro dal popolo, come nemiche del popolo. Le costituzioni, con i loro vincoli contro-maggioritari, vengono viste con sospetto dai populisti, che le concepiscono come vere e proprie “camicie di forza” che si frappongono alla realizzazione della sovranità popolare.

La questione che ci si deve porre, allora, è la seguente: come possiamo descrivere l’uso che i populisti fanno delle categorie e degli strumenti del diritto costituzionale? Per rispondere a questo quesito si può fare riferimento a due concetti, che corrispondono a due strategie seguite dai populisti: il mimetismo e il parassitismo.

Narrazione alternativa

Con mimetismo si intende la capacità di certi movimenti di nascondersi dietro le parole del costituzionalismo, manipolandole strumentalmente. Con questo termine si fa riferimento alla strategia perseguita dai populisti di non porsi in completa antitesi con il testo costituzionale, cercando anzi di apparire conformi a quest’ultimo e tentando, quindi, di legittimarsi. I populisti, in altre parole, mostrandosi compatibili con la Costituzione, cercano di appropriarsi di alcuni suoi concetti, proponendo allo stesso tempo un’interpretazione alternativa.

Conviene fare un esempio concreto, richiamando il testo del discorso pronunciato alle Nazioni Unite dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 26 settembre 2018:

«Quando qualcuno ci accusa di sovranismo e populismo amo sempre ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall’art.1 della Costituzione italiana, ed è esattamente in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità e l’esercizio della stessa da parte del popolo. Tale impostazione non modifica la tradizionale posizione dell’Italia all’interno della comunità internazionale e di conseguenza nei confronti delle Nazioni Unite. Sicurezza, difesa della pace e dei valori che meglio la preservano, promozione dello sviluppo e dei diritti umani sono obiettivi che condividiamo e vogliamo continuare a perseguire con coraggio e convinzione, dal piano nazionale a quello globale».

Si può notare in queste battute il tentativo di legittimare populismo e sovranismo dinanzi alla Costituzione. Allo stesso tempo, si deve sottolineare anche l’interpretazione, forzata e selettiva, dell’art. 1 della Costituzione italiana. Non viene, infatti, richiamato il restante testo della disposizione che, come noto, si sofferma sulle “forme” e i “limiti” previsti dalla Costituzione in cui la sovranità popolare va esercitata.

Ci sono almeno quattro importanti ingredienti della retorica populista, spesso utilizzati per erodere i pilastri della democrazia costituzionale: 1) la concezione riduttiva (se non “riduzionistica”) del complesso concetto di democrazia, intesa dai populisti come mera regola della maggioranza; 2) la tendenza a rappresentare la volontà popolare come fonte assoluta della verità politica e giuridica e come concetto non mediabile; 3) la contrapposizione fra la “maggioranza” e gli “altri” (le minoranze), spesso descritti in termini di élite corrotte; 4) l’uso della democrazia come “asso” che prevale sugli altri principi costituzionali. Tutto ciò si lega, da ultimo, a una concezione monolitica della maggioranza, vista come entità caratterizzata da un’evidente superiorità morale.

Tornano qui le riflessioni sull’uso delle categorie proprie del costituzionalismo da parte dei populisti che, come già scritto in precedenza, procedono alla creazione di una narrazione costituzionale alternativa.

Un altro esempio eclatante è quello ungherese (dal 2010 a oggi), in cui il concetto di democrazia è stato radicalmente riletto sganciandolo dal patrimonio liberale, nell’affermazione del contro-concetto (secondo molti un ossimoro) di “democrazia illiberale”.

Anche qui un altro dei pilastri del costituzionalismo – il concetto di democrazia – viene riletto (se non stravolto) nella costruzione di una contro-narrazione costituzionale. L’evidente rigetto del costituzionalismo liberale che emerge si collega inscindibilmente a quello svuotamento concettuale delle categorie proprie del costituzionalismo che viene sistematicamente perseguito dai populismi di governo.

Il principio di maggioranza

Questa manipolazione delle categorie del costituzionalismo serve per attuare la seconda strategia dei populisti di governo: il parassitismo. Si tratta di un concetto già usato negli studi sul populismo, per esempio da Nadia Urbinati, con cui si intende la capacità di alterare – da dentro e, sfruttando, quindi, le possibilità offerte dalle procedure democratiche – le strutture valoriali delle democrazie costituzionali, trattando il principio democratico non come un astro in una costellazione di valori (con il costituzionalismo, il rispetto dei diritti delle minoranze e dello stato di diritto), ma come un super valore che prevale sugli altri sempre e comunque e che, soprattutto, viene identificato con la mera regola della maggioranza.

Ma perché il costituzionalismo è così sospettoso verso il principio di maggioranza? Perché la maggioranza è un concetto artificiale e non solamente numerico. Le maggioranze, infatti, possono essere costruite con scelte politiche e giuridiche volte a includere o a escludere qualcuno dal diritto di voto, ad esempio. Tali considerazioni inducono a diffidare di quelle ricostruzioni che presentano la maggioranza come dato neutrale da cui far derivare, in virtù di pericolosi automatismi, tutte le scelte fondamentali nella vita di un’organizzazione politica.

In altre parole, in democrazia ci sono temi su cui è bene che non sia la contingente maggioranza politica a decidere; basti pensare alla scelta di molte Costituzioni di rendere non modificabili (nemmeno con maggioranze speciali) le parti relative ai diritti fondamentali, affinché queste non possano essere sottratte alle minoranze.

Gli approcci

A costo di risultare schematico, si possono identificare tre filoni di pensiero sul rapporto fra populismo e costituzionalismo.

Il primo filone è quello che legge il rapporto in termini oppositivi e che li intende come concetti antitetici (costituzionalismo versus populismo). Il populismo è escludente, manicheo, anti-pluralista, mentre il costituzionalismo è inclusivo, pluralista e favorisce l’integrazione. Il populismo si appella a “mitiche comunità popolari” cercando il nemico politico, e ciò spiega anche i toni eclatanti dei populisti, che hanno bisogno di muri immaginari funzionali alla costruzione di un’identità escludente nei confronti degli avversari politici. Per avere conferma di questo basta guardare all’esempio delle costituzioni post-totalitarie, quelle “nate dalla Resistenza” per dirla con Costantino Mortati. Queste costituzioni sono ricche di valori che sono stati codificati come reazione al male dei totalitarismi.

Il fatto che le Costituzioni esprimano dei valori – che non siano neutrali, insomma – non deve trarci in inganno. Come ha ricordato Antonino Spadaro, infatti: «Le Costituzioni sono “di tutti” (etica pubblica generale), ma non sono “vuote” (politicamente neutre)». Con queste potenti parole si esprime il potenziale inclusivo delle Costituzioni che, una volta in essere, non rappresentano più il manifesto dei valori della fazione che ha vinto il conflitto, ma finiscono per includere anche gli appartenenti agli ex nemici, a patto che questi ultimi accettino le procedure fissate, le regole del gioco politico.

Il linguaggio del costituzionalismo non si alimenta di dinamiche amico-nemico, a differenza del populismo. I sostenitori della tesi costituzionalismo versus populismo ricordano anche l’incompatibilità fra l’approccio radicalmente maggioritario del populismo e la natura contro-maggioritaria del costituzionalismo.

Un secondo filone di pensiero (populismo e costituzionalismo) evidenzia le tensioni esistenti fra i due concetti, ma va oltre una lettura meramente oppositiva del rapporto fra costituzionalismo e populismo, suggerendo che, in realtà, il populismo si è tradizionalmente alimentato delle categorie del diritto e della teoria costituzionale (sovranità, popolo, potere costituente). In questo, è stato anche sostenuto da Luigi Corrias che il populismo «contiene una (in gran parte implicita) teoria costituzionale».

Il terzo filone va ancora oltre e nega l’opposizione fra costituzionalismo e populismo, anzi, si arriva apertamente a parlare di un “costituzionalismo populista”. Secondo questo terzo approccio (che chiameremo populismo come costituzionalismo), il costituzionalismo populista sarebbe il progetto costituzionale della democrazia illiberale, come ricorda Paul Blokker. In quest’ottica, studiare il populismo non significa studiare la causa della crisi della democrazia, ma uno dei sintomi di una crisi che ha radici lontane.

La posizione sostenuta nel mio ultimo libro è vicina a quella del secondo filone individuato, salvo per quanto riguarda un’importante differenza: a mio avviso, infatti, non si dovrebbe parlare di una teoria populista della Costituzione, quanto di una vera e propria contro-narrazione costituzionale avanzata dai populisti nella loro manipolazione strumentale delle categorie del costituzionalismo.

Adeguare le democrazie

La grande sfida del costituzionalismo consiste non soltanto nel respingere gli insidiosi attacchi del populismo alle gerarchie di valori che caratterizzano le democrazie costituzionali, ma anche nel superare un approccio puramente difensivo alle pretese populiste. È allora necessario chiedersi come le democrazie costituzionali possano incanalare le pretese populiste nelle procedure parlamentari, senza mettere a repentaglio l’eredità del costituzionalismo del Secondo dopoguerra.

Per farlo, bisogna prendere atto che gli edifici delle democrazie liberali possono presentare delle crepe e in questo non è escluso che sia possibile emancipare delle ragionevoli pretese dalla retorica populista e metterle al centro del dibattito democratico.

Un buon esempio è rappresentato dalle pretese dei tecnopopulismi: se è indubbio, infatti, che le nuove tecnologie possono migliorare il funzionamento delle democrazie, ciò che non possiamo accettare è la pretesa populista di sostituire con la democrazia del web il ruolo delle istituzioni parlamentari. 

Tuttavia, fino a quando il nostro sistema potrà escludere il voto parlamentare da remoto senza sacrificare la stessa centralità del parlamento come sede di scelta politica?

Un altro esempio riguarda il referendum. Una delle battaglie politiche del Movimento 5 stelle è stata quella di abolire il cosiddetto quorum partecipativo per i referendum non costituzionali, per compensare la bassa affluenza alle urne negli ultimi referendum. Il quorum partecipativo è una salvaguardia per evitare che una bassa maggioranza di elettori possa cancellare una legge approvata da una grande maggioranza in parlamento. Quindi, se l’eliminazione del quorum partecipativo non ha senso, potremmo invece riflettere sulla possibilità di abbassarlo.

La partecipazione, del resto, se unita alla deliberazione, è la chiave per superare la passività dei cittadini e delle istituzioni. Invece di dare al popolo l’illusione di decidere da solo sostituendo le strutture rappresentative, dovremmo migliorare le nostre istituzioni, trasformando, come diceva Alberto Alemanno, «la crescente sfiducia in una virtù democratica attiva». Ciò creerà sana pressione sui rappresentanti eletti, contribuendo a un dibattito critico e promuovendo un vero senso di appartenenza nei cittadini.

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