Dopo giorni di tensioni sembra sempre più vicino un attacco statunitense verso le basi narcos in Venezuela. La portaerei Ford, la più grande della marina statunitense, è in viaggio verso il mar dei Caraibi mentre i marines conducono esercitazioni a Porto Rico. E dal dipartimento di Giustizia arriva il via libera a Trump: non serve l’ok del Congresso per attaccare
Prima le massicce esercitazioni di sbarco sulle coste di Porto Rico. Poi la portaerei Ford, la più grande della marina statunitense, che avanza verso le acque internazionali al largo del Venezuela, accompagnata da tre navi da guerra e da un gruppo d’assalto composto da oltre quattromila marines.
Così gli Stati Uniti si tengono pronti a entrare in azione con raid mirati sulla terraferma. E mentre a Washington si accende lo scontro tra Donald Trump e il Congresso, il dipartimento di Giustizia ha dato il via libera al presidente: non serve il parere favorevole dell’assemblea per dare inizio alle operazioni militari.
Il quadro
Il dispiegamento militare nei Caraibi è tra i più imponenti che si siano visti recentemente nella regione. La portaerei Uss Gerald R. Ford, la più grande mai costruita dagli Stati Uniti, è partita con l’obiettivo di rafforzare la presenza navale nella regione. Il Pentagono parla apertamente di una missione anti-narcotraffico, ma il perimetro si sta rapidamente ampliando.
In attesa dell’arrivo della Ford, i movimenti già avviati raccontano un’escalation concreta: a Porto Rico i marines del ventiduesimo reggimento stanno conducendo esercitazioni costiere a pieno ritmo, con simulazioni di sbarco e infiltrazione supportate da elicotteri e mezzi anfibi. Sulla terraferma, la vecchia base di Roosevelt Roads, riattivata nei mesi scorsi, è tornata operativa e ospita già mezzi e personale specializzato. E mentre le forze si dispongono, questa mattina è arrivato un altro attacco: un aereo statunitense ha colpito un’imbarcazione di narcos uccidendo tre persone. Il dipartimento della Difesa ha confermato che l’obiettivo era stato monitorato per giorni in vista dell’operazione.
Ormai sembra essere una questione di ore o di giorni. Non ci sarà l’invasione del Venezuela, questo è chiaro. Nemmeno gli analisti più aggressivi immaginano un piano come quello attuato a Panama, con carri armati e truppe per le strade. Ma i marines Usa sono pronti a compiere raid mirati sulla terraferma per colpire obiettivi precisi e infrastrutture utilizzate dai narcos.
Secondo il Washington Post e fonti del Pentagono confermate da Reuters, l’intelligence statunitense ha identificato almeno cinque obiettivi in territorio venezuelano: depositi di droga, centri logistici e piste clandestine legate ai cartelli. Alcuni di questi, sostiene Washington, operano con il tacito consenso delle autorità.
La politica
E mentre nel mare dei Caraibi procede il dispiegamento americano, da Washington è arrivato oggi il segnale che la macchina militare può muoversi senza più ostacoli politici. Il dipartimento di Giustizia ha trasmesso al Congresso una comunicazione formale in cui chiarisce che le operazioni in corso, compreso il raid aereo di questa mattina, non richiedono un’autorizzazione specifica.
La motivazione è tecnica, ma cruciale: non si tratta di un’azione di guerra secondo i criteri della War Powers Resolution del 1973, perché non prevede truppe a terra né un coinvolgimento diretto in combattimenti. Il presidente Trump, quindi, ha mano libera per proseguire. Il segretario alla Difesa, Pete Hegseth, ha già firmato l’estensione operativa per colpire altri bersagli sospetti legati al narcotraffico. Nessuna conferenza stampa, nessun annuncio formale: la linea sembra essere quella dell’azione rapida, decisa, senza passaggi intermedi.
Una situazione che il Venezuela affronta chiamando a raccolta i suoi alleati. Nei giorni scorsi, il presidente Nicolás Maduro avrebbe inviato lettere a Vladimir Putin e Xi Jinping sollecitando supporto militare. A Mosca si chiede una «cooperazione più ampia» per rispondere all’escalation Usa; a Pechino si parla di un attacco che colpisce «un’ideologia comune».
Per il momento la risposta di Mosca è stata pacata con il Cremlino che, tramite il portavoce Dmitrij Peskov, ha fatto sapere di star monitorando la situazione. «Vogliamo che tutto rimanga pacifico – ha detto Peskov – e non vogliamo che sorgano nuovi conflitti. Il mondo è già pieno di conflitti, non ne abbiamo bisogno di nuovi».
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