Un’altra incriminazione per Trump, una nuova difficoltà per la sua campagna elettorale. E non dal punto di vista dei consensi. Dopo una lunga attesa, per l’ex presidente è arrivata l’imputazione che il 20 gennaio 2021 appariva più scontata, quella relativa al tentativo di rovesciamento del risultato elettorale delle elezioni presidenziali del 2020, che secondo il procuratore Jack Smith è stata fatta “sapendo di aver perso” e “facendo affermazioni false”.

Una delle accuse è anche quella di aver violato l’Enforcement Act, una legge del 1870 varata dall’amministrazione del presidente Ulysses Grant per colpire quelle bande sudiste che impedivano ai neri di votare, ivi compresa la prima incarnazione del Ku Klux Klan, fondato dall’ex generale confederato Nathaniel Bedford Forrest.

Un editoriale del professor Richard Hasen, docente di giurisprudenza all’Ucla di Los Angeles, pubblicato sulla rivista online Slate, dichiara “quest’incriminazione sarà la più importante della storia americana” perché di fatto prende di petto un attacco chiaro all’ordinamento costituzionale americano.

E quindi a poco vale ricordare che insieme a Trump ci sono altri sei coimputati, che corrispondono ai suoi legali di allora: oltre al notissimo Rudy Giuliani, ex sindaco di New York che in quei giorni si rese ridicolo con conferenze stampa sempre più surreali, ci sono anche la sostenitrice della teoria di Qanon Sydney Powell, così come altre figure secondarie.

Le incriminazioni

Si sa: in genere queste incriminazioni non fanno altro che provocare la solita reazione: Trump che afferma di essere una vittima della “politicizzazione del dipartimento di giustizia”, gli alleati repubblicani che attaccano il presidente Joe Biden che “vuole insabbiare gli scandali del figlio Hunter”(che pure non sono cose di poco conto), i sondaggi che crescono, i competitor alle primarie che sono indecise tra il balbettare qualche frase incerta per non inimicarsi la base elettorale e attacchi sperticati che però non portano consensi.

Peraltro, all’elenco delle incriminazioni, che comprendono il pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels usando diciture fraudolente e l’occultamento di documenti secretati nei bagni della sua residenza di Mar-a-Lago, manca ancora un’imputazione relativo alle elezione in Georgia, dove il presidente chiamò il segretario di Stato Brad Raffensperger dicendogli di trovargli “diecimila voti”.

La procuratrice Fani Willis, che indaga sulla vicenda, non ha ancora inviato a Trump nessun invito a comparire e alcuni commentatori si chiedono il perché. La diretta interessata ha dichiarato che la decisione arriverà entro settembre e che la sua sicurezza personale, negli ultimi mesi, è stata messa in pericolo da numerose minacce di morte ricevute via mail e attraverso i sistemi di messaggistica istantanea.

Non solo: dato che il processo si dovrebbe tenere nella contea di Fulton, dove si trova la capitale Atlanta, c’è un rischio più alto che un pezzo di giuria, vicino ai repubblicani, blocchi il verdetto o costringa a ripetere il processo. Non solo: a dilazionare i tempi c’è anche il patteggiamento che hanno fatto alcuni testimoni, colti sul fatto nel mentire sotto giuramento. Un’eventualità che potrebbe preannunciare brutte sorprese per il presidente.

Casse quasi vuote

Quando questa decisione verrà presa, saranno quattro i processi a cui Trump dovrà far fronte. E forse non basteranno i consensi in ascesa alle primarie per farvi fronte. Secondo un’inchiesta del New York Times, al momento la campagna di Trump ha soltanto in cassa la cifra striminzita di quattro milioni di dollari. Un crollo, se si pensa che a inizio 2023 c’erano 105 milioni.

E nelle scorse settimane circa 12 milioni e mezzo destinati a pagare gli spot televisivi contro il suo principale avversario, il governatore della Florida Ron DeSantis, sono stati girati al capitolo dedicato alle spese legali. E anche i dati della Federal Electoral Commission dimostrano che le ultime incriminazioni non garantiscono più quel gran balzo in avanti nella raccolta fondi che c’era stata dopo l’arresto nel tribunale di Manhattan, quando in poche ore erano stati raccolti 4 milioni di dollari.

Al momento quindi Trump è in una posizione estremamente fragile. Perché le sue condizioni economiche possono contribuire, se non a un cambiamento di rotta delle primarie, a una dolorosa sconfitta nelle presidenziali del prossimo. Perché al momento, pur essendo il chiaro favorito, la sua base non si sta ampliando. Siamo lontanissimi dai consensi del 2020 ma anche del 2016, un fatto particolarmente grave dati gli scarsi numeri della popolarità di Joe Biden.

E una continuazione dello show di Trump dentro e fuori i tribunali potrebbe presto stancare quel pezzo di elettorato indipendente deluso dalla svolta a sinistra del presidente in carica, senza portare giovamento a un Trump sempre più attento al finanziare le sue spese legali e ad accontentare i suoi sostenitori radicalizzati, con poche chance sia di vincere che di evitare di salvarsi da queste crescente mole di impegni in tribunale, che gli sta svuotando le casse.

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