Da oltre un anno, parlando con i suoi collaboratori più stretti, il numero uno di Leonardo Alessandro Profumo si lamenta del trattamento che gli è stato riservato dai giudici milanesi nell’ambito del secondo troncone di processo sul Monte dei Paschi di Siena. Nel marzo del 2021 il tribunale ha infatti condannato il manager a sei anni di carcere per falso in bilancio e aggiotaggio per i derivati Santorini e Alexandria, insieme all’ex amministratore delegato dell’istituto Fabrizio Viola. Gli stessi famosi contratti utilizzati dal suo predecessore Giuseppe Mussari per confondere – secondo le accuse degli inquirenti – gli investitori sul reale stato di salute della banca dopo la rovinosa acquisizione di Antonveneta nel 2008.

Per quei fatti, anche Mussari era stato condannato: la pena comminata nel 2019, a conclusione del processo di primo grado del primo troncone del maxi-procedimento sulla banca, era di sette anni e mezzo di carcere. A comminarglieli era stata la seconda sezione del tribunale di Milano, la stessa che ha poi giudicato Profumo. Una sezione specializzata in materia finanziaria che si è dunque convinta che non c’era stata trasparenza sui derivati nemmeno dopo la cacciata di Mussari e l’arrivo di Profumo e Viola.

Assoluzioni

Qualche giorno fa, però, nella vicenda Mps è arrivato un colpo di scena inatteso: la corte d’Appello di Milano ha ribaltato la sentenza su Mussari, assolvendo il banchiere e tutti gli altri coimputati. «Il fatto non sussiste», hanno scritto i giudici di secondo grado. Un’assoluzione piena che ha lasciato impietriti gli avvocati dei risparmiatori traditi, che sono stati pure condannati a pagare le spese processuali.

Bisognerà attendere le motivazioni per capire il merito del dispositivo, ma quel che è certo è che – oltre all’umore di Mussari – è cambiato in meglio anche quello di Profumo. «Se Mussari è innocente difficilmente la corte d’Appello di Milano potrà dichiarare colpevole l’attuale presidente di Leonardo. I derivati sono gli stessi, lui li ha ereditati dal suo predecessore apportando qualche lieve modifica», commentano fiduciosi dal suo entourage.

Nulla si può in realtà escludere. Il filone d’indagine è infatti diverso, ma Profumo – che è riuscito a rimanere amministratore di Leonardo nonostante la dura condanna e gli attacchi continui di Matteo Salvini e di pezzi del M5s – ha certamente più chance di ribaltare il verdetto. E di giocarsi tra meno di un anno la partita delle nomine delle partecipate di stato senza un fardello che lo terrebbe fuori dai giochi.

Il passaggio chiave del processo d’appello sarà sempre lo stesso: Profumo e Viola, quando hanno gestito l’eredità di Mussari chiedendo ai risparmiatori fiducia in modo da evitare il collasso dell’istituto (e a cascata del sistema bancario italiano), sono stati davvero trasparenti e in buona fede in merito alle reali condizioni finanziarie in cui versava la banca senese?

Di sicuro i vari cda di Mps che si sono succeduti hanno sempre difeso il vecchio management, stoppando le richieste di un’azione di responsabilità nei loro confronti. Perfino dopo la pesante sentenza in primo grado in cui Profumo veniva descritto come un soggetto dalla «spiccata capacità a delinquere». Un giudizio che ha portato uno dei più acerrimi nemici del banchiere, il finanziere Giuseppe Bivona numero uno del piccolo fondo speculativo Bluebell (e recordman di esposti contro Profumo e i dirigenti di Mps), a chiedere un anno fa al cda di Leonardo di sfiduciare il suo ad.

Bivona è uno dei protagonisti assoluti della vicenda Mps. In veste da un lato di “grande accusatore” dei presunti magheggi di Mussari e Profumo; dall’altro consulente di parte civile nel processo e di alcuni soci forti (tra cui il fondo Alken) in causa con l’istituto senese per via delle perdite subite dai loro investimenti.

L’assoluzione di Mussari è stato dunque una sorpresa spiacevole anche per lui, che da anni afferma come Monte dei Paschi abbia contabilizzato in bilancio miliardi di derivati come fossero titoli di stato. Un’errata contabilizzazione iniziata con Mussari e proseguita, secondo Bivona le cui denunce hanno dato il via a vari filoni d’indagine, «anche quando gli amministratori erano Profumo e Viola». Per i giudici di appello che hanno assolto Mussari, quest’assunto è errato.

Crediti deteriorati

A oltre un anno dal verdetto di condanna, il processo di secondo grado su Viola e Profumo però non solo non è cominciato, ma a oggi non è stato nemmeno calendarizzato. Servirà dunque tempo per capire se la sentenza d’appello sovvertirà il destino giudiziario di Profumo come avvenuto per Mussari oppure confermerà la condanna (in attesa, ovviamente, delle decisioni della Cassazione).

Si vedrà. I guai per l’ad di Leonardo al palazzo di giustizia di Milano non sono però legati solo ai derivati. Mancano infatti due settimane al termine delle indagini in merito a un altro filone sul tracollo finanziario della banca toscana. Quello meno conosciuto, ma forse più significativo: la gestione contabile dei cosiddetti “crediti deteriorati”, che vede di nuovo Profumo e Viola indagati. I pm Giovanna Cavalleri e Roberto Fontana stanno limando il loro dispositivo. Nel quale potrebbero chiedere un rinvio a giudizio (anche in caso di nuovo processo la poltrona di Profumo non traballerà, almeno finché al governo siedono Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco) o un’archiviazione, come invocato già più volte dai pm che se ne sono occupati prima di Cavalleri e Fontana (Stefano Civardi, Giordano Baggio e Mauro Clerici).

Nel filone dei “crediti deteriorati” sono indagati altri nomi di spicco della finanza italiana arrivati a Siena dopo il regno di Profumo e Viola, tra i quali l’attuale presidente del Banco Bpm Massimo Tononi e Marco Morelli, ex ad di Mps dal 2016 al 2020 e oggi manager del gruppo assicurativo francese Axa. Senza dimenticare Alessandro Falciai, imprenditore ed ex uomo di punta del gruppo Mediaset.

Per Profumo il rischio di un altro rinvio a giudizio è alto, soprattutto dopo il deposito della perizia ordinata dal gip Guido Salvini ai commercialisti Gian Gaetano Bellavia e Fulvia Ferradini. I due professionisti hanno lavorato oltre un anno per produrre cinquemila pagine di consulenza tecnica, nella quale è stato analizzato il trattamento di più di mille posizioni creditorie della banca per verificare se fossero o meno da svalutare come hanno chiesto, a più riprese, sia Banca d’Italia sia la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi.

Come per l’affaire derivati Santorini e Alexandria, anche sulla vicenda dei crediti deteriorati la procura di Milano ha chiesto per Profumo e Viola l’archiviazione. Respinta seccamente dal gip Salvini su richiesta degli avvocati di parte civile: l’ex banchiere è ancora iscritto nel registro degli indagati per falso in bilancio.

Salvini ha così ordinato ai pm di approfondire il lavoro d’indagine fatto fino a quel momento, e ha acconsentito successivamente a un incidente probatorio nel quale si è prodotta la perizia Bellavia-Ferradini. Che prima ha demolito la relazione dei consulenti della procura Lara Castelli e Roberto Tasca, alla base della richiesta di archiviazione degli ex manager, e poi ha evidenziato mancate svalutazioni di crediti deteriorati lordi per miliardi di euro. Somme enormi, che avrebbero minato il patrimonio di Mps e causato perdite gigantesche sul conto economico.

La perizia del commercialista Bellavia (volto pubblico perché spesso intervistato da Report, da Michele Santoro e Massimo Giletti) ha comunque dato il colpo finale alla linea innocentista della procura nei confronti di Profumo, con i tre pubblici ministeri titolari di tutti i filoni milanesi di Mps che hanno deciso di fare un passo indietro, lasciando il fascicolo a Cavalleri e Fontana.

Bivona contro tutti

Sulla scelta ha pesato, con ogni probabilità, lo scontro durissimo con il gip Salvini. E le accuse di sospetta inerzia investigativa lanciate di nuovo da Bivona. Dopo un suo esposto alla procura di Brescia competente sui giudici di Milano, i tre pm sono stati addirittura indagati per omissione di atti d’ufficio in merito a una presunta ritrosia a indagare sul banchiere genovese. Qualche settimana fa i magistrati titolari del fascicolo hanno chiesto però l’archiviazione delle accuse contro i colleghi milanesi, mentre l’indagine gemella su Francesco Greco (anche lui accusato da Bivona della medesima ignavia) è ancora aperta. Il finanziare del fondo Bluebell si era già lamentato del comportamento della procura meneghina durante il processo a Profumo, e aveva scritto al Consiglio superiore della magistratura per ben due volte per protestare.

«Bivona da consulente delle parti civili ha dato un grosso contributo alla condanna di Profumo», spiega chi è vicino al dossier e vede nel finanziere una sorta di cavaliere senza paura capace di scontrarsi con i poteri forti, i banchieri, le autorità di vigilanza (in primis Banca d’Italia) che dovevano controllare e che non lo hanno fatto. Dopo l’assoluzione di Mussari, però, anche lui si gioca molto: dovessero esserci nuove assoluzioni per i suoi nemici, anche il suo ruolo nella faccenda (a metà tra speculatore “attivista” e paladino dei risparmiatori) rischia di essere messo in discussione.

 

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