Vladimir Putin non poteva scegliere che Pechino per la sua prima visita di stato dopo la rielezione, la quarta, alla guida della Federazione russa. Per una questione di forma, perché Xi Jinping aveva fatto altrettanto andando a Mosca (20-22 marzo 2023) subito dopo che l’Assemblea nazionale del popolo gli aveva conferito il terzo mandato presidenziale.

Ma anche di sostanza, perché il conflitto in Ucraina – tra l’avanzata russa e i massicci aiuti militari Usa – sembra avviarsi verso una fase più acuta, così come la nuova Guerra fredda. Per i due leader è il momento di ostentare la massima unità. E così Putin ha sfilato spalla a spalla con Xi su un tappeto rosso in piazza Tiananmen e passato in rassegna le truppe tra marce militari e cori di bambini festanti. Un’accoglienza che si riserva agli alleati più fedeli.

L’incontro tra Xi e Putin – il quarantatreesimo in presenza in 12 anni – è stato preceduto dall’annuncio che la partnership tra i due paesi, già definita «senza limiti» il 4 febbraio 2022 (venti giorni prima dell’invasione dell’Ucraina), è stata ulteriormente rafforzata. Fuor di metafora, Putin ha spiegato così i suoi obiettivi, in un’intervista all’agenzia Xinhua: «Cercheremo di stabilire una più stretta cooperazione industriale e tecnologica, spaziale e sull’energia nucleare civile, sull’intelligenza artificiale, sulle fonti energetiche rinnovabili e altri settori innovativi». Xi è pronto ad accontentare il «caro amico» Putin?

«Nuova governance globale»

Il settantunenne ex funzionario del Kgb e il settantenne figlio del rivoluzionario comunista Xi Zhongxun hanno partecipato anche alle celebrazioni del settantacinquesimo anniversario del riconoscimento della Repubblica popolare cinese da parte dell’allora Unione sovietica.

Tre quarti di secolo di rapporti altalenanti, scossi da divergenti interpretazioni del socialismo, dalla rottura sino-sovietica del 1960, dalla destalinizzazione lanciata da Kruscev al XX congresso del Pcus che avrebbe potuto intaccare l’autorità di Mao, dagli scontri di confine tra i rispettivi eserciti nel 1969 e dalla visita a Pechino (15-18 maggio 1989) dell’uomo della “perestroika”, Michail Gorbacev, che contribuì ad alimentare il movimento di Tiananmen.

Poi però, lentamente, fin dalla segreteria di Jiang Zemin (1989-2002), la Cina ha costruito una relazione più stabile con l’enorme vicino, che Xi ha trasformato in una quasi alleanza (i due paesi intrattengono una collaborazione militare tuttora limitata), cementata dal timore reciproco per i cambiamenti di regime e per le “interferenze” dell’Occidente: dalle Primavere arabe iniziate nel 2010 a Euromaidan, tre anni più tardi, fino alla rivolta di Hong Kong del 2019.

Sono passati più di due anni dall’aggressione russa all’Ucraina – mai condannata da Pechino – e, nonostante le continue pressioni statunitensi ed europee, Pechino non dà alcun cenno di volersi staccare da Mosca. Alla vigilia dello sbarco in Cina di Putin, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova (sinologa, 12 anni a Pechino tra il 1981 e il 1993 con il padre diplomatico), ha dichiarato: «Non c’è dubbio che, a causa degli attuali cambiamenti tettonici nella situazione internazionale, accompagnati dai tentativi dei paesi occidentali di ostacolare lo sviluppo sostenibile dei nostri paesi, Russia e Cina continueranno a resistere fianco a fianco contro tutte le sfide e minacce esterne».

Xi le ha fatto eco, affermando che «le relazioni sino-russe hanno superato la prova del cambiamento delle dinamiche internazionali e hanno stabilito un modello per i grandi paesi e i paesi vicini di rispetto reciproco, sincerità, coesistenza armoniosa e cooperazione reciprocamente vantaggiosa».

Il numero uno del Partito comunista ha ribadito che «Cina e Russia sono impegnate nel coordinamento strategico come sostegno delle relazioni e a indirizzare la governance globale nella giusta direzione».

Pace in Ucraina? Sì, ma

Ai colloqui – con al centro l’Ucraina, l’Asia, questioni energetiche e commerciali – assieme a Putin hanno preso parte il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, il segretario del Consiglio di sicurezza, Sergei Shoigu, il consigliere di politica estera, Yuri Ushakov, e il nuovo ministro della Difesa, Andrei Belousov.

La nomina di quest’ultimo a Pechino viene interpretata come un segnale che la guerra potrebbe durare ancora a lungo, comunque non fermarsi quest’anno: l’ex vice primo ministro è considerato una figura chiave, in grado di soddisfare le crescenti esigenze dell’esercito senza compromettere lo sviluppo economico del paese.

Xi ha chiesto a Putin di partecipare a quella “tregua olimpica globale” (Medio Oriente compreso) alla quale il presidente cinese si è detto favorevole nel suo recente incontro con il suo omologo francese Emmanuel Macron? Nei comunicati e nelle dichiarazioni pubblicate finora non ve n’è traccia.

«Le due parti ritengono che una soluzione politica sia la giusta soluzione alla crisi ucraina», si legge nel resoconto di Xinhua. «La Cina spera che la pace e la stabilità ritornino presto nel continente europeo ed è pronta a svolgere un ruolo costruttivo a tal fine».

Dopo l’incontro a Pechino, il 26 aprile, tra il segretario di Stato Usa Antony Blinken e Xi – che il 6 maggio ha visto a Parigi Macron assieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen – si sono intensificate le pressioni internazionali sulla Cina per fermare l’interscambio a “doppio uso” (civile e militare) con la Russia. L’avvertimento di Blinken su possibili nuove sanzioni contro banche e compagnie cinesi, oltre a quelle che già ne colpiscono un centinaio, è stato chiaro: «Se la Cina non affronta questo problema, lo faremo noi».

Conti e commercio bloccati

Da quando, nel dicembre scorso, il presidente Usa, Joe Biden, ha varato l’ordine esecutivo per sanzionare le banche che intrattengono rapporti con la macchina bellica russa, diversi istituti di credito cinesi hanno bloccato o rallentato le transazioni con i clienti russi.

Secondo uno studio dell’Università Renmin di Pechino, a partire da marzo sarebbero stati sospesi l’80 per cento dei pagamenti tra Cina e Russia, che nel 2023 hanno registrato il record di 240 miliardi di dollari nel commercio bilaterale, raddoppiato rispetto a due anni prima.

Un segnale che Pechino è pronta a collaborare con Usa e Ue, negando a Mosca tecnologie importanti per la guerra? L’accoglienza riservata a Putin suggerisce di no, e, del resto, cosa offrirebbero in cambio Washington e Bruxelles?

Alexandra Prokopenko, ex consigliera della Banca centrale russa, ha spiegato alla France Presse che la svolta asiatica di Mosca in tempo di guerra ha visto il «perfezionamento di un sistema per i pagamenti transfrontalieri nelle valute nazionali (yuan e rublo)» per affrancarle dal dollaro. Un meccanismo che consente alle banche di saltare le tradizionali infrastrutture finanziarie come lo SWIFT, isolandole dagli effetti delle sanzioni.

Gli attuali problemi di pagamento dalla Russia alla Cina dimostrano però, secondo Prokopenko, che il sistema sperimentato non è una “panacea”, anche se «Mosca e Pechino sono piuttosto abili nell’adattare i processi a un ambiente in continua evoluzione».

Intanto Putin ha invitato personalmente Xi al prossimo vertice dei Brics, che si svolgerà a ottobre a Kazan, che potrebbe registrare un ulteriore allargamento del forum al centro del tentativo comune di sostituire l’ordine liberale con uno “multipolare”.

La delegazione di Mosca ha inoltre proposto per l’ennesima volta a Pechino la costruzione di Power of Siberia 2, il gasdotto che dovrebbe portare 50 miliardi di metri cubi di gas (precedentemente venduti all’Europa) dalla Russia alla Cina, passando per la Mongolia. I negoziati sono in corso da tempo, ma è difficile trovare un accordo sul prezzo delle forniture. Per ridurre la sua dipendenza dal carbone la Cina prevede – secondo uno studio di BBVA – di aumentare il suo consumo di gas da 394 miliardi di metri cubi l’anno scorso a 550-600 miliardi di metri cubi entro il 2030.

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