Mentre nel nostro paese si continua a criminalizzare il consumo, i tedeschi propongo un modello che si fonda su tre elementi: possesso personale legale, autoproduzione fino a tre piante e Cannabis e associazioni senza scopo di lucro che possono coltivare e distribuire ai propri membri. La parziale legalizzazione non ha creato un boom di consumi, ha solo tolto una quota di popolazione dall’area penale. Ma resta il paradosso del mercato nero
Il primo aprile 2024 la Germania ha compiuto una scelta che in Italia continua a sembrare impronunciabile: togliere la cannabis dalla dimensione penale. Non una liberalizzazione commerciale, non un mercato di negozi e branding, ma un modello controllato fondato su tre elementi: possesso personale legale, autoproduzione fino a tre piante e Cannabis Social Club, associazioni senza scopo di lucro che possono coltivare e distribuire ai propri membri. Un compromesso politico, sì, ma capace di rovesciare la logica su cui per decenni è stata costruita la “guerra alla droga”.
Crollano i «reati di consumo»
A diciotto mesi dall’entrata in vigore, il monitoraggio ufficiale del progetto Ekocan disegna un quadro preciso: i cosiddetti «reati di consumo» sono crollati tra il 60 per cento e l’80 per cento. A Berlino, dove i dati sono più completi, si passa da 8.430 casi dell’anno precedente a 2.300 nell’anno successivo all’approvazione della legge: un calo del 72,7 per cento. Quei procedimenti non scompaiono perché i consumatori sono diminuiti, ma perché non sono più reati. Le forze dell’ordine, liberate dall’obbligo di registrare e perseguire il semplice possesso, si concentrano sulle attività di traffico e distribuzione illegale. Si chiama “deflazione penale”, ed è il primo effetto tangibile della riforma.
La depenalizzazione non crea un nuovo mercato
La seconda parte del monitoraggio riguarda la salute pubblica. Le previsioni catastrofiche su un “boom” di consumi non si sono materializzate. Tra gli adulti, la tendenza di lungo periodo resta stabile, senza salti. Tra i giovani, i dati mostrano la prosecuzione di un trend in calo iniziato nel 2019. Le segnalazioni ai servizi di assistenza minorile diminuiscono, e l’analisi delle acque reflue nelle grandi città parla chiaro: nessun aumento improvviso dei residui di Thc. La legalizzazione non ha creato un nuovo mercato; ha semplicemente tolto una quota di popolazione dall’area penale, senza effetti sanitari rilevanti nel breve periodo.
Ma i consumatori si rivolgono ancora al mercato nero
Il punto debole della riforma si trova altrove: nel mercato. I Cannabis Social Club coprono meno dello 0,1 per cento della domanda nazionale e il canale medico si assesta tra il 9 per cento e il 13 per cento. La maggior parte dei consumatori continua ad autoprodurre o a rivolgersi al mercato nero. Qui si concentra la principale contraddizione del modello tedesco: la legalità dell’uso è già realtà, ma l’accesso legale resta limitato. I Länder guidati dai conservatori hanno rallentato l’autorizzazione dei club con richieste burocratiche temute come deterrente politico. La riforma funziona sul versante giudiziario, meno su quello della sostituzione economica del nero. Ma la direzione è chiara: l’offerta legale cresce gradualmente, sottraendo rendita al traffico.
In Italia il 34 per cento della popolazione carceraria per violazione della legge sulle droghe
In Italia, nel frattempo, il sistema rimane fermo a un paradigma opposto. Il DPR 309/90 continua a produrre effetti strutturali: oltre il 34 per cento della popolazione carceraria è detenuta per violazioni della legge sulle droghe, quasi il doppio della media europea. Nel 2023, 10.697 ingressi in carcere sono stati causati dall’articolo 73, e più di 1,5 milioni di persone dal 1990 sono state segnalate alle prefetture per l’uso personale (art. 75). La giurisprudenza prova a correggere il sistema a piccoli passi – la Corte costituzionale ha aperto alla messa alla prova per i fatti di lieve entità – ma l’impianto repressivo resta intatto.
Il dato più sorprendente, e forse più politicamente destabilizzante, è che anche in Italia il consumo giovanile ha registrato un lieve calo nell’ultimo anno (dal 22 per cento al 21 per cento tra i 15-19 anni). Dunque, un proibizionismo ad alta intensità penale e una legalizzazione controllata producono lo stesso esito sanitario: stabilità o calo dei consumi. Il che suggerisce che la variabile determinante non è la legge penale, ma il contesto sociale, educativo, culturale.
La domanda, a questo punto, non è ideologica ma amministrativa: che cosa ottiene l’Italia criminalizzando ciò che altri paesi gestiscono come fenomeno sociale? Il nostro sistema spende risorse pubbliche per perseguire comportamenti non violenti, riempie le carceri, ingolfa le procure, e alimenta un mercato nero che vale tra i 6 e i 9 miliardi di euro l’anno, ricchezza che scorre diretta verso le organizzazioni criminali.
L’esperienza tedesca non offre un modello perfetto né immediatamente trasferibile. Ma indica una verità di cui la politica italiana continua a non farsi carico: la repressione non riduce i consumi. Aumenta solo i costi collettivi. E oggi abbiamo dati, non opinioni, per dirlo.
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