A quattro mesi dall’invasione della Russia in Ucraina è possibile fare un primo bilancio che possa prevedere chi vincerà questa guerra? In questi 120 giorni abbiamo assistito a diverse valutazioni sull’andamento del conflitto - “cattiva pace”, “la Russia ha perso”, “l’Occidente ha vinto” – oggetto di lunghi e accesi dibattiti.

L’esempio più eclatante è stata l’intervista di Henry Kissinger, travisata dai media italiani e internazionali, nella quale l’ex segretario di Stato americano avrebbe consigliato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, di cedere territori alla Russia per porre fine alla guerra.

Intervistato all’evento del Berggruen Institute qualche settimana fa, Kissinger ha ribadito che la sua proposta coincideva con quella del presidente ucraino: «Idealmente, la linea di confine dovrebbe essere un ritorno allo status quo ante» ovvero il ritiro della Russia da tutti i territori occupati dopo il 24 febbraio.  E qui sorge il problema. I leader occidentali sono veramente convinti che Vladimir Putin accetti una soluzione di questo tipo?

È ormai evidente che il venti per cento del territorio ucraino conquistato è considerato un territorio annesso alla Federazione russa dal Cremlino. I provvedimenti amministrativi che sono stati implementati nella regione del Donbas e alcuni successi militari a livello tattico dimostrano,  come ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, quanto «la fine del conflitto sia ancora lontana».

Possiamo, quindi, affermare che la Russia sta perdendo la guerra? Come misurare la vittoria o la sconfitta di un paese in una “guerra globalizzata” senza precedenti storici?

Sta vincendo la Russia

Russian President Vladimir Putin speaks with Russian Defence Minister Sergei Shoigu during a wreath laying ceremony at the Tomb of Unknown Soldier in Moscow, Russia, Wednesday, June 22, 2022, marking the 81st anniversary of the Nazi invasion of the Soviet Union. (AP Photo/Alexander Zemlianichenko, Pool)

Ripercorriamo quelle che sono state le principali analisi e previsioni sulla Russia, talvolta interessanti, ma spesso superficiali e ridicole, che sono state fornite all’opinione pubblica mondiale.

Alcuni esperti di strategia militare ci hanno spiegato che l’esercito russo aveva a disposizione vecchi carri armati di progettazione sovietica degli anni Cinquanta del Novecento o i T-62 degli anni Settanta che sono stati facilmente distrutti dall’esercito ucraino.

Tuttavia, abbiamo poi assistito a un cambio dei generali russi al commando che ha determinato una migliore resa sul campo nella parte orientale dell’Ucraina, con una più moderna artiglieria e carri armati Terminator-2 capaci di annientare anche minacce aeree.

È plausibile ritenere che il Cremlino abbia deciso di utilizzare ciò che era rimasto nei magazzini nella prima fase del conflitto per passare in un secondo tempo ad armi più potenti.

Sarebbe un errore pensare che il Cremlino stia bluffando ogni qual volta annunci armi più sofisticate, come è il caso del missile balistico intercontinentale Sarmat (previsti 50 pezzi entro la fine dell’anno): si può discutere sul potenziale militare della Russia, ma non dimentichiamo il suo potenziale nucleare.

Ci è anche stato detto che entro la metà di aprile la Russia avrebbe subito un default economico. Anche su questo argomento, le previsioni sono state smentite. Grazie alle capacità della governatrice della Banca centrale russa, Evira Nabiullina, la Russia è riuscita a scongiurare il fallimento economico, ad ammortizzare gli effetti delle sanzioni sulla popolazione (aumento del 10 per cento delle indicizzazioni delle pensioni e stabilità del mercato del lavoro) e sul valore del rublo.

Eppure, gli esperti occidentali hanno sempre affermato che un paese che ha il Pil più basso dell’Italia e rischi inflazionistici elevati non può resistere a lungo.

Ma gli indicatori più usati in occidente, come Pil e inflazione, mal si adattano a misurare lo stato di salute di un “Petrostato” che, dall’inizio della guerra, ha incassato 51 miliardi di euro con le vendite energetiche ai paesi dell’Ue e 7,4 miliardi dai paesi Brics.

Solo la “chiusura” dei rubinetti metterebbe in serie difficoltà il sistema economico russo e garantirebbe maggiori probabilità di successo all’Ucraina.

Putin resiste 

Passiamo alla terza previsione: il cambiamento di regime. Si è parlato del ruolo degli oligarchi, che colpiti dalle sanzioni avrebbero organizzato la destituzione del presidente.  

Si è anche speculato per mesi sui presunti problemi di salute (tumore, Parkinson…) del presidente russo, cercando qualsiasi indizio che provasse una sua imminente uscita di scena.

Chi conosce il sistema politico russo sa che la “seconda generazione degli oligarchi” ha un patto con il presidente Putin in base al quale ciascuno adempie al proprio compito: gli oligarchi devono pagare le tasse, poco importa quanto si arricchiscono, ma non devono entrare in politica.

Chiunque voglia organizzare un colpo di Stato deve necessariamente appoggiarsi alle due fazioni dominanti nel Cremlino: l’esercito militare e l’apparato di sicurezza. Senza il loro sostegno nessun oligarca, politico o funzionario può destituire il presidente Putin.

Pensare di porre fine al conflitto nel breve-medio periodo “sperando” nella successione o nella morte di Putin significa non avere un piano concreto per destabilizzare la Russia.

Stessa valutazione per quanto riguarda una “rivoluzione dal basso”.  È  impensabile, anche a causa dell’aumento delle politiche repressive (detenzione sino a vent’anni per chi si oppone al conflitto) e di atti di delazione diffusi nei luoghi di lavoro, pensare che il popolo russo possa reagire contro il Cremlino.

I sondaggi dimostrano quanto la frattura generazionale incida sull’andamento del consenso nei confronti del loro presidente e che è tornato alle percentuali (83 per cento) successive all’annessione della Crimea nel 2014.

I processi di revisioni storica e la propaganda mediatica in chiave antiamericana e antioccidentale incidono fortemente nella mappa cognitiva degli over 50 che vedono in Putin colui che ha stabilizzato economicamente e politicamente il paese dopo i traumatici anni Novanta. Chi si oppone ha solamente due opzioni: il carcere o l’emigrazione.

Il bilancio

In this photo provided by the Ukrainian Presidential Press Office, Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy, right, and UNHCR Goodwill Ambassador Ben Stiller shake hands during their meeting in Kyiv, Ukraine Monday, June 20, 2022. (Ukrainian Presidential Press Office via AP)

E allora siamo proprio sicuri che la Russia abbia perso solo perché si sta concentrando nel Donbas e non riesce ad emulare Pietro il Grande, uno dei suoi punti di riferimento?

Non c’è stato il Blitzkrieg russo nei primi giorni del conflitto, ma, come ha detto il presidente russo, non c’è nemmeno stato il Blitzkrieg economico previsto dall’Occidente. E più facile “misurare” la vittoria dell’Ucraina: “sovranità e indipendenza”, ma, oggettivamente, è un obiettivo molto difficile da raggiungere.

Continuare a discutere su chi sta vincendo o perdendo aumenta il fiume di parole e di inchiostro di queste settimane, ma può avere un effetto controproducente: la “stanchezza da guerra” delle opinioni occidentali.

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