Il tribunale di Gujarat, in India, ha condannato il leader dell’opposizione Rahul Gandhi a due anni di carcere per diffamazione. La sentenza riguarda i commenti che Gandhi ha fatto nell’aprile del 2019, durante un comizio elettorale, definendo ladro il primo ministro indiano Narendra Modi.

Il tribunale gli ha concesso trenta giorni di libertà su cauzione, mentre il suo partito – il Congresso nazionale indiano – ha deciso di fare ricorso in appello. 

A partire da venerdì 24 marzo 2023, Rahul Gandhi ha perso il suo ruolo di parlamentare. Lo ha reso noto la segreteria della Lok Sabha, la Camera Bassa del Parlamento indiano. 

Il fatto

«Perché tutti i ladri fanno Modi di cognome?»

Queste sono le parole che hanno incriminato il leader del Congresso nazionale indiano, pronunciate nel comizio del 2019, nello stato del Karnataka, (sud-ovest dell’India).

Nel suo discorso, Gandhi ha poi citato alcuni nomi: Nirav Modi, magnate di diamanti ricercato dall’Interpol e dallo stato indiano; Lalit Modi, ex capo della Premier League indiana, bandito a vita dalla federazione nazionale di cricket; infine, Narendra Modi. Non esiste alcuna parentela o connessione tra i criminali e l’attuale premier indiano.

A denunciare Gandhi è stato il parlamentare del Bharatiya Janata Party, Purnesh Modi, il quale sostiene che sia lesa l’intera comunità Modi. Il cognome, infatti, è molto diffuso nello stato del Gujarat. 

La legge sulla diffamazione in India 

In India è in vigore una legge penale sulla diffamazione che prevede due anni di detenzione, una multa oppure entrambe. Si tratta di un residuo dell’era del dominio britannico e oggi molte persone nel paese contestano questa legge, convinti che metta a rischio la libertà d’espressione. 

La proposta di depenalizzazione risale al 2016, quando lo stesso Gandhi insieme ad altri politici hanno presentato istanze legali in merito. 

La Corte suprema indiana ha poi confermato la legge, mentre rimane il rischio che qualche politico nel paese possa utilizzarla per tacitare le opposizioni.

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