In un rapporto appena pubblicato, l’Alto commissario Onu per i diritti umani sostiene che la minoranza uigura della regione cinese dello Xinjang è sottoposta da anni a un regime persecutorio e oppressivo che include detenzioni arbitrarie, torture, repressione culturale e religiosa e altre forme di violenza diretta o indiretta, giustificate con il rischio della diffusione dell’estremismo e del terrorismo.

La pubblicazione del rapporto è stata a lungo ostacolata e ritardata dal governo cinese, che in risposta ha pubblicato un documento di 130 pagine in cui nega tutte le accuse. Il rapporto dell’Onu è basato su interviste di testimoni, analisi di documenti ufficiali e sul lavoro di numerosi attivisti e ricercatori che si sono occupati della vicenda dello Xinjang.

Detenzioni e rieducazioni

Lo Xinjang è abitato da circa 12 milioni di uiguri, una minoranza in gran parte di religione musulmana. Da anni sono in corso tensioni tra la maggioranza cinese han e gli uiguri. La sistematica discriminazione degli uiguri è stata giustificata dal governo con il rischio della diffusione del fondamentalismo e del terrorismo islamico, anche se in Cina gli attentati compiuti da uiguri sono stati molto ridotti. 

Il rapporto dell’Onu individua numerosi comportamenti assolutamente normali per i fedeli musulmani che compaiono in elenchi di comportamenti sospetti che, se praticati, possono portare all’imprigionamento o al campo di rieducazione. Tra i comportamenti sospetti: farsi crescere una lunga barba, smettere improvvisamente di bere alcolici o di fumare.

Il rapporto non si sbilancia nel fare una stima del numero di uiguri detenuti, ma sostiene che moltissime persone vengono arrestate con motivazioni ambigue o del tutto arbitrarie e spesso sono sottoposte a torture e violenze sessuali durante la detenzione.

Compiere un gesto apparentemente innocuo, come farsi crescere una lunga barba, può essere punito con l’invio in un campo di rieducazione. Diversi testimoni hanno raccontato che, contrariamente a quanto afferma il governo cinese, questi luoghi sono vere e proprie prigioni, dalle quali non si può uscire liberamente. Anche se il rapporto non fornisce una stima di quante persone siano passate attraverso questi centri, viene specificato che tra 2017 e 2019 si è trattato di una «significativa proporzione» della popolazione uigura.

Natalità e immigrazione

Bambini giocano in una strada di Kashgar, capitale dello Xinjang (AP Photo/Ng Han Guan, File)

Anche se non sono l’argomento centrale del documento, nel rapporto dell’Onu vengono nominati anche altri due fenomeni: le possibile pratiche di controllo della fertilità che il governo cinese avrebbe messo in campo contro gli uiguri e l’annacquamento della popolazione locale tramite l’immigrazione di cinesi han.

Diversi testimoni hanno raccontato che nelle prigioni e nei campi di rieducazione i prigionieri venivano sottoposti quotidianamente a iniezioni o gli venivano somministrate pillole. Nessuno spiegava quali fosse la funzione di questi farmaci, ma molti uiguri ritengono si tratti di farmaci sterilizzanti utilizzati per tenere sotto controllo il numero di uiguri nella regione.

Tra gli indicatori di radicalizzazione religiosa contenuti negli elenchi ufficiali del governo cinese c’è anche la nascita di numerosi figli. Avere una prole numerosa può quindi giustificare, sulla base della legge cinese, un regime di sorveglianza rafforzato, se non addirittura l’invio in un campo di rieducazione o in una prigione. Le statistiche ufficiali cinesi indicano che negli ultimi anni il tasso di fertilità degli uiguri ha avuto un crollo. Secondo il rapporto, questo fenomeno potrebbe essere causato direttamente o indirettamente dalle pratiche di repressioni esercitate dal governo cinese.

Il rapporto accenna anche brevemente alle politiche di incentivo economico per spingere cinesi han a trasferirsi nello Xinjang e al programma Fanghuiju, in base al quale giovani funzionari del partito cinese si trasferiscono a vivere nei villaggi uiguri ospiti degli abitanti locali. 

Dopo aver intervistato diversi testimoni, il rapporto ha stabilito che questa pratica non ha nulla di volontario. Le famiglie costrette ad ospitare i funzionari sono sottoposti a sorveglianza speciale e non hanno più alcun diritto alla privacy, mentre sono spesso costrette a cucinare e servire in altri modi i loro ospiti. In almeno un caso, queste visite hanno portato a casi di violenza sessuale raccontati da testimoni.

© Riproduzione riservata