Ha fatto di tutto per garantire un posto per sé e per i fedelissimi, il Giglio magico che lo circonda fin dai tempi dell’ascesa al vertice del Partito democratico. Matteo Renzi ha accettato per ora di farsi da parte, per lasciare spazio mediatico e politico a Carlo Calenda, pur di centrare il primo vero obiettivo di queste elezioni: trovare l’autobus giusto per rimettere piede in parlamento.

Una prospettiva che, appena a fine luglio, sembrava lunare. Il suo partito era infatti indicato da mesi stabilmente intorno al 2 per cento. Talvolta anche sotto questa soglia, lontanissima dalla soglia di sbarramento e dall’ambizione di eleggere sé stesso e qualcuno dei suoi fedelissimi.

Addirittura nella conferenza stampa di presentazione del programma, l’ex presidente del Consiglio non si è fatto vedere. Sparito. Calenda ha tirato un sospiro di sollievo, conservando la centralità del palcoscenico. Anche se ha annunciato un intervento pubblico in tandem a Milano. Il sacrificio di Renzi ha però un obiettivo più importante: conservare il potere di influenzare le riforme, tentare di essere ancora uno dei kingmaker della prossima legislatura, seppur con una manciata di eletti.

Asse sulla giustizia

La priorità del Giglio magico sarà dopo il 25 settembre imporsi come ipergarantisti, per provare a strappare a Forza Italia – sempre più spostata a destra e meno liberale – la propaganda anti-magistrati. L’eterno tema della giustizia unisce di fatto i renziani a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini. La proposta del leader di Forza Italia sull’inappellabilità delle sentenze di assoluzione è suonato un gradito invito al dialogo per il Giglio magico.

Del resto nel programma dell’alleanza Azione-Italia viva è ben presente l’impegno per «l’introduzione di norme finalizzate a ridurre i casi di appello da parte del pubblico ministero della sentenza di assoluzione in primo grado». Non ricalca le parole di Berlusconi, ma si avvicina molto come confermato ieri dalle parole di Maria Elena Boschi che ha presentato il programma di Iv-Azione.

Tra le altre proposte ci sono la separazione delle carriere, il «ripristino della prescrizione sostanziale» e la revisione dell’attuale riforma del Consiglio superiore della magistratura per «superare davvero il sistema delle correnti». Posizioni ancora una volta sovrapponibili a quelle di Lega e Forza Italia. Del resto il braccio di ferro con i magistrati va avanti da anni, con la politica che spesso si è intrecciata alle disavventure giudiziarie della stessa famiglia Renzi.

Abbasso i giudici

Il 18 ottobre è per esempio prevista l’udienza del processo d’Appello in cui è imputato Tiziano Renzi, padre di Matteo finito pure nello scandalo Consip, relativo a presunte emissioni di fatture false. Mentre lo scorso aprile è iniziato il procedimento sulla fondazione Open in merito all’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti. Tra gli imputati figurano Renzi (indagato anche a Roma insieme all’agente delle star Lucio Presta per il mega compenso avuto per il documentario “Firenze secondo me”) insieme alla capogruppo alla Camera di Italia viva, Maria Elena Boschi e al deputato non ricandidato del Pd, Luca Lotti, indagato anche per corruzione.

Così, quando l’ex rottamatore ha visto la zattera di Azione in avvicinamento dopo la rottura con il Pd, non ci ha pensato due volte nonostante gli scontri avuti in passato con l’ex ministro dello Sviluppo economico. Anche Calenda non ha vissuto il nuovo patto politico in maniera indolore: ha dovuto rimangiarsi tutto quello che aveva detto sul conto di Renzi negli ultimi anni. L’ex sindaco di Rignano è stato descritto come uno capace di «dire una cosa e farne un’altra». Con l’aggiunta di una battuta velenosa: «Non puoi presentarti come Kennedy e fare come Mastella».

Sotto il punto di vista politico, Calenda dopo l’inchiesta di Domani aveva anche rilanciato l’idea di una legge cucita addosso per contrastare Renzi, chiedendo di «varare una norma che vieti a un rappresentante in carica di percepire soldi direttamente o indirettamente da un governo straniero». Perché, insisteva Calenda, «trovo sbagliato che un leader faccia attività di lobbying» come Renzi ha fatto in Arabia Saudita, dove siede ancora (a pagamento) nel board di istituti e commissioni legate alla famiglia di Mohammed bin Salman. Solo sull’inchiesta Open aveva difeso il futuro alleato, definendole una «barbarie» la pubblicazione delle intercettazioni.

Giglio blindato

L’elisir per l’immortalità renziana ha preso la forma del Terzo polo, che secondo i sondaggi è in realtà quarto, alle spalle di centrodestra, centrosinistra e Movimento 5 stelle. L’alleanza Azione-Italia viva garantirà, salvo clamorose debacle, comunque il superamento del 3 per cento di sbarramento previsto dal Rosatellum. Il fondatore di Iv ha studiato come blindare i fedelissimi nella prossima legislatura, con uno sguardo di rivincita lanciato a chi, come Lotti, ha abbandonato la sua nave, preferendo non seguire il leader nella scissione.

Sondaggi alla mano, i posti blindati per Renzi e i suoi potrebbero essere una decina. A Boschi sarà garantita una posizione sicura, così come al fido Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd. A loro si aggiunge Ettore Rosato, altro nome da salvare a ogni costo, evitando il paradosso dell’esclusione dal parlamento di chi ha firmato la legge elettorale in vigore. Un seggio sarà a disposizione di una delle new entry nel mondo renziano, la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti.

Gli altri nomi che hanno priorità assoluta nelle liste sono Teresa Bellanova, Davide Faraone, oggi capogruppo al Senato, Luigi Marattin, mente economica del renzismo, Luciano Nobili, l’uomo macchina di Iv a Roma; mentre il magistrato Cosimo Ferri – che qualcuno ipotizzava potesse essere candidato con la Lega – dovrebbe correre in Liguria, terra d’elezione anche di Raffaella Paita. Renzi, da parte sua, si garantirà un seggio al Senato, a cui ormai sembra essersi affezionato dopo aver fallito l’obiettivo di abolirlo con la riforma costituzionale.

E proprio la revisione della Costituzione è un altro punto su cui Italia viva vuole giocarsi la partita con il centrodestra. È un antico pallino dell’ex premier. Non contento di quella sconfitta che lo fece sloggiare da palazzo Chigi, è tornato sull’idea del «superamento del bicameralismo paritario», presente nel programma stilato con Azione. E davanti alla proposta di presidenzialismo, Renzi non ha eretto barriere, ma ha rilanciato con la proposta del «sindaco di Italia».

 

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