In un articolo apparso il 17 aprile sul sito della Bbc, il giornalista ucraino Vitaly Shevchenko si poneva la seguente domanda: «Dove sono i leader dell’opposizione in Russia oggi?» Domanda più che lecita dopo la notizia della condanna a 25 anni, in un penitenziario di massima sicurezza, del dissidente Vladimir Kara-Murza, per aver criticato l’invasione russa in Ucraina e dopo la firma del decreto presidenziale di Vladimir Putin che introduce la pena del carcere a vita per «alto tradimento». Una «campagna di repressione», come è stata definita dal presidente americano Joe Biden, che è iniziata con l’ascesa al potere dell’omologo russo. Non si escludono casi simili anche durante la presidenza di Boris Eltsin, ma è indubbio che dal 2000 ad oggi il numero di giornalisti, politici e oppositori extra-parlamentari, arrestati o uccisi, è decisamente aumentato.

Dal noto caso della giornalista Anna Politkovskaja, assassinata nell’ascensore del suo palazzo a Mosca nel 2006, dopo minacce seguite ai suoi articoli sulla violazione dei diritti umani nelle guerre cecene, è emersa una situazione allarmante per il giornalismo d’inchiesta. I dati forniti da alcune agenzie rilevano la morte di 21 giornalisti fra il 2000 e il 2007 (Reporter senza Frontiere) e di ben 82 nel periodo 1992-2023 (Committee to protect journalists, CpJ).

La situazione è drammaticamente peggiorata poco prima dell’invasione russa in Ucraina, con diverse testate giornalistiche online come Meduza e TvRain, etichettate come «agenti stranieri», che sono state costrette a lasciare la Russia per continuare la loro azione di media indipendenti dall’estero. In altri casi, il periodico Novaja Gazeta ha mantenuto la sede a Mosca, ma non pubblica più l’edizione cartacea, l’ente radiofonica Eco di Mosca è stata chiusa dalle autorità, per non parlare della cessazione dell’attività dell’ong Memorial, fondata nel 1989 per denunciare i crimini del regime sovietico e mantenere viva la memoria degli orrori staliniani e del recente sfratto del Centro Sacharov, fulcro delle attività degli oppositori al regime putiniano.

In parlamento

Negli anni anche l’opposizione extraparlamentare è stata oggetto di vincoli amministrativi e burocratici che non hanno consentito di ottenere una rappresentanza parlamentare. Dalle elezioni politiche del 2003 i partiti Jabloko e l’Unione delle forze di destra, considerati più filo-occidentali e democratici, non hanno più una rappresentanza parlamentare.

La miriade di movimenti politici presenti nella società russa è, però, sempre stata più attiva a livello locale, anche per contrastare decisioni di natura ambientale, infrastrutturale o di altro tipo delle amministrazioni, guidate dal “partito del potere”, Russia unita. L’opposizione parlamentare, definita sistemica, non ha perso occasione di dimostrare la sua collusione con il governo (anche con l’approvazione della cosiddetta «operazione militare speciale») e di non adempiere alla sua funzione di freno e di controllo della maggioranza.

Eppure, in questo contesto sociale e politico non sono mai mancati grandi leader dell’opposizione o dissidenti che hanno ruotato attorno alla figura di Boris Nemtsov, ucciso nel 2015 perché sostenitore dell’indipendenza ucraina, e del blogger russo, Aleksej Navalny, principale oppositore del presidente russo Putin, più noto nel mondo occidentale rispetto alla popolazione russa. Con un curriculum di professionista della politica, (governatore, parlamentare, vice primo ministro negli anni Novanta) Nemtsov ha sempre criticato pubblicamente e scritto libri sulla degenerazione autoritaria della Russia di Putin in tempi non sospetti, prevedendo, addirittura in un’intervista del 2015, e motivando le ragioni per cui il Cremlino avrebbe invaso l’Ucraina.

Uno dei suoi collaboratori, Il’ja Jašin, è stato condannato nel dicembre 2022 a 8 anni e 6 mesi di carcere per aver denunciato la strage di Buča sul canale YouTube. Nel 2015 Jašin aveva accusato Ramzan Kadyrov di essere responsabile dell’omicidio di Nemtsov, producendo anche un rapporto di 65 pagine sulle atrocità commesse dal capo ceceno.

Allo stesso modo Jašin si è rivolto a Putin, affermando: «Il nostro esercito non è stato accolto con un lancio di fiori. Ci chiamano boia e invasori. Ora il suo nome si assocerà sempre alla parola “morte” e “distruzione”. Lei ha causato una terribile sciagura il popolo ucraino, il quale, probabilmente, non la perdonerà mai. In realtà lei fa la guerra non solo contro gli ucraini, ma contro i suoi compatrioti. (...) Centinaia di migliaia di nostri concittadini hanno lasciato la Russia perché non vogliono ammazzare ad essere ammazzati. La gente scappa da lei, signor presidente. (...) È probabile che le mie parole risuoneranno come la voce che grida nel deserto, ma io la invito, Vladimir Vladimirovič, fermare subito questa follia. Bisogna riconoscere che la nostra politica nei confronti dell’Ucraina è sbagliata, ritirare le truppe dal suo territorio e passare una soluzione diplomatica del conflitto. Non dimentichi che ogni nuovo giorno di guerra significa nuove vittime. Basta».

Magnitskij Act

Altri dissidenti sono stati, invece, avvelenati come Sergej Skripal, Aleksandr Litvinenko, lo stesso Kara-Murza per ben due volte nel 2015 e nel 2017 e l’ex presidente ucraino Viktor Yuschenko durante la campagna presidenziale del 2004 con una diossina che gli ha lasciato cicatrici permanenti sul volto. Un altro episodio, che ha creato tensioni nei rapporti Washington-Mosca, è stata la morte dell’avvocato Sergej Magnitskij a causa di un «metodico svilimento del detenuto e delle sue condizioni psicologiche nel carcere della Butyrka» che ha portato il Congresso degli Stati Uniti ad approvare il Magnitskij Act nel 2012 che istituiva una “lista nera” di ufficiali russi coinvolti nella gestione del caso.

E proprio sulla questione dei diritti umani, la commissaria Tatyana Moskalkova ha ricevuto 50 appelli per seguire il caso di Navalny le cui condizioni di salute stanno progressivamente peggiorando. Circa 40 medici russi hanno, infatti, firmato una lettera aperta al presidente Putin chiedendo che siano riconosciute tutte le cure mediche necessarie e di sospendere i periodi punitivi in cella di isolamento. Il blogger è stato, inoltre, picchiato perché si è rifiutato di condividere la cella con un detenuto con gravi problemi d’igiene ed è stato accusato di disturbo alle attività penitenziarie, reato punibile sino a cinque anni di reclusione. Tuttavia, la persecuzione nei suoi confronti non è ancora terminata: è stato aperto, recentemente, un procedimento dal tribunale militare con l’accusa di “organizzazione terroristica” per il quale il dissidente russo rischia altri dieci anni di pena. Nel corso degli anni gli oppositori russi sono stati arrestati, avvelenati, costretti all’espatrio per salvarsi la vita. Come sostiene Shevchenko: «Ci sono volute due decadi per eliminare gli oppositori del Cremlino. Se questo era il piano di Putin, si può dire che ha funzionato».

La repressione

L’invasione in Ucraina ha incrementato le politiche repressive del regime sino al punto che basta un post nei social per avere una condanna di 7 o 9 anni di carcere. Ma sarebbe errato pensare che non esista più un’opposizione politica in Russia. Migliaia di persone, soprattutto giovani, continuano a opporsi alla guerra, rischiando il licenziamento, mobbing sul lavoro o il carcere.

Non abbiamo immagine di azione collettive, di proteste di massa. Consapevoli che dopo il terzo fermo amministrativo, subentra un procedimento penale, molti dissidenti escogitano azioni individuali, più circoscritte per esprimere il proprio dissenso. Sarebbe, quindi, un grave errore abbandonarli al loro destino.

Rimane, tuttavia, un problema endogeno all’opposizione extraparlamentare (in parte molto simile alle opposizioni delle democrazie liberali): la frammentazione e la mancata coesione dei diversi gruppi politici. Ne abbiamo avuto una recente prova con il “battibecco” social tra l’ex oligarca russo, Michail Chodorkovskij, rimasto in prigione per dieci anni, residente a Londra e fondatore dell’organizzazione anti Putin Open Russia, e Navalny che ha postato: «Mi vergogno di Michail Chodorkovskij! È da tanto tempo che lo volevo dire, ma avevo sempre taciuto per evitare uno scandalo». La causa di questo scontro risale alla scelta di Chodorkovskij di assumere Rostislav Murzagulov, russo della repubblica della Baschiria, potente braccio destro del presidente Radij Khabirov, fedele putiniano, come speaker di uno dei suoi canali d’informazione. Murzagulov avrebbe infatti preso posizione contro l’invasione dell’Ucraina, un elemento sufficiente per convincere l’imprenditore russo, ma non abbastanza per evitare l’invettiva in ben 27 tweet di Navalny.

Non solo, Aleksej Venedtikov, ex direttore della radio Eco di Mosca ha chiesto ai propri follower se Navalny Chodorkovskij dovrebbero unire le forze come oppositori o rimanere separati. Su un totale di 7.018 voti, il 69 per cento ha risposto che dovrebbero unirsi mentre per il 7 per cento sostiene la separazione e il 24 per cento è indifferente. I personalismi prevalgono e al Cremlino tutto procede secondo i piani.

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