A Kiev temono che il negoziato rafforzi coloro che chiedono un cessate il fuoco. Ma intanto i sondaggi mostrano che sempre più ucraini sono favorevoli a trattare
Dopo il più grande scambio di prigionieri tra Russia, Europa e Stati Uniti, ieri è stato il giorno dei festeggiamenti. I tre americani, il reporter del Wall Street Journal Evan Gershokovich, l’ex marine Paul Whelan e la giornalista russo-americana Alsu Kurmasheva sono stati accolti dal presidente Joe Biden e dalla sua vice Kamala Harris al loro arrivo alla base aerea di Andrews, in Maryland.
La maggior parte dei cittadini russi liberati dal Cremlino, i tre più celebri sono i dissidenti Vladimir Kara-Murza, Andrei Pivovarov e Ilya Yashin, sono invece arrivati in Germania.
Dall’altro lato dello scambio, il presidente russo Vladimir Putin ha accolto i dieci cittadini russi all’aeroporto di Mosca e ha abbracciato calorosamente Vladimir Krasikov, l’agente dell’intelligence condannato per l’omicidio di un comandante ceceno-georgiano in Germania, il personaggio più importante dell’intero scambio dal punto di vista del Cremlino.
L’emozione per la riuscita dell’operazione è stata grande. Per molti ha significato la fine di lunghi periodi trascorsi in carcere, quasi sei anni per l’americano Whelan. Per altri è stata del tutto inaspettata. «Ero sicuro che sarei morto in prigione», ha detto al telefono con la sua famiglia Kara-Murza. Per gli agenti dell’intelligence e i diplomatici coinvolti nelle trattative, ha significato il coronamento di 18 mesi di sforzi, descritti con minuzia di dettagli coloriti e degni di un film di spionaggio da un lungo articolo pubblicato ieri dal Wall Street Journal.
Le reazioni
Ora però inizia il momento delle valutazioni e, inevitabilmente, delle polemiche. Il candidato presidente repubblicano, Donald Trump, è stato tra i primi a criticare lo scambio, insinuando che dietro ci sia stato il pagamento di un riscatto e affermando di aver ottenuto, durante il suo mandato, la liberazione di cittadini americani senza dover cedere nulla in cambio (cosa che non risulta).
Ma anche sulla stampa mainstream compaiono osservazioni critiche. L’agenzia Bloomberg ha definito lo scambio «una grossa vittoria per Putin», mentre il Washington Post ha ricordato che ottenere la liberazione dei suoi agenti è un grosso risultato per il Cremlino, a cui ora sarà più facile reclutare agenti per missioni in occidente, stessa osservazione ripetuta anche su diversi media indipendenti russi.
In Germania, la decisione di liberare il killer Krasikov ha causato proprio quei dibattiti che il governo del cancelliere Olaf Scholz temeva. «Alle autorità tedesche non importa nulla dell’opinione delle vittime», ha detto Manana Tsiatieva, vedova del comandante assassinato da Krasikov. «Sono passati solo cinque anni dall’assassinio e Krasikov è già libero», recita un comunicato della famiglia fornito ai media tedeschi.
Ma le osservazioni più preoccupate sullo scambio e le sue possibili conseguenze arrivano dal convitato di pietra dell’intera trattativa, un paese che non ha avuto alcun ruolo diretto nella vicenda, ma che non è mai stato lontano dalla mente dei negoziatori coinvolti.
Preoccupazioni ucraine
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non ha commentato lo scambio di prigionieri, il che è abbastanza naturale, considerato che il suo paese non è stato coinvolto nella vicenda. Ma sui media e i canali Telegram del paese, le lunghe trattative che hanno visto coinvolti gli alleati e l’arcinemico di Kiev hanno avuto ampia eco.
L’Ukrainska Pravda, il giornale delle élite liberali di Kiev tendenzialmente contrarie a negoziati con la Russia, ha affrontato direttamente l’argomento. Secondo il giornale, la lunga trattativa può fornire nuovi argomenti a coloro che sostengono l’importanza di iniziare subito a negoziare con Putin, poiché potranno sostenere che il presidente russo si è dimostrato un affidabile partner nello scambio degli ostaggi e che quindi si potrebbe trattare con lui anche sulla pace in Ucraina.
L’amministrazione Usa sembra perfettamente a conoscenza di queste preoccupazioni di Kiev e già ieri ha provato a prevenirle. Trattative sulla pace in Ucraina e negoziati per il rilascio degli ostaggi «si trovano su due piani completamente differenti», ha detto ieri il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, uomo chiave dell’amministrazione Biden per tutto ciò che concerne la Russia.
A Kiev difficilmente si sentiranno rassicurati. Nonostante le parole di Sullivan, una possibile presidenza Trump e le pressioni che quasi certamente il presidente farà a favore del negoziato incombono minacciose sulle prospettive di prosecuzione del conflitto, indipendentemente dagli scambi di ostaggi senza coinvolgere Kiev.
Ma c’è anche un altro elemento sullo sfondo delle preoccupazioni degli ucraini contrari al negoziato. Ed è il fatto che dopo le aperture del presidente Zelensky, che nelle ultime settimane ha parlato apertamente di trattative dirette con il Cremlino già entro novembre, la percentuale di ucraini favorevoli ai negoziati è schizzata dal 44 per cento di due settimane fa al 58 per cento rilevato questa settimana.
La maggioranza degli intervistati rimane contraria a concessioni territoriali in cambio della pace, ma questo non è un reale ostacolo a eventuali negoziati. Come ha ricordato su Domani lo scienziato politico ucraino Volodymyr Fesenko, l’obiettivo dei negoziatori ucraini non è una pace comprensiva di cessione ufficiale di territori, ma un cessate il fuoco senza alcun riconoscimento delle annessioni russe.
Chi ritiene che non sia ancora il momento di trattare con Putin a Kiev sente sempre più il terreno mancargli sotto i piedi e ormai non può contare completamente nemmeno sul presidente Zelensky. In questa situazione, ogni segnale può essere interpretato come un nuovo pericolo, una nuova pressione per costringere il paese a trattare, anche una vicenda apparentemente neutrale, persino positiva, come il più grande scambio di prigionieri dalla fine della Guerra fredda.
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