Nelle elezioni ungheresi che si sono tenute domenica 3 aprile, il primo ministro Viktor Orbán ha vinto il suo quarto mandato consecutivo dopo aver ottenuto 136 seggi in parlamento, una maggioranza ancora più ampia di quella conquistata nel 2014. È stata, ha affermato, «una vittoria così grande che si può vedere dalla luna… e da Bruxelles».

I suoi oppositori, sei partiti ideologicamente distinti che si sono uniti per sconfiggere Orbán, non sono riusciti a intaccare il suo populismo. Nonostante le molteplici crisi – tra cui la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina – abbiano offerto la possibilità di dare scompensi al partito di Orbán Fidesz, Opposizione unita non è riuscita a prendere slancio. Il suo risultato è stato così scarso che è probabile Orbán l’avrebbe sconfitta in ogni caso, cosa che molti in Fidesz e nella destra occidentale avranno sottolineato.

Minacce alla democrazia

Resta il fatto che in Ungheria, anche se l’opposizione agisse nel modo giusto, sarebbe quasi impossibile battere Fidesz alle elezioni. Da quando il partito è tornato al potere nel 2010, il paese ha assistito alla più profonda erosione democratica nell’Unione europea. Orbán ha manipolato con successo il sistema ungherese per tradurre il sostegno popolare in una maggioranza elettorale imbattibile. Quello ungherese, è un esempio da manuale di come gli autocrati siano in grado di erodere la democrazia liberale andando incontro a conseguenze minime. 

Il modello ungherese è una combinazione di minacce sia formali sia informali alla democrazia. Dal punto di vista formale e legale, il regime ha posto grande enfasi su ciò che Kim Lane Scheppele chiama «legalismo autocratico». Orbán è uno dei nuovi autocrati dell’Ue che minano il costituzionalismo mentre rivendicano la legittimità di un mandato democratico per riscrivere le regole costituzionali a proprio vantaggio. A seguito di una legge recente, fondazioni private sono state autorizzate a riscuotere quantità di denaro pubblico senza precedenti. A causa del gerrymandering, metodo che raggruppa gli elettori dell’opposizione solo in una manciata di collegi elettorali, è giusto dire che gli elettori di Fidesz avevano in effetti due voti, mentre un elettore dell’opposizione ne aveva solo uno.

Non si può tuttavia comprendere il regime senza comprendere il potere informale che lo sorregge. Ci sono interazioni non codificate e imposte che vanno oltre il legalismo, e attraverso queste il regime può ulteriormente piegare il campo elettorale a proprio vantaggio. 

Attraverso una massiccia acquisizione multimediale, Fidesz ha sfruttato il suo vantaggio strutturale per condurre una guerra civile costante contro i dissidenti, a spese dei contribuenti. L’opposizione è stata sia esclusa dai media statali sia etichettata negativamente nelle modalità che si adattano alla narrativa di Orbán. Fidesz ha una capacità di spesa per i cartelloni pubblicitari di otto volte superiore a quella dell’opposizione, e ha indirizzato le lettere con un enorme macro-targeting sui social media.

In una sfera pubblica così distorta gli errori commessi dal capofila dell’opposizione Péter Márki-Zay – come il pasticcio del dibattito televisivo sulla consegna delle armi in Ucraina – sono apparsi più significativi di quanto non lo fossero in realtà.

Nel frattempo gravi illeciti elettorali si sono verificati sia prima che dopo la votazione. Per gli elettori ungheresi che vivono in Serbia i pacchetti di voto per corrispondenza sarebbero stati consegnati dall’Alleanza degli ungheresi della Vojvodina, un partito etnico ungherese alleato di Orbán, invece che dai servizi postali serbi. Altrove, i voti per corrispondenza dell’opposizione sono stati rimossi dalle urne e bruciati, come in Romania.

Anche l’intimidazione dei poveri e le minacce di revocare i benefici sociali sono pratiche notevoli nella politica ungherese. La comunità rom ungherese è particolarmente vulnerabile al clientelismo elettorale, in particolare all’acquisto coercitivo di voti. In cambio di voti, i sindaci locali e i rappresentanti del partito spesso forniscono denaro e cibo alle elezioni. Secondo i media, cinque porzioni di carne di maiale fresca e 10mila fiorini (pari a 29 dollari) erano il prezzo di un voto in due piccoli insediamenti.

Uno degli strumenti più efficienti è la politicizzazione da parte del governo del cosiddetto programma della forza lavoro pubblica, che offre agli ungheresi un lavoro stabile per un salario basso. Il lato oscuro di questo strumento è che i gruppi più poveri diventano in pratica dipendenti dai sindaci locali, che potrebbero minacciare di tagliare i loro benefici nel caso non votino correttamente alle elezioni. In questo modo il partito al governo ha creato un massiccio sistema di dipendenza all’interno dell’elettorato.

Paure esistenziali

Naturalmente, nulla di tutto ciò dovrebbe impedirci di riconoscere che Orbán ha la capacità di articolare nell’elettorato ungherese un’identità popolare che parla alle loro lamentele. Il primo ministro comprende perfettamente l’anima della nazione e cavalca con successo l’onda delle paure esistenziali.

L’80 per cento della popolazione ungherese si identifica come cristiana e Fidesz si posiziona come il massimo partito democristiano in Europa. A differenza della Polonia, difficilmente si può dire che il regime di Orbán abbia una coesa visione del mondo ideologica e conservatrice; è più corretto dire che tra i valori conservatori-collettivisti utilizza solo quegli elementi che servono i suoi interessi. Vuole incolpare Bruxelles per aver usato la critica allo stato di diritto come pretesto per attaccare Fidesz, che si presenta come “protettore” dei valori cristiani contro la “lobby Lgbtq”.

Questa campagna ha anche trovato favore tra i poveri del paese. Come per le elezioni del 2014, Orbán ha attratto gli elettori a basso reddito con prezzi alimentari regolamentati dallo stato e costi inferiori per le utenze. Questa strategia si chiama rezsicsökkentés, “riduzione delle spese generali”, una parola che è stata centrale nella campagna elettorale. Misure simili hanno dato maggiore sollievo a chi è stato colpito più duramente dagli effetti economici della pandemia, combinata alla guerra in Ucraina. Hanno offerto un impiego legale a chi non ha altre opzioni nelle province più impoverite dell’Ungheria nord-orientale e sud-orientale. Questo ha avuto conseguenza soprattutto tra i rom e Opposizione Unita ha perso un’enorme opportunità per invitare i rappresentanti della società civile rom a discutere le questioni urgenti che devono affrontare.

Infine c’è l’agenda “sicurezza e stabilità” su cui la campagna si è spostata dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. Orbán ha presentato con successo una falsa dicotomia, sostenendo che occorre scegliere tra «la pace [Fidesz] e la guerra [l’opposizione]». Ha alimentato sentimenti anti-ucraini oltraggiosi e ha usato il presidente Zelensky come sacco da boxe.  

Ciò che contava veramente in queste elezioni era che Orbán potesse effettivamente garantire i bisogni alla base della piramide politica di Maslow. Ha incentrato la campagna sui prezzi bassi per gli alimenti, prezzi bassi per l’elettricità, e sulla sicurezza, il tutto affermando che «l’Ungheria procede, non arretra».

Dal momento che la manipolazione informale è importante tanto quanto le norme legali (se non di più), Orbán continuerà a operare sotto il radar dell’Unione europea. Nonostante lo sviluppo di un meccanismo che consentirà di tagliare i fondi all’Ungheria a meno che non rafforzi lo stato di diritto, l’Ue non può intervenire sui danni causati dal potere informale. La corruzione e il clientelismo elettorale hanno basi molto più complesse, che alla fine consentono al regime di nascondersi da Bruxelles.

E Orbán non si fermerà qui. Con un kit di strumenti collaudato il suo governo continuerà a catturare i restanti giudici civici esercitando maggiore pressione sul sistema giudiziario generale. Limiterà ulteriormente il discorso pubblico politicizzando i media più indipendenti.

Sciogliendo le ultime sfere autonome della società civile, dividendo l’elettorato tra “noi” e “loro” e delegittimando i dissidenti, Orbán ha fatto sì che l’autocratizzazione e la polarizzazione tossica si rafforzino a vicenda.

In queste elezioni Fidesz ha ottenuto un notevole sostegno popolare. Ma è improbabile che Orbán rinunci volontariamente al potere anche se tale supporto svanirà in futuro. Il sistema politico ungherese potrebbe aver raggiunto un punto di non ritorno.


Il testo è apparso sulla testata online Persuasion. Traduzione a cura di Monica Fava.

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