Duque de Caxias è un comune che fa parte della mesoregione Metropolitana e della microregione di Rio de Janeiro. Porta il nome del duca di Caxias, Luís Alves de Lima e Silva, militare brasiliano e presidente del Consiglio dei ministri per tre volte nell’Ottocento; il quartiere Jardim Gramacho è stato il sito di una delle più grandi discariche del mondo, chiusa nel 2012 dopo trentaquattro anni di attività.

Qui è nato il progetto Daminhas da Bola, letteralmente “damigelle della palla”, in risposta al sessismo e al sarcasmo che quotidianamente devono affrontare in Brasile le ragazze che vogliono giocare a calcio. Fondato, tra le altre, da Thaissan Passos, cresciuta giocando a futebol con i cugini maschi lungo le strade della favela di Beira-Mar di Duque de Caxias, ma quando ha cercato di entrare in una squadra questa non accettava le ragazze, togliendole l’unico rifugio a una famiglia violenta e a un destino che pareva segnato.

Questo, però, non le ha impedito di diventare un portiere e poi un’allenatrice fino a fondare Daminhas da Bola, offrendo allenamenti gratuiti alle femmine perché nessuna si dovesse più sentire esclusa dallo sport come era accaduto a lei.

Alcune di queste ragazze hanno fatto e si stanno facendo strada nel calcio brasiliano, ma sono più le resistenze che gli aiuti: nessuno sponsor si è interessato a loro e gli epiteti con i quali vengono insultate sono irripetibili.

Nel paese del futebol bailado nel 1941 un decreto ha vietato alle donne di praticare sport «perché incompatibile con la loro natura», decreto revocato solamente all’inizio degli anni Ottanta. Ma i progressi più importanti sono stati fatti nell’ultimo quinquennio.

Dal 2019, anno in cui Globo ha trasmesso la Coppa del Mondo femminile in chiaro, i club che fanno parte della federazione brasiliana sono obbligati ad avere una squadra professionistica femminile.

Il divario

In Brasile le donne guadagnano in media il 22% in meno degli uomini e rappresentano solo il 18% dei rappresentanti al Congresso, a fronte di una media globale del 26,5.

A questo dobbiamo aggiungere l’ideologia patriarcale e la mascolinità tossica del governo Bolsonaro che da una parte ha ridotto i finanziamenti a tutte le associazioni che si battono per la parità di genere e dall’altra ha dato vita a movimenti ultraconservatori che hanno creato un ambiente sociale nel quale sono aumentate le violenze contro le donne.

Nel paese di Formiga e Marta, rispettivamente sette e sei Mondiali disputati, dove la Nazionale femminile ha vinto otto Coppe America, solo la tenacia e la lotta hanno permesso alle ragazze di conquistare l’attenzione dell’opinione pubblica: «In Brasile c’è un paradosso, da un lato c’è un quadro giuridico avanzato e dall’altro la presenza di una cultura con una prospettiva profondamente diseguale sul genere che pervade comportamenti e politiche pubbliche», ha dichiarato Jacqueline Pitanguy, ex numero uno del Consiglio nazionale delle donne e fondatrice di CEPIA, associazione no profit che si batte per i diritti umani.

«La società è estremamente sessista: dal lavoro al calcio, allo sport più in generale stiamo combattendo per conquistare posizioni», ha ribadito la venticinquenne Milena Roza, ex allieva di Daminhas da Bola e oggi allenatrice per crescere le prossime generazioni di calciatrici, non solo sportive, ma donne consapevoli e indipendenti.

Attualmente sono quaranta le ragazze che si allenano, sognando un futuro migliore, non solo nello sport, sapendo che dovranno continuare a scontrarsi con stereotipi sessisti e infrastrutture inadeguate.

Molto dipenderà dai processi culturali, per i quali la politica può fare tanto. Lula ha firmato una legge che impone la parità di retribuzione salariale tra uomini e donne, parte di un pacchetto di misure sull’uguaglianza di genere presentato a inizio anno, mentre il Senato sta valutando una proposta di legge per rendere reato la misoginia, ma nessuno sforzo è stato fatto da questo governo per aumentare la rappresentanza femminile nella Corte Suprema brasiliana. Servono più daminhas, daminhas ovunque.

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