Dolore, sofferenza e distruzione non sono un ricordo ma la realtà vissuta da gran parte della popolazione siriana. Sono passati 10 anni da quando in Siria è iniziata una emergenza umanitaria che non conosce fine e che ancora oggi resta la più grave crisi di rifugiati al mondo.

I numeri riescono a raccontare solo in parte questa tragedia ma sono necessari per avere una visione chiara di quanto sta accadendo in questo momento. Sono 13 milioni i siriani che hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria e protezione, 5 milioni e mezzo le persone che hanno dovuto lasciare la Siria e vivono oggi nei paesi vicini della regione, principalmente in Turchia, Libano e Giordania. Circa 6 milioni e 700 mila persone sono invece sfollate all’interno della Siria. Quasi la metà dei rifugiati ha meno di 18 anni. Tra questi, moltissimi sono nati in esilio e non hanno mai conosciuto il loro Paese, la stabilità e la pace.

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La pandemia

Eppure, la Siria non fa più notizia e il mondo sembra averla dimenticata. E questo oblio avviene proprio mentre la popolazione siriana sta affrontando una ennesima terribile minaccia: la povertà estrema. La pandemia da Covid-19 e le conseguenti necessarie restrizioni si sono infatti abbattute sui rifugiati come una scure. In molti hanno perso il lavoro e la loro unica fonte di reddito. Quasi 9 siriani su 10 vivono sotto la soglia di povertà.

Nonostante la generosità e gli sforzi profusi dai Paesi di accoglienza – ancorché provati dalla crisi economica e sanitaria – la situazione dei rifugiati in quei contesti è altrettanto grave: ad esempio in Libano l’89 per cento vive in condizioni di povertà assoluta.

Il tutto mentre il costo della vita in Siria aumenta inesorabilmente: per via della svalutazione della moneta locale e della mancanza di olio e di grano, il prezzo del paniere alimentare di base è cresciuto del 236 per cento. Le conseguenze di tutto ciò sono diverse e devastanti. In primis la mancanza di cibo, in particolare in Siria. L’insicurezza alimentare sta infatti colpendo 12,4 milioni di siriani, vale a dire il 60 per cento della popolazione. È chiaro che in queste condizioni le famiglie non soltanto non hanno da mangiare a sufficienza ma corrono numerosi altri rischi: per guadagnare il necessario e avere accesso al cibo molte persone sono costrette ad accettare lavori rischiosi, i minori spesso finiscono vittime di sfruttamento lavorativo e di matrimoni e gravidanze precoci. La situazione è molto grave anche sul fronte dell’istruzione: in Siria 2.4 milioni di bambini non vi hanno accesso e 1,6 milioni sono a rischio abbandono scolastico. Anche beneficiare di cure mediche risulta estremamente complesso poiché solo la metà circa degli ospedali e delle strutture di prima assistenza funzionano a pieno regime.

Il quadro che emerge dopo questi dieci anni devastanti è indubbiamente drammatico ma la gravità di questa crisi non deve indebolire la nostra solidarietà, al contrario, bisogna intensificare gli sforzi e soprattutto non voltarci dall’altra parte quando pensiamo a questa emergenza.

L’Unhcr è vicina ai siriani sin dall’inizio della crisi e da allora lavoriamo senza sosta per alleviare le sofferenze della popolazione. Ad esempio, per far fronte all’aumento della povertà l’Unhcr ha distribuito aiuti economici diretti a 800mila rifugiati. Continuiamo a garantire cure mediche e istruzione a centinaia di migliaia di persone. Ma non basta. Nel 2020 infatti soltanto il 53 per cento dei bisogni umanitari sono stati soddisfatti per via della mancanza di fondi. È il dato più basso dal 2015 e questa diminuzione di risorse disponibili si verifica proprio in un momento nel quale ci troviamo dinanzi a una nuova emergenza che si chiama povertà estrema. Il 2021 potrebbe essere l'anno più difficile per i rifugiati siriani: non dimentichiamoci di loro.

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