Essere siriani oggi può diventare una maledizione. Cacciati a milioni dal loro paese (forse dieci ma nessuno può calcolarlo con esattezza), in guerra dal 2011, sono divenuti dei paria internazionali, dei senza fissa dimora globali, respinti da tutti, anche da chi aveva loro offerto un riparo.

La Turchia che ne accoglie circa tre milioni, vuole disfarsene al più presto: i cittadini turchi sono stanchi della loro presenza, l’opposizione accusa il governo di aver spesso troppo per assisterli, soprattutto ora che c’è crisi economica e la lira turca ha perso l’80 per cento del suo valore.

Le elezioni si avvicinano e c’è fretta di respingerli almeno verso la zona occupata dai jihadisti filo-turchi di Idlib, dove si approntano alloggi. Nel Libano in caduta libera sono almeno due milioni su una popolazione di circa sei. Anche in questo caso si vorrebbe ributtarli oltre frontiera per alleggerire il crollo del paese dei cedri, dove la moneta non vale più nulla, le banche sono chiuse, le medicine scarseggiano e i prezzi salgono senza sosta.

Si è giunti al paradosso che ora molti libanesi cercano di farsi passare per siriani per ottenere una protezione umanitaria internazionale, se gli riesce. Nessuno sembra prendersi a cuore un intero popolo che rischia di diventare uno dei peggiori fallimenti umanitari della nostra epoca. Anche l’Europa –fino ad ora l’unico porto sicuro per chi riusciva ad arrivarci- inizia a stancarsi: la Danimarca ha deciso che la situazione in Siria è sufficientemente migliorata per permettere il rimpatrio dei rifugiati.

Tuttavia basta leggere i rapporti dell’Onu per convincersi del contrario. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, il norvegese Geir Pedersen, parla di povertà acuta nel paese, epidemie di colera, mancanza di acqua potabile e fame ma soprattutto di repressione mai davvero terminata. I siriani fuggiti per la guerra sono in grandissima maggioranza sunniti, non amati dagli alawiti al potere e soprattutto dal regime di Bachar al Assad.

Chi è tornato ha subito vessazioni, interrogatori, torture, sparizioni: il governo di Damasco ritiene tutti coloro che se ne sono andati dei traditori o peggio ancora degli affiliati o simpatizzanti alle milizie jihadiste. Per questo i siriani non se ne vogliono andare nemmeno dal Libano, pur piegato da una durissima crisi economica e politica.

Temono cosa li aspetta a casa, sempre che ritrovino i posti che hanno abitato un tempo: il governo distribuisce terre e abitazioni dei profughi ai miliziani a lui fedeli anche se provenienti da altri paesi. L’intera geografia umana della Siria è in via di snaturamento.

Davanti a questa tragedia senza via di uscita si stanno chiudendo le ultime porte: inizia a sentirsi anche la “concorrenza” della guerra ucraina con la conseguente diminuzione degli aiuti. L’oblio scende su un intero paese, sia per chi è dentro che per chi se ne è andato, preparando certamente tragedie future. 

© Riproduzione riservata