Nel fine settimana del 9 e 10 aprile si terrà in Francia il primo turno delle elezioni presidenziali. I sondaggi vedono come favoriti l’attuale presidente Emmanuel Macron, e la candidata del Rassemblement National Marine Le Pen. Qualora si vada al ballottaggio, il secondo turno è previsto per il week end del 23 e 24 aprile, ma come funziona il sistema elettorale francese?

La repubblica francese è di tipo semipresidenziale, questo significa che il potere è condiviso dal presidente che viene eletto a suffragio universale e dal primo ministro, il quale è invece scelto dal primo sulla base del risultato elettorale.

Può capitare che ci sia un caso di coabitazione, ovvero quando presidente e primo ministro, le due massime cariche dell’esecutivo, sono di due formazioni politiche diverse. Si tratta, comunque, di un evento raro e nella storia repubblicana francese è accaduto solo tre volte: tra il 1986 e il 1988, quando il primo ministro era Jaques Chirac, leader neogollista e il presidente era il socialista François Mitterand; tra il 1993 e il 1995, quando alla presidenza c’era sempre Mitterand mentre come primo ministro c’era il capo dell’opposzione Edouard Balladur; e infine tra il 1997 e il 2002, con ancora una volta Chirac presidente e Jospin Period (socialista) primo ministro.

Il voto

Il voto presidenziale si struttura in due parti. Nel momento in cui il candidato ottiene la maggioranza assoluta al primo turno è automaticamente eletto, altrimenti si tiene un ballottaggio con i due nomi che hanno ottenuto il maggior numero di voti.

Il presidente francese gode di diversi poteri oltre alla nomina del primo ministro. È infatti il capo della diplomazia e delle forze armate, e presiede il Consiglio superiore della difesa e il Consiglio superiore della magistratura. Ma a differenza del presidente della Repubblica italiana quello francese gode del potere di indirizzo politico.

Qualora lo ritiene necessario può esercitare dei poteri esclusivi che prevedono, per esempio, il ricorso al referendum su proposta del governo o delle camere; il diritto di sciogliere l’Assemblea; la nomina di tre membri e del presidente del Consiglio costituzionale; il controllo di legittimità costituzionale preventivo. In caso di emergenza nazionale il presidente può anche legiferare attraverso i decreti.

Ci sono poi altri poteri condivisi con l’esecutivo, ovvero la nomina/revoca di ministri su proposta del primo ministro; la promulgazione di leggi deliberate dal Consiglio dei ministri e la negoziazione e ratifica di trattati internazionali.

L’elezione del parlamento

L’ultima riforma elettorale ha ridotto il mandato dell’Assemblea a cinque anni, uniformandolo quello della presidenza.

I 577 seggi parlamentari vengono eletti in 577 collegi uninominali con un sistema maggioritario a doppio turno. Per essere eletti al primo turno di voto il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti e almeno il 25 per cento degli aventi diritto. Nel caso in cui nessuno riesca a ottenere la maggioranza si va al ballottaggio tra i candidati che hanno superato la soglia di sbarramento del 12,5 per cento al primo turno.

Per quanto riguarda il Senato, invece, è composto da 348 senatori ed è eletto a suffragio indiretto. Il suo potere è di secondo piano e ha mandato di sei anni con un rinnovo parziale ogni tre.

Il dibattito in Italia

Con le ultime elezioni del presidente della Repubblica in Italia diversi esponenti del mondo politico hanno parlato di un semipresidenzialismo alla francese. Tra questi c’è il ministro leghista dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti che in un’intervista aveva evocato la possibilità che il presidente del Consiglio Mario Draghi potesse continuare a governare dal Quirinale. «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche da fuori. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole», aveva detto Giorgetti suscitando un acceso di battito anche all’interno della coalizione di centrodestra (Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega).

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