«Invece di fare i compiti, i miei due figli – sei e 11 anni – passano più tempo a giocare a King of the Melon Party e Minecraft che io a lavorare in ufficio», ha raccontato Allen Wan nella newsletter Next China. Il corrispondente di Bloomberg ha spiegato che i suoi pargoli «si sono appassionati ai telefoni, invece che alla fonetica, l’anno scorso, quando il lockdown anti Covid ha costretto la scuola internazionale che frequentano a Shanghai a chiudere i battenti e trasferire online le lezioni». Per questo Wan sulle prime ha reagito «con un alleluia!» alle restrizioni all’accesso a internet da parte dei minori appena varate dal partito comunista cinese, tre le più severe al mondo.

A imporre il giro di vite è stata l’Amministrazione del cyberspazio della Cina (Cac), l’ente creato nel 2014 per volere di Xi Jinping e posto sotto il controllo diretto del Pcc col mandato di sviluppare e, nello stesso tempo, sorvegliare quella che, di fatto, è una gigantesca intranet: una rete nella quale (grazie a un avanzatissimo sistema di filtri) dal web globale arrivano solo contenuti e informazioni non ostili al “grandioso risveglio della nazione cinese” promosso dal presidente.

Ebbene la authority ha pubblicato un regolamento che impone ai produttori di cellulari e agli app store di fornire una “modalità minori”, nei cellulari come nei negozi online, in modo che chi ha meno di 18 anni limiti l’uso dello smartphone, e possa scaricare solo programmi selezionati. La “modalità minori” prevede un utilizzo quotidiano di massimo 40 minuti per gli utenti fino a otto anni, un’ora fra gli otto e i 16 anni, due ore fra i 16 e i 18 anni. Inoltre, tra le dieci di sera e le sei del mattino, obbligo di schermi spenti per tutti i minorenni. Per quanto riguarda gli app store, gli utenti di età inferiore ai 12 anni non potranno scaricare programmi senza la guida dei genitori, mentre quelli di età compresa tra 12 e 16 anni potranno fare il download solo di app ideate per i minori.

Un nuovo mercato

In Cina tutti i brand, compresi i colossi Apple e Xiaomi, dovranno dotare smartphone e tablet di un tasto apposito per la “modalità minori”, la quale dovrà essere attivabile anche attraverso i settaggi del sistema operativo. E la responsabilità dell’applicazione delle nuove regole ricadrà proprio sulle aziende, sia quelle che sfornano i gadget destinati al mercato cinese, sia quelle – come i giganti dei servizi online Tencent e NetEase – che la campagna del 2021-2022 contro la “espansione disordinata del capitale” ha ridotto all’obbedienza, allineandone le politiche aziendali alle strategie di ricerca e sviluppo tecnologico del governo, e dimezzandone il valore azionario (e di conseguenza causando decine di migliaia di licenziamenti). Le ultime misure però – secondo gli analisti economici cinesi – non danneggeranno le compagnie di internet (un terzo del Pil cinese), piuttosto andranno incontro a una domanda che arriva da famiglie quanto mai allarmate, favorendo lo sviluppo del mercato di device dedicati ai minori.

La dipendenza di bambini e adolescenti dal display di cellulari e tablet (soprattutto per videogiocare online) rappresenta infatti un problema sempre più sentito dai genitori cinesi. Secondo le ultime ricerche scientifiche sarebbe corresponsabile dell’incremento del tasso di miopia, tra i più elevati al mondo, da cui sono affetti l’89,7 per cento dei liceali tra i 16 e i 18 anni, nonché di varie forme di disturbi psichici, soprattutto tra i milioni di bambini lasciati nei villaggi d’origine dai lavoratori migranti, che nelle metropoli industriali non hanno diritto a istruzione e assistenza sanitaria gratuita per i figli.

Già nel 2018, le autorità avevano vietato agli studenti delle scuole elementari e medie di utilizzare dispositivi elettronici in classe. E nell’estate 2021, era stato imposto il limite di videogame per i minori dalle otto alle nove di sera, soltanto nei weekend, in tutto tre ore a settimana.

Tecnologia e ideologia

Nel paese in cui il 99,8 per cento degli utenti (1,065 miliardi) per accedere a internet utilizza lo smartphone e in cui secondo gli ultimi dati (relativi al 2021) i minorenni utenti sono 191 milioni (il 96,8 per cento del totale) i grandi marchi hanno già iniziato a rincorrere lo zelo regolatorio del governo. Apple ad esempio ha introdotto nei suoi smartphone e tablet una serie di limitazioni che i genitori possono attivare per bloccare il download di determinate app, per impedire gli acquisti in app, fermare il caricamento di pagine giudicate inappropriate, e così via. Mentre Xiaomi permette ai genitori perfino di disinstallare da remoto app presenti sui cellulari dei figli.

L’iperattivismo normativo dell’amministrazione Xi ha investito ogni settore della società, con l’obiettivo di creare cittadini “modello”, uomini nuovi socialisti di sovietica memoria in un’era però nella quale le aziende (private) di internet cinesi devono macinare profitti. Così quella della Cac, condannata a trovare continuamente rimedi sempre nuovi e parziali alle sofferenze (bullismo online, dipendenza da videogame, fake news, binge eating, eccetera) che i giovani utenti cinesi manifestano più o meno come quelli occidentali, assomiglia alla dannazione di un Sisifo digitale. Per dire, in occasione del capodanno lunare (nel febbraio scorso) l’amministrazione del cyberspazio ha lanciato una campagna di un mese per «ripulire il cyberspazio», contro i contenuti online ritenuti inadatti per celebrazioni «sane, festose e pacifiche», che ha preso di mira i social media che includono doxing, attacchi personali e gruppi di celebrity fan che si scontrano.

Gli scolari cinesi saranno al centro anche della nuova campagna per promuovere l’educazione patriottica tra gli utenti di internet che, secondo quanto anticipato dai media cinesi, spingerà i fornitori di contenuti e servizi online a sviluppare e utilizzare nuove piattaforme, tecnologie e prodotti per diffondere online il patriottismo, come argine al consumismo.

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