Wole Soyinka, il noto scrittore nigeriano Nobel per la letteratura 1986, sostiene che «le relazioni euro-africane degli ultimi cinque secoli sono la storia di un monologo. Quello europeo». Il summit svoltosi il 17 e il 18 febbraio a Bruxelles tra l’Unione europea e l’Unione africana, almeno nelle intenzioni, ha provato forse per la prima volta a cambiare approccio passando da quella specie di soliloquio tutto europeo, ancora fortemente caratterizzato dal metodo e il pensiero colonialisti, a un abbozzo di dialogo.

Nella fase preparatoria, il vertice ha inaugurato un modello innovativo proprio perché ha puntato a ribaltare la dinamica donor-recipient che ha spesso dettato l’agenda delle relazioni Europa-Africa, con l’Africa a recitare la parte del parente povero e l’Europa quello della dama di San Vincenzo che dona con fare filantropico.

Il tempo delle «briciole dalla tavola», come ha sottolineato il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa nel corso dell’incontro, è destinato a tramontare per fare posto a una collaborazione inter pares capace di proporre soluzioni globali a questioni globali.

Nella due giorni di incontri, suddivisi in sette tavoli tematici, i leader dei 27 stati membri dell’Ue e 40 dei 55 della Ua (non hanno preso parte i paesi a presidenza golpista sospesi dall’Unione africana, come Mali, Guinea, Sudan e Burkina Faso, e vari altri con questioni di stabilità politica) hanno discusso di temi cruciali quali il cambiamento climatico, le pandemie e le campagne vaccinali, le migrazioni, la pace, la democrazia, il lavoro, i diritti, la sicurezza.

Il piano di investimenti pubblici e privati per l’Africa, che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in visita a Dakar qualche settimana fa, ha quantificato in 150 miliardi di euro entro il 2027, rientra nel piano Global Gateway.

Nel marzo 2020, in preparazione di questo vertice, poi rinviato a causa della pandemia, la Commissione europea ha prodotto un white paper di partenariato strategico con l’Africa che sottolineava la necessità di allontanarsi dal rapporto donatore-beneficiario, e poi, nel 2021 ha lanciato il Global Gateway, un piano da 300 miliardi di euro per stabilire partneriati solidi in tutto il mondo.

Nuovi attori

French President Emmanuel Macron, second right, flanked by Ghana's President Nana Afuko Addo, right, Senegal's President Macky Sall, and European Council President Charles Michel, left, holds a joint press conference on France's engagement in the Sahel region, at the Elysee Palace in Paris, Feb. 17 2022. President Emmanuel Macron said that France will withdraw its troops from Mali nine years after it first intervened to drive Islamic extremists from power but intends to maintain a military presence in neighboring West African nations. (Ian Langsdon, Pool via AP)

Il mix di risorse allocate in Africa, oltre a creare sviluppo, mira a ridisegnare gli assetti geopolitici nel continente dove, nel frattempo, i cosiddetti “nuovi attori” (Cina, Russia, Turchia, Emirati Arabi, etc) hanno colmato un vuoto di presenza e dato risposte alla loro maniera a nazioni che le attendevano da tempo.

Il caso forse più emblematico è quello del Mali dove la giunta golpista al potere dal maggio scorso ha trovato nella Russia (e la sua milizia mercenaria Wagner, nota per metodi brutali e crimini) il partner ideale per mettere fine alla penetrazione jihadista.

In pochi mesi l’intervento russo ha garantito maggiori successi di una presenza decennale europea, con a capo la Francia che dal 2013 rappresentata il capofila dell’operazione. Alla vigilia del summit ha annunciato la ritirata definitiva.

L’irrisione del governo di transizione del Mali, che appresa la notizia del definitivo ritiro, sollecita Parigi di «attuarlo senza ritardi» proprio a chiusura del summit, è forse il simbolo della de-europeizzazione del continente.

I migranti

Foto AP

Tra le questioni più controverse affrontate al summit, ci sono stati i vaccini e i flussi migratori. I leader africani chiedono un ripensamento delle strategie di gestione dei flussi da parte della Ue che sostanzialmente, allo stato attuale, si limita a bloccarli finanziando a est la Turchia e a sud la Libia o erigendo muri fisici e virtuali per respingerli. I casi dei confini polacco-bielorusso o croato-bosniaco, i lager libici, dove da anni si ammassano migliaia di individui in condizioni subumane, sono l’emblema peggiore.

Ma il summit avrà successo soprattutto se nel prossimo futuro i 27 stati membri si renderanno conto di quanto abbiano bisogno dell’Africa, non solo l’Africa di loro, e abbandonino definitivamente l’approccio for Africa per fare spazio al with.

L’Africa non è solo un monolite fatto di guerre, miseria, dittature e slum. È l’unica zona del mondo che crescerà demograficamente nei prossimi vent’anni e passerà entro il 2050, da 1,2 a 2,4 miliardi, con un conseguente boom economico che si immagina secondo solo al sud est asiatico. Già oggi 26 paesi su 55 superano la soglia del medio reddito (oltre 996 dollari/anno) e la cosiddetta classe media africana cresce di svariati milioni di persone ogni anno. L’Africa ha un’età media di meno di 20 anni, produce forza lavoro sempre più specializzata di cui il vecchio continente ha disperato bisogno.

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