Basterebbe dare un’occhiata alle immagini delle manifestazioni spontanee inscenate a Bamako per celebrare l’espulsione dell’ambasciatore francese che girano in rete, per capire molte cose dei rivolgimenti epocali in atto in Mali in questi mesi. Si vedono folle festanti che esaltano i militari golpisti al potere dal maggio scorso, danno alle fiamme cartonati del presidente francese Emmanuel Macron e, soprattutto, sventolano bandiere russe accanto a quelle nazionali.

Le sliding doors in versione maliana spingono progressivamente fuori di scena la Francia per fare prepotentemente posto alla Russia.

Fuori controllo

La svolta nelle relazioni diplomatiche tra la Francia e l’ex colonia è arrivata alla fine del gennaio scorso, a seguito di una dura dichiarazione rilasciata dal ministro degli esteri transalpino Jean-Yves Le Drian che ha definito il governo militare maliano “fuori controllo”.

Assimi Goita, il colonnello 37enne leader della giunta golpista, ha dato 72 ore di tempo all’ambasciatore Joel Meyer per lasciare il paese. Ma la plateale cacciata è stato solo l’ultimo degli episodi che hanno visto una escalation di tensione fra i due paesi negli ultimi due anni.

Il declino inizia all’indomani del colpo di stato del 18 agosto del 2020 quando il colonnello Goita spodesta il presidente eletto Ibrahim Boubacar Keita e inferisce un duro colpo a Macron suo grande sostenitore. Nel frattempo la missione militare francese, inviata in Mali nel 2013 dal presidente François Hollande al fine di contenere l’avanzata jihadista, accumula fallimenti e profonda avversione da parte di gran parte della giunta per la sua ormai certificata inefficienza.

Un altro colpo di stato

Le oltre 5.100 unità spedite negli anni a contrastare i jihadisti infatti (affiancate da un numero impressionante di militari distaccati  da eserciti in grandissima parte occidentali) registrano pochi successi al contrario dei terroristi islamici che aumentano presenza e influenza.

A maggio del 2021, il colonnello Goita estromette dal potere il governo a trazione civile nominato per gestire la transizione post golpe e realizza un nuovo colpo di stato, il secondo in meno di un anno, autonominandosi presidente ad interim.

La Francia reagisce male. A giugno sospende le operazioni militari congiunte in «attesa di nuove garanzie» sul ritorno dei civili al potere e annuncia una riduzione dell’operazione militare Barkhane nel Sahel.

Il non lavoro

Intanto comincia l’espansione russa in Mali. Il governo golpista, sull’onda del sostegno di cui gode da gran parte della popolazione, è deciso a mettere fine alle basi jihadiste in Mali, e per questo si rivolge a Mosca.

Putin invia sùbito truppe regolari affiancate, senza mai dichiararlo, da un migliaio di mercenari dell’unità Wagner. A settembre, puntuale, arriva la denuncia di Parigi che agita lo spettro di un’ulteriore destabilizzazione del paese e dell’area e chiede di ripristinare l’ordine democratico.

A margine del richiamo, il presidente Macron aggiunge una frase velenosa: «Non spetta all'esercito francese sostituirsi al “non lavoro” dello stato maliano» che scatena l’ira di Goita e del ministro degli esteri Abdoulaye Diop il quale invia a Parigi, per tramite dell’ambasciatore francese, segnali di profonda «indignazione e di disappunto».

Dalla Francia alla Russia

Ma il colpo più duro arriva a ottobre, quando il primo ministro maliano Choguel Kokalla Maiga dichiara di avere prove che la Francia stia «addestrando gruppi terroristici». Da lì in poi si va a suon di posizioni e dichiarazioni al vetriolo.

Parigi, assieme a una decina di altri paesi, insiste sulla condanna dell’utilizzo dei mercenari Wagner ed è capofila nell’appoggiare le sanzioni durissime imposte dall’Ecowas, la Comunità economica dell’Africa occidentale, e appoggiate dall’Unione europea. Tra le altre c’è la chiusura dei confini dei paesi limitrofi. Bamako risponde piccata innescando un crescendo che porterà qualche settimana fa alla decisione di espellere l’ambasciatore.

La Francia, a capo di una schiera di stati occidentali e della stessa Unione europea, vede con molto timore la penetrazione russa in Africa, specie nelle zone francofone, dove Parigi ha continuato ad avere grandissima influenza anche dopo la decolonizzazione.

Attaccare Wagner

La Francia punta dunque a delegittimare la presenza russa in Mali e lo strumento più potente è l’attacco a Wagner. La milizia mercenaria ha un curriculum che desta giustamente moltissime preoccupazioni.

Presente in Siria wa fianco di Bashar al Assad, è stata pesantemente accusata da media russi di metodi brutali contro i prigionieri e di crimini atroci; ha al suo attivo campagne paramilitari nella Repubblica centrafricana e altri paesi africani, oltre ad essere responsabile della formazione delle milizie di Khalifa Haftar in Libia.

Per quest’ultimo ruolo, pendono a suo carico accuse di crimini di guerra e contro l’umanità. Ma soprattutto il gruppo è direttamente collegato alla crisi ucraina di strettissima attualità. Vari rapporti attestano sue attività in Ucraina all’inizio della guerra nel 2014 in appoggio ai gruppi separatisti nell’est del paese. È per questo che il Mali è incredibilmente divenuto protagonista nei negoziati che si stanno conducendo per evitare l’escalation militare in Ucraina.

I colloqui con Putin

Macron, nel corso dei colloqui avuti con Putin a Mosca qualche giorno fa, ha chiesto esplicitamente al suo omologo russo di smentire ufficialmente che il Cremlino abbia «qualcosa a che fare con i contractor russi in Mali». Al termine degli incontri ha dichiarato che «la risposta del presidente è stata chiara». Ma non ha mai specificato se per «chiara» intendesse «sincera».

Ufficialmente Mosca e Bamako negano ogni presenza di Wagner in Mali, ma le testimonianze a riguardo sembrano smentirli clamorosamente. La Francia, l’Unione europea, gli Stati Uniti e una decina di altri stati occidentali hanno molti motivi per allarmarsi per l’intervento in un altro paese africano di Wagner. E denunciano il probabile «ulteriore deterioramento della situazione in Africa Occidentale e l’aggravamento della situazione dei diritti umani in Mali».

Ma non possono esimersi da un profondo esame di coscienza sul presidio costante di decine di migliaia di loro uomini che in circa dieci anni hanno fatto meno di quanto le truppe russe – e i mercenari di Wagner – abbiano ottenuto in pochi mesi. Si registrano infatti sostanziosi passi in avanti nella campagna di annientamento delle cellule jihadiste in tutto il paese proprio di recente.

L’instabilità cronica

Il favore del popolo di cui Goita e i suoi godono si deve anche alla capacità mostrata a evidenziare il fallimento di campagne multimilionarie di stati e organizzazioni occidentali nella lotta al jihadismo. L’espulsione dell’ambasciatore francese, la richiesta di fine gennaio inoltrata alla Danimarca di ritirare «immediatamente» le sue truppe, le accuse spedite senza mezzi termini a Ue, Usa e occidente di lucrare sul Mali, sono tutti segnali inequivocabili di una sostanziale deuropizzazione in atto nel paese ormai dai tempi del colpo di stato. E del progressivo spostamento dell’asse di influenza verso oriente che interessa il Mali e vari altri paesi africani nei quali si sono succeduti colpi di stato o che sono vittime di instabilità cronica.

Il summit Unione europea-Unione africana che si apre giovedì 17 febbraio a Bruxelles, almeno nelle intenzioni, punta a rilanciare il ruolo del vecchio continente in Africa. La strada può essere finalmente quella giusta, ma arriva in ritardo e dopo molti errori. Nel vuoto venutosi a creare nel frattempo, si sono infilati i cosiddetti “nuovi attori”, Russia, Turchia, Emirati Arabi. La Cina c’era già da tempo. Il connubio con governi dirigisti se non golpisti è di certo più facilitato dalla scarsa propensione di questi attori verso il metodo democratico. A differenza di Ue, Usa, occidente, la stessa Unione africana, a questi stati non interessa come sia stato ottenuto il potere.

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