Una volta deciso che il tempo della guerra della Nato in Afghanistan era finito, che il conflitto era durato 20 anni e che gli accordi con i Talebani erano stati presi a febbraio a Doha con la decisione di liberare 5mila prigionieri prima del termine delle ostilità, i giochi erano fatti. Si trattava di gestire il graduale disimpegno americano e occidentale e passare l’onere del conflitto all’esercito afghano formato, secondo nuove stime più realistiche forse in 50mila effettivi e non di 300mila come si era in un primo momento pensato.

Le vicende sul terreno, per la fretta di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale in vista delle elezioni di Midterm a Washington, sono degenerate nel modo peggiore con una rapidissima avanzata talebana che ha stupito tutti i protagonisti e gli osservatori.

Lo stesso presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, incalzato sulla ritirata disordinata dell’esercito afghano, ha difeso la scelta di ritirare le truppe americane affermando che Cina e Russia «non volevano nient'altro» che il suo paese continuasse a spendere ingenti risorse, prese in prestito sui mercati, e affondare nel pantano dell'Afghanistan. L’America di Biden vuole fare nation-bulding a casa sua, ricostruire ponti, scuole e reti digitali per i suoi cittadini nonostante l’apparato industrial-militare avesse voluto continuare il lucroso conflitto.

Cina e Russia

A questo punto, dopo il ritiro e l’evacuazione della Nato e degli afghani filo-occidentali in pericolo, è evidente che all’Europa non resta che trattare con i Talebani perché sono i detentori del potere in Afghanistan. L’intervento dell’Alto rappresentante europeo per la politica estera, Josep Borrell è molto esplicito in proposito: «Non possiamo concedere a russi e cinesi di prendere il controllo della situazione e diventare i sostenitori di Kabul» ha scritto l’ex ministro spagnolo, ma «dobbiamo stabilire un contatto con chi detiene il potere a Kabul adesso. Dobbiamo parlare con loro». Questa posizione di Borrell si rifà alla real politik e invita a prendere atto pragmaticamente dei rapporti di forza in campo dopo il ritiro dei militari della Nato.

Una posizione europea che invece puntasse a priori all’isolamento del nuovo regime e al suo mancato riconoscimento internazionale non sarebbe utile a nessuno. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, recatasi a Mosca l’altro ieri per la vicenda ucraina e il raddoppio del gasdotto North Stream2, ha chiesto al presidente russo, Vladimir Putin di esercitare tutta la sua influenza sul nuovo regime talebano per evitare la distruzione dello stato afghano e pericolose derive fondamentaliste.

L’Europa deve innanzitutto delineare una strategia comune, evitare che ogni Paese vada per conto suo e indicare delle “linee rosse” invalicabili. Bruxelles deve chiarire che non accetterà mai che il paese asiatico possa tornare ad essere una base per gruppi terroristici islamisti tipo Al Qaeda e l’Isis; che il governo non includa le altre forze politiche presenti a Kabul. Inoltre la Ue dovrà imporre che i profughi verranno tutelati attraverso corridoi umanitari e con accordi temporanei che coinvolgano i paesi limitrofi.

La Ue potrebbe avere molta influenza sul governo talebano se dicesse cosa non è negoziabile: il sostegno al terrorismo, ai signori della droga, la difesa dei profughi e dei diritti umani.

Tenendo conto che intervenire nell’area sarà un’azione congiunta che dovrà coinvolgere paesi vicini come Russia, Cina, Pakistan, Iran e Turchia. Appena un giorno dopo l'ingresso dei Talebani a Kabul, la Cina si è detta pronta ad approfondire le relazioni «amichevoli e cooperative» con il nuovo governo talebano. Pechino vede l'opportunità di esercitare pressioni per la costruzione della Via della seta mentre gli Stati Uniti si ritirano. La Cina ha avanzato alcune richieste chiave al governo dei Talebani: la prima è proteggere gli investimenti cinesi e garantire la sicurezza dei suoi cittadini; in secondo luogo vuole che non ci siano basi logistiche in Afghanistan per i separatisti uiguri dello Xinjiang.

Le linee rosse dell’Ue

Lo sguardo dell’Unione di Bruxelles, a differenza di quello cinese, dovrà focalizzarsi sul rispetto dei diritti umani nel solco della tradizione e cultura europea. Proprio questa cultura non permetterà all’Europa di giudicare imperialista l’intervento americano in Afghanistan e guardare ai Talebani con occhio benevolo etichettandolo come un movimento di liberazione terzomondista.

Gli Stati Uniti sono intervenuti in Afghanistan in funzione anti-terroristica e si sono mossi come un elefante in una cristalleria per colpire pochi soggetti ben nascosti. L’esito di questa miope strategia era segnato fin dall’inizio, era solo questione di tempo. Ma nessuno trasformi il movimento dei Talebani in qualcosa di diverso di quello che essi stessi dicono di essere: un gruppo fondamentalista con lo scopo di erigere l’emirato, applicare la sharia e fondare una teocrazia nel XXI secolo.

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