Entrare nel bar sbagliato, conoscere persone dal passato più o meno oscuro, conquistarsi la loro fiducia e poi scattargli delle foto. Potrebbe essere la trama di un film di spionaggio, in realtà è la storia di come è nato un libro tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Independence on my skin è il volume del fotoreporter Erik Messori, edito da Corsiero e uscito il 16 maggio, in cui vengono messi a nudo alcuni personaggi legati all’Ira (Irish republican army) che nel corso dei decenni hanno combattuto per l’indipendenza del Nord Irlanda. Un modo diverso per raccontare la storia recente dell’isola irlandese e gli anni dei Troubles dalla prospettiva dei nazionalisti, in lotta contro il Regno Unito.

Nel giro di tre anni e mezzo, da fine 2013 all’inizio del 2018, Messori è entrato in contatto con gli ambienti nazionalisti tra Dublino, Derry e Belfast. Un periodo vissuto come una partita a scacchi, in cui ha atteso e si è dovuto dimostrare affidabile agli occhi di chi vive in semiclandestinità, in cui è stato incappucciato prima di arrivare in luoghi sconosciuti per incontrare uomini e donne e in cui ha avuto a che fare anche con i servizi di intelligence britannici. Ma non ha intervistato nessuno: a parlare, infatti, sono stati i simboli impressi in maniera indelebile sui corpi dei personaggi incontrati.

Negli scatti in bianco e nero, spesso realizzati di fretta, sono immortalati i tatuaggi soprattutto di quella generazione di nazionalisti, oggi per lo più tra i 55 e i 60 anni, che ha vissuto in prima linea gli anni duri del conflitto e che vede il periodo attuale più come una tregua che come una condizione perenne. Disegni di armi, bandiere e frasi in gaelico che rimandano a una violenza cruda. Ma anche e soprattutto emblemi dell’Irlanda come l’arpa, le croci celtiche, i folletti o i trifogli di san Patrizio.

Presenti i richiami ad altre lotte per l’indipendenza, da quella scozzese a quella dei nativi americani, o volti di icone rivoluzionarie come Che Guevara, fino al ritratto di Bobby Sands, il giovane nordirlandese che nel 1981 si lasciò morire di fame nel carcere di Long Kesh per chiedere il riconoscimento dello status di prigioniero politico. Un sacrificio estremo, compiuto insieme ad altri militanti - anch’essi ricordati nei tatuaggi - dopo aver messo in scena altre proteste, come quella di vestirsi solo con le coperte o di spalmare i propri escrementi sui muri delle celle. Una battaglia portata avanti proprio con i corpi, soggetti del lavoro di Messori.

Nessun volto

Non ci sono i visi nei ritratti, ma solo un’ostensione di schiene, toraci, braccia utilizzate come memoria, un po’ come simulacro dei simboli per cui hanno combattuto e un po’ come testimonianza di una violenza che oggi è stata quasi del tutto abbandonata ma non dimenticata. Il tutto in posizioni del corpo che nella quotidianità sono spesso nascoste dai vestiti, come a voler mantenere una discrezione e un’intimità profonda con le rappresentazioni.

Storie personali, difficili da ricostruire, che tuttavia si intrecciano con quelle collettive, tanto che tra i diversi disegni incisi sulla pelle, insieme alle figure storiche, sono presenti anche le date e i nomi di compagni, familiari e amici caduti per un ideale.

Messori, inoltre, ha cercato di catturare anche il contesto in cui questi corpi sono nati e hanno vissuto: le cittadine nordirlandesi dove le violenze erano all’ordine del giorno, i luoghi di ritrovo, le botteghe dei tatuatori autori dei disegni arrivati fino a oggi. E ancora le periferie di Dublino, lontana dall’epicentro delle tensioni, ma base da cui i nazionalisti coltivano i legami con gli ambienti americani. Fino ad arrivare ai muri, alle barriere e ai cancelli che ancora oggi dividono Belfast. O meglio, che dividono alcuni quartieri della città appartenenti alle due comunità, una repubblicana l’altra unionista. Sono dette Peace lines, perché costruite con l’obiettivo di arginare la violenza e riportare la pace. Un tentativo riuscito solo in parte, visto il degrado in cui sono spesso lasciate e il loro – anche recente – divenir teatro di scontri tra giovani membri delle comunità.ù

Un limbo

L’unicità del progetto di Indipendence on my skin è data non solo dalla qualità delle fotografie, ma anche dall’intuizione di ritrarre le identità cucitesi addosso dai protagonisti di una pagina fondamentale per la storia dell’Irlanda, del Regno Unito e di tutta l’Europa. Così come, semplicemente, dall’impossibilità che una fiducia simile venga accordata nuovamente a estranei da figure tuttora legate a un mondo criminale o che vivono in semi clandestinità.

La Brexit ha riportato un’attenzione generale sulla situazione della regione. Ma in Irlanda del Nord, dopo 25 anni dagli accordi del Venerdì Santo, parti delle due comunità – seppur siano stati compiuti lunghi passi in avanti per una stabilizzazione – vivono ancora in una sorta di limbo. E gli scatti di Messori sono la prova degli ideali e delle memorie che continuano a vivere nella mente, ma anche sulla pelle, di molte persone.

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