Inizia oggi a New York il processo a carico di Donald Trump. L’ex presidente degli Stati Uniti, candidato repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre, è accusato tra le altre cose di aver pagato, durante la campagna per il voto del 2016, l’attrice hard Stormy Daniels per comprarne il silenzio su un rapporto sessuale avuto con lui anni prima.

L’ex tycoon è chiamato a rispondere di altri 33 capi d’accusa e rischia fino a un massimo di quattro anni di carcere ma, anche se condannato, potrà comunque essere eletto.

Le accuse

Aver falsificato documenti per nascondere un pagamento di 130mila dollari versati all’ex pornostar Stormy Daniels per tacere sulla loro relazione. È questa l’accusa principale su cui ruota il processo che si apre oggi in una New York blindata e che vede per la prima volta un ex presidente degli Stati Uniti sul banco degli imputati.

Nello specifico, secondo il procuratore di Manhattan Alvin Bragg, Trump avrebbe versato 12 rate da 34mila euro l’una tramite la Trump Organization, giustificandole come consulenze legali, al suo avvocato Michael Cohen, che a sua volta avrebbe girato i soldi all’attrice. I pagamenti di Trump e i versamenti di Cohen sono già stati accertati: per questo motivo, e per aver mentito al Congresso, l’ex legale “tuttofare” dell’ex presidente Usa è stato condannato nel 2018 a tre anni. Ed è oggi uno dei testimoni chiave del processo, con Trump e i suoi avvocati che hanno iniziato da tempo a screditarlo: «Cohen e Daniels sono due bugiardi, due sacchi di spazzatura».

L’ex pornoattrice (il suo vero nome è Stephanie A. Gregory), durante la campagna elettorale del 2016 ha iniziato a raccontare i diversi incontri avuti con Trump, iniziati nel 2006, l’anno successivo del suo matrimonio con Melania Trump e mentre l’ex first lady era incinta. Una serie di particolari che avrebbero messo in imbarazzo l’ex tycoon che, con i suoi versamenti, avrebbe quindi tentato di occultare. 

Come funziona il processo

Rispetto agli altri casi che coinvolgono Trump, questo è l’unico processo che potrebbe finire prima del voto di novembre, quando gli americani sceglieranno il 47esimo presidente degli Stati Uniti.  

Dopo essere stato incriminato a fine marzo 2023, il processo sarebbe dovuto iniziare il 25 marzo scorso. Ma un giudice di New York ha rinviato a oggi per permettere ai legali di Trump di preparare le tesi difensive e studiarsi le quasi 100mila pagine di nuove informazioni sul caso, emerse solo nei giorni precedenti. 

Quella di oggi, lunedì 15 aprile, è la prima udienza del processo: le prime settimane saranno dedicate alla scelta dei 12 componenti della giuria popolare, cittadini statunitensi maggiorenni e residenti a Manhattan che avranno il compito di esprimere un verdetto di colpevolezza o innocenza. Sarà poi la magistratura a esprimersi sul caso.

Non sarà un processo mediatico perché in aula sono state vietate le telecamere, ma Trump ha già dimostrato di voler spettacolarizzare il caso. Considerato anche che l’imputato dovrà essere per legge presente a tutte le udienze, che si terranno ogni giorno della settimana tranne il mercoledì. E considerato che l’ex presidente si è già detto pronto a testimoniare: «Racconterò tutta la verità, e la verità è che non è successo niente», ha dichiarato.

Cosa rischia se condannato

I capi d’accusa nei confronti di Trump sono considerati “crimini di classe” e, per questo, punibili con un massimo di quattro anni di carcere. Ma un’eventuale condanna non comprometterebbe la corsa verso la Casa Bianca. Anzi, secondo la costituzione americana, potrebbe addirittura guidare il paese da dietro le sbarre.

I testimoni e la difesa di Trump

Sarà il suo ex avvocato Michael Cohen il protagonista principale sul banco degli imputati, già condannato nel 2018 per crimini federali e per aver emesso pagamenti, per conto di Trump, sui conti di Stormy Daniels. Ci sarà poi, ovviamente, la stessa Daniels, che ha già promesso di rivelare altri particolari sui suoi rapporti con l’ex tycoon, e forse Karen McDougal, una modella di Playboy che afferma di essere stata pagata per tacere sulla sua relazione con Trump.

La difesa di Trump farà di tutto per screditare la credibilità dei testimoni. Non solo, perché l’ex presidente Usa si è già mosso contro il giudice, Juan Merchan, accusato di essere a favore dell'avversario Joe Biden.

Gli altri processi in corso

Quello sui pagamenti nei confronti di Stormy Daniels è solo uno dei quattro processi penali a carico di Donald Trump. Ed è quello meno politico.

L’incriminazione più grave è quella che riguarda l’assalto al Congresso nel gennaio del 2021 e per cui Trump è accusato di aver cercato di sovvertire l’esito del voto che aveva premiato Biden.

C’è poi il caso dei documenti governativi conservati illegalmente nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida. E, sempre in riferimento alle scorse elezioni, Trump è incriminato in Georgia con l’accusa di aver cercato di cambiare i risultati ufficiali per ribaltare il risultato generale delle elezioni. 

Rispetto al processo che si apre oggi a New York, questi altri tre casi non hanno una data d’inizio certa e, sicuramente, non termineranno prima delle prossimo novembre, quando verrà scelto il prossimo inquilino della Casa Bianca.

La Corte suprema e l’eleggibilità di Trump

I diversi processi a carico di Donald Trump si intrecciano inevitabilmente con la sua corsa alla presidenza. Non solo per motivi politici, perché questi casi potrebbero condizionare (non per forza negativamente) la sua campagna elettorale. Ma perché negli scorsi mesi diversi Stati hanno cercato di impedire all’ex presidente di candidarsi per una seconda volta.

Un punto definitivo l’ha messo il 4 marzo la Corte suprema, il più importante tribunale federale americano, quando all’unanimità ha stabilito che Trump poteva correre alle primarie del partito Repubblicano e, di conseguenza, anche alla Casa Bianca. Il caso riguardava nello specifico il Colorado: lo stato lo aveva dichiarato “ineleggibile” per il suo coinvolgimento diretto nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio del 2021 e per aver cercato, in questo modo, di sovvertire il voto del novembre del 2020. I giudici del Colorado si sono appellati al 14esimo emendamento della costituzione americana che vieta di ricoprire incarichi pubblici a chi è coinvolto in insurrezioni o rivolte contro lo stato.

Secondo la Corte suprema, che non si è espressa sul merito della questione, la costituzione del 1789 vieta a un singolo stato di censurare la candidatura a un incarico nazionale perché – questa è la tesi dei giudici supremi – la decisione spetterebbe al Congresso, che non si è espresso. Tradotto: Donald Trump è candidabile. Ha già vinto le primarie del proprio partito e si contenderà la presidenza con Joe Biden, in un remake del 2020. Oltre al Colorado, la decisione della Corte suprema Usa si applica anche agli altri stati che, negli scorsi mesi, avevano squalificato Trump dalla corsa per la Casa Bianca.

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