La sfida tra Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kilicdaroglu è giunta al termine: il capo di stato uscente si è aggiudicato la vittoria al ballottaggio e governerà per i prossimi 5 anni.

Erdogan si trova a guidare il parlamento più nazionalista e conservatore di sempre e potrebbe avviare i lavori per quello che è stato da lui stesso definito «il secolo turco».

Un simile progetto dovrebbe probabilmente basarsi su quelli che sono stati i capisaldi della politica turca degli ultimi vent’anni: trasformazione urbana e realizzazione di mega progetti, riforme economiche non ortodosse e a sostegno del welfare, riduzione degli spazi democratici e dei diritti delle minoranze, investimenti in difesa e maggiore protagonismo in politica estera.

Senza dimenticare la riforma della costituzione per eliminare il limite di due mandati attualmente in vigore. Per raggiungere quest’ultimo obiettivo Erdogan avrà però bisogno di una maggioranza più ampia di quella su cui può attualmente contare, per cui molto dipenderà dalla posizione che i partiti di destra attualmente schieratisi con Kilicdaroglu decideranno di assumere dopo il voto.

Il fronte interno

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Le alleanze attuali non fanno già ben sperare a livello di politica interna. Tra i sostenitori di Erdogan vi sono diversi partiti conservatori e misogini che hanno chiesto la cancellazione delle leggi a tutela delle donne e dei minori e che dovranno essere accontentati nella fase post-elettorale.

Ma le donne non saranno le uniche a finire nel mirino del prossimo governo. Negli ultimi anni Erdogan ha ristretto sempre di più le libertà di espressione, ha reso quasi impossibile manifestare il proprio dissenso in pubblico o sui social, ha imposto un controllo quasi totale sui media, sulla magistratura e sulle forze dell’ordine.

Il numero di cause legali e arresti ai danni di politici, giornalisti, avvocati o cittadini che hanno preso parte a delle manifestazioni o che si sono espressi contro il presidente sui social è cresciuto esponenzialmente ed è facile immaginare che Erdogan proseguirà lungo questa strada.

Nella stretta del presidente finirebbero anche i curdi, considerati già una minaccia per la sicurezza nazionale. Il primo a pagarne le conseguenze sarà Selahattin Demirtaş, ex leader del partito filo-curdo in carcere dal 2016 e che Erdogan ha promesso di lasciare in galera insieme a tutti gli altri prigionieri politici attualmente detenuti. 

Selahattin Demirtaş (Foto Ap)

Dall’altra parte il presidente continuerà ad avere un atteggiamento paternalistico nei confronti della popolazione attraverso specifiche misure a sostegno del welfare che già in passato gli hanno garantito ampio margine di successo nelle fasce più povere e tra quelle maggiormente colpite dalla crisi economica.

Una crisi che è stata però causata anche dalle politiche economiche imposte da Erdogan alla Banca centrale e che hanno portato a un aumento del costo della vita, alla svalutazione della lira e alla fuga degli investitori esteri.

Erdogan però non sembra intenzionato a cambiare posizione sul fronte economico, soprattutto dopo aver ricevuto dei finanziamenti da parte dei paesi del Golfo e aver ottenuto dalla Russia un posticipo nei pagamenti del gas importato dalla Federazione.

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La politica estera

In campagna elettorale il presidente uscente ha anche promesso nuovi investimenti nell’industria bellica e tecnologica, per aumentare i posti di lavoro e migliorare il posizionamento del paese in due settori strettamente collegati tra di loro e divenuti ancora più centrali con la guerra in Ucraina.

Grazie all’export bellico la Turchia potrà continuare ad espandere la propria influenza nei paesi in via di sviluppo e nelle aree in cui si concentrano i suoi interessi, ma otterrà anche un rafforzamento delle proprie capacità militari utile per imporre il proprio volere fuori confine.

Anche in politica estera, dunque, sarà sempre il nazionalismo a guidare le mosse di Erdogan. Mediterraneo, Siria e Asia centrale saranno le aree su cui si concentrerà l’attenzione del prossimo presidente nel breve-medio periodo, ma l’obiettivo ultimo è espandere il più possibile il proprio raggio di azione secondo una logica di stampo imperiale che affascina più della metà della popolazione turca. Autoritarismo interno ed espansionismo esterno saranno le due grandi direttrici del prossimo secolo turco sotto la guida di Erdogan.

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