Il giornalista svedese Joakim Medin, 40 anni, arrestato a Istanbul lo scorso 27 marzo rimarrà in carcere in Turchia. Nell’udienza che si è svolta mercoledì ad Ankara, prima e ultima nel processo per «insulti al presidente turco Erdoğan», l’inviato del quotidiano Dagens ETC è stato condannato a 11 mesi e 7 giorni di reclusione con sospensione della pena. Non è stato però rilasciato perché su di lui pende ancora l’accusa di appartenenza a gruppo terroristico. La data del processo, in questo caso, non è ancora stata fissata.

Medin era appena atterrato a Istanbul per seguire le proteste contro Erdoğan, esplose dopo l’arresto del sindaco Ekrem Imamoglu, quando è stato a sua volta fermato e trasferito nel carcere di massima sicurezza di Marmara. È il più grande complesso carcerario d’Europa, con 11mila detenuti. Qui vengono rinchiusi i prigionieri politici del paese.

In collegamento video dal carcere, a sei ore di macchina dalla capitale Ankara, il reporter ha esordito così: «Mi chiamo Joakim Medin. Vivo a Stoccolma con mia moglie, incinta di sette mesi. Mi reputo innocente». Camicia blu, ben pettinato, apparentemente calmo. Accanto a lui, l’avvocato del team di difesa Batıkan Erkoç, che gli ha fatto anche da interprete.

Le accuse

Le prove contro Medin, nell’atto di imputazione visionato da Domani, includono un articolo giornalistico e immagini condivise sui social media relative a una manifestazione del gennaio 2023, durante la quale un fantoccio raffigurante il presidente Erdoğan era stato appeso a testa in giù davanti al municipio di Stoccolma. 

Sempre nello stesso documento si legge che Medin ha negato di aver partecipato alla manifestazione davanti al municipio, affermando di aver riferito gli eventi come giornalista attraverso i suoi account social. Durante l’udienza, sono stati consegnati biglietti aerei che dimostrano che il giornalista non si trovava a Stoccolma.

«Si tratta di libertà di espressione e di libertà di stampa», ha detto durante il processo. Medin ha fatto anche sapere di non aver mai ricevuto l’atto di imputazione, tradotto e recapitato in prigione dai legali ma mai consegnato dal personale del carcere.

«Aspettava con ansia di potersi dichiarare innocente in tribunale e spiegare che è un giornalista», commenta Andreas Gustavsson, direttore della testata Dagens ETC. «Lavoro a stretto contatto con Joakim da più di 10 anni, l’ho visto crescere fino a diventare uno dei migliori inviati esteri in Svezia». Non è la prima volta che il giornalista svedese viene imprigionato per il suo lavoro giornalistico. Nel 2015 in Siria aveva trascorso una settimana nel carcere sotterraneo di Qamishliv.

Diritti violati

Il processo si è svolto a porte aperte. All’udienza hanno partecipato diversi politici svedesi, il personale dell’ambasciata in Turchia e rappresentanti delle organizzazioni dei media. Nessuno della redazione di Dagens ETC ha però potuto essere presente. «Avremmo rischiato l’arresto anche noi», spiega Gustavsson.

Intanto, in concomitanza con il processo, l’organizzazione non governativa turca MLSA, che lo difende, ha presentato ricorso sull’intera gestione del caso alla Corte costituzionale turca, sostenendo che i suoi diritti alla libertà di stampa e a un processo equo sono stati violati. I suoi avvocati chiedono la sua liberazione e un risarcimento di 5 milioni di lire turche, circa 115mila euro. 

Il giorno prima dell’udienza, il giornalista aveva fatto avere un bigliettino scritto a mano ai suoi difensori: «Not guilty. Journalism is not a crime», diffuso da Gustavsson sulla piattaforma social X.

Il processo per terrorismo

«Aspettiamo il secondo processo, quello per terrorismo. Gli atti d’imputazione contro Joakim riguardano solo l’attività giornalistica. Non è una questione giuridica, ma politica. La Turchia sta attraversando una trasformazione, la libertà di stampa è fortemente attaccata, ci sono centinaia di giornalisti turchi coinvolti in difficili procedimenti giudiziari», sottolinea Andreas Gustavsson.

Martedì il caso di Medin è stato anche sollevato nel parlamento turco da George Aslan del partito d’opposizione DEM: «Se da tempo è noto che i giornalisti locali lavorano sotto forti pressioni, ora vediamo che anche i giornalisti stranieri sono esposti a situazioni simili, e questo danneggia la reputazione della Turchia».

L’accusa sostiene che Medin sia membro del movimento curdo PKK, classificato come organizzazione terroristica, e che ne abbia diffuso la propaganda. Tra le prove citate ci sono articoli giornalistici, post e un libro sulla rivoluzione curda, «Kobane», scritto nel 2016.

Il giornalista svedese segue da anni la Turchia e la questione curda. Nell’ottobre 2023 ha pubblicato il libro «Kurdspåret» (La pista curda), che tratta del processo di adesione della Svezia alla Nato e delle concessioni fatte alla Turchia, che aveva inizialmente posto il veto all’ingresso svedese nell’alleanza atlantica, pretendendo un cambio di atteggiamento nei confronti dei gruppi curdi residenti in Svezia.

Medin aspetta un figlio insieme alla moglie e collega Sofie Axelsson, al settimo mese di gravidanza. «Io e Sofie abbiamo una scadenza», conclude Gustavsson, «Joakim deve tornare a casa prima che nasca la bambina, Esme, all’inizio di luglio. Ma il tempo stringe, l’orologio corre».

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