Forse il terremoto accelererà la ripresa di amicizia tra Ankara e Damasco o forse no ma certamente fungerà da game changer della prossima fase.

Nella regione di Idlib, a nordovest della Siria, nell’area protetta dalle truppe turche, i vari gruppi jihadisti sono in fermento: i leader turco e siriano potrebbero incontrarsi presto per suggellare la loro ritrovata amicizia.

Il tentativo di Ankara di normalizzare i suoi rapporti con Damasco rimane un percorso ad ostacoli. L’inversione a u diplomatica del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, fino ad ora un acerrimo nemico di Bashar al Assad, è attribuita a ragioni interne: l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, anticipate a maggio, esigono alcuni successi politici, sia nella politica migratoria che in quella delle relazioni con i vicini.

Inserirsi nella normalizzazione

Da tempo l’opposizione turca invoca un riavvicinamento con la Siria. Inoltre c’è da considerare il futuro dei 4 milioni di siriani in Turchia: visto che la politica di assimilazione è fallita, occorre un accordo per il loro rientro in patria, dove non sono benvoluti. Erdogan non vuole rimanere escluso dalla tendenza alla normalizzazione di tutta la regione (vedi gli accordi di Abramo): per questo ha perseguito la riconciliazione con gli Emirati, con l’Arabia Saudita e con Israele.

Ora sta cercando di fare lo stesso con Il Cairo prima di rivolgersi al governo siriano. Il presidente russo Vladimir Putin ha spinto in tale direzione, cercando di convincere i turchi a ricucire i rapporti con Damasco, sin dall'avvio del processo di Astana. È interesse russo che i due ex nemici trovino una composizione dei rispettivi interessi, consolidando così il ruolo di Mosca in medio oriente.

C’è da chiedersi quali siano le reali aspettative dei turchi da tale processo di normalizzazione, in un periodo di turbolenze economiche e crescente malcontento popolare nei confronti dei rifugiati siriani. Erdogan abbandonerà i jihadisti di Idlib alla loro sorte, rinunciando alla zona attualmente sotto il suo controllo? Sarebbe la sconfessione di tutta la politica neo-ottomana seguita fin qui, anche se il leader turco ci ha abituato a svolte radicali e repentine.

In quel caso che ne sarà della minaccia jihadista ai confini della Turchia? La domanda è lecita perché se il governo siriano non è in grado di controllare totalmente le aree riconquistate, come farà ad imporsi? A quel punto che ne sarà del Rojava curdo e della presenza americana a est del paese? Si tratta di numerosi quesiti legati alle possibile conseguenze dell’eventuale riconciliazione siro-turca.

Scelta irreversibile o tattica elettorale?

È arduo stabilire con certezza se Erdogan ha fatto una scelta irreversibile o interpreta tale processo solo come tattica elettorale. Per questo Damasco non si fida. Intanto tra i due paesi possono essere prese delle misure iniziali come la riapertura dei valichi di frontiera o la cooperazione bilaterale nelle operazioni di ritorno dei profughi.

Un’altra ipotesi sul tavolo è avviare colloqui in materia di sicurezza per mettersi d’accordo sul trattamento delle forze curde, come le unità di protezione del popolo curdo (Ypg) e le forze democratiche (Sdf).

Per tentare di dare risposte alla crisi finanziaria, Erdogan ha anche bisogno di conquistare una quota dei progetti di ricostruzione della Siria. Dal canto suo Assad ha fatto sapere ai russi che i colloqui trilaterali Russia-Turchia-Siria devono essere coordinati in anticipo tra Damasco e Mosca: una maniera per rallentare. A differenza di Erdogan, Assad non ha bisogno di affrettarsi: stare fermo sulle sue posizioni è probabilmente la politica migliore dal suo punto di vista.

Le condizioni dei siriani

I siriani intanto ribadiscono le loro precondizioni: è cioè che la Turchia ritiri le sue truppe dalla Siria e ponga fine al sostegno dei ribelli armati. L’unica limitazione di Assad è la politica russa, che non può permettersi di sabotare. La partnership russo-turca ha aiutato il governo siriano a riprendere il controllo delle zone rurali attorno alle principali città, come Damasco, Aleppo, Quneitra, Hama e Homs. Inoltre la ricostruzione e la ripresa economica della Siria sarebbe molto più facile con un potente vicino come la Turchia a bordo.

Secondo il Monitor: «Avendo servito come ancora di salvezza per la Russia nella guerra in Ucraina, la Turchia potrebbe svolgere un ruolo simile per la Siria». Ciò ovviamente richiederebbe a Erdogan un forte impegno per ammorbidire Washington, utilizzando in particolare la carta anti-iraniana: la Turchia potrebbe aiutare a respingere l'Iran dalla Siria, influenzando la posizione di Damasco a tale riguardo.

Un potenziale accordo di sicurezza tra Ankara e Damasco, lascerebbe ai curdi siriani (sostenuti dagli Stati Uniti) una sola scelta: sottomettersi a Damasco. Sul lungo periodo una riconciliazione turco-siriana potrebbe portare al ritiro degli Stati Uniti dalla Siria con un conseguente riallineamento tra Damasco e le tribù arabe del paese.

Infine c’è da considerare che Damasco ha bisogno di partner alternativi per controbilanciare la Russia e limitare l'influenza dell'Iran. Dal lato opposto resta l’insistenza della Turchia sulla creazione di una zona sicura di 30 chilometri di profondità lungo il confine, che potrebbe far deragliare tutto il processo.

Secondo il quotidiano siriano al Watan, la Turchia avrebbe già acconsentito al ritiro dei suoi militari dalla Siria, alla riapertura dell'autostrada M4 e alla creazione di diversi comitati congiunti.

Ciò spiega il crescente nervosismo dei jihadisti filo-turchi anche se per ora i gruppi di opposizione siriani si sono limitati ad un’iniziale manifestazione di protesta, mentre Hayat Tahrir al Sham, il gruppo più forte che controlla gran parte di Idlib, sta intensificando gli attacchi alle posizioni del governo siriano nel tentativo di attirare nuovi scontenti nei suoi ranghi e di bloccare il riavvicinamento.  

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