Sembra di essere in un mondo al contrario sul Bosforo: con l’inflazione in ripresa in tutto il mondo la Banca centrale turca, in solitaria e in controtendenza, ha deciso di abbassare il tasso di interesse al 15 per cento dal 16 per cento mandando la lira turca a un nuovo record negativo.

La valuta locale ha toccato il livello di 1 dollaro per 11 lire, un disastro per i risparmiatori e i salariati. La crisi economica ha avuto subito un effetto politico: commentando la decisione della Banca centrale di abbassare il tasso di interesse, il leader del maggior partito di opposizione, il Chp, Kemal Kilicdaroglu, ha chiesto di andare ad elezioni anticipate per salvare il potere di acquisto dei turchi più disagiati.

Ma, per ora, Erdogan non sente ragioni. Il giorno precedente, tenendo un discorso durante la riunione del gruppo parlamentare del suo partito, Giustizia e sviluppo (Akp) e del partito del Movimento nazionalista (Mhp) di Devlet Bahçeli, l’erede in doppio petto dei Lupi Grigi di Ali Agca, il presidente turco aveva dichiarato la sua intenzione di «proseguire la lotta contro l’inflazione e il tasso d’interesse», sostenendo una tesi economica poco ortodossa, cioè che «il tasso d'interesse è la causa e l'inflazione l’effetto».

L’inflazione

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L’inflazione in Turchia, al momento, si aggira sui 20 punti percentuali, ma la situazione, dopo l’ennesimo taglio al tasso d’interesse voluto dal capo dello Stato potrebbe sfuggire di mano provocando una pesante svalutazione della moneta.

La Tusiad, l’associazione laica degli industriali turchi, schiacciata dall’impennata dei costi di produzione, ha richiamato il governo a non interferire con la politica monetaria, ma l’appello è rimasto inascoltato. La Banca centrale turca ha tagliato il tasso ufficiale di sconto al 15 per cento e ha addirittura fatto intravedere un ulteriore allentamento monetario in futuro nonostante l’inflazione si avvicini al 20 per cento.

La banca, che ancora una volta si è piegata alle richieste di stimolo monetario del presidente Erdogan, ha proseguito con una politica monetaria di allentamento iniziata a settembre. «Mossa letteralmente folle che mette la lira in serio pericolo», ha detto su Twitter l’analista Tim Ash di BlueBay Asset Management da Londra, profondo conoscitore del paese della Mezzaluna sul Bosforo. Ma perché la mossa della Turchia ha spaventato i mercati?

Gli analisti hanno definito l’allentamento monetario sconsiderato e prematuro dato che lascia i rendimenti reali della Turchia negativi e va contro il sentimento generale di un mondo in cui le banche centrali alzano i tassi o al massimo li tengono inalterati riducendo però l’acquisto di bond sul mercato per evitare l’aumento dei prezzi globali.

Ma in Turchia Erdogan non sente ragioni e tira dritto per la sua strada. La credibilità della banca centrale turca è ai minimi negli ultimi anni a causa dei frequenti interventi a gamba tesa di Erdogan sui tassi di interesse e dei repentini cambi al vertice della banca in caso di divergenze con i desiderata del potere esecutivo.

Gli alleati

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Erdogan però si è infilato in una situazione che non padroneggia a fondo e che potrebbe costargli la carriera politica e portare il paese verso una crisi simile a quella avvenuta nel 2018. E le banche americane questa volta potrebbero rimanere alla finestra di fronte alle aste dei bond turchi, visto che Washington è stanca dei continui balletti diplomatici di Ankara con la Russia di Vladimir Putin. E il Qatar potrebbe essere stufo di soccorrere finanziariamente il costoso alleato sul Bosforo. Il deprezzamento della lira, pari al 32 per cento, finora quest’anno ha fatto aumentare i prezzi dei beni importati, alimentando l'inflazione che è balzata al 19,89 per cento il mese scorso, il più alto in quasi tre anni.

Oggi l’inflazione è quattro volte l'obiettivo ufficiale del 5 per cento della banca centrale, un fatto che fatto lievitare il costo della vita per i turchi insieme al deprezzamento della valuta.

Il mese scorso la banca centrale ha sottolineato la necessità di far fronte ai crescenti disavanzi delle partite correnti, cioè al fatto che la Turchia importa più di quanto esporta e ha dunque necessità di attrarre capitali internazionali per riequilibrare il deficit. Ma la politica monetaria non ortodossa di Erdogan non è certo il biglietto da visita più adeguato.

Infatti la maggior parte del calo della lira quest'anno è arrivata a settembre, quando è stata adottata una politica monetaria più accomodante. Così quest’anno la lira turca detiene il poco invidiabile record di peggiore performance valutaria nei mercati emergenti. Un elemento poco appetibile per chi voglia acquistare bond turchi e non scottarsi le dita con il rischio cambio.

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