«Da giovane ho servito l’Armata Rossa e adesso che sono vecchio hanno bombardato il mio quartiere a Kiev. Ho fatto in tempo a prendere questo borsone». Vasile, che di battaglie ne ha vinte tante, ha lo sguardo fiero e, nonostante questa non abbia nemmeno provata a combatterla, si lascia alle spalle la sua Ucraina a testa alta.

In una mano stringe quello che gli resta del suo passato, un borsone con qualche vestito e ricordo, mentre con l’altra sostiene la moglie Svetlana, che ringrazia con un sorriso le volontarie della comunità di sant’Egidio che le danno il benvenuto in Polonia e le offrono un bicchiere di tè caldo e informazioni su come proseguire il viaggio.

La frontiera polacca

Foto AP/Visar Kryeziu

Vasile ha un nipote che lo aspetta a Wrocław, affretta il passo e, con teatralità slava, si congeda: «Arrivederci, italiano!». Siamo sulla frontiera polacco-ucraina a Medyka, un nome oramai conosciuto, da quando è divenuto meta di giornalisti e fotografi dal mondo intero, ma anche del popolo delle ong dalle pettorine multicolori.

Tantissimi i polacchi, ma numerosi sono anche i giovani di tutta Europa, che sono accorsi qui, con una mobilitazione spontanea e creativa, per accogliere le vittime della più grande guerra sul suolo europeo dopo il 1945.

C’è chi cucina, chi porta vestiti, scarpe e giocattoli, chi espone su un cartone la sua offerta: schede telefoniche gratis, un passaggio per Cracovia, un posto letto a Lublino. C’è chi semplicemente è venuto qui e si è messo a disposizione perché, come mi spiega Mirosław, «c’è la guerra e per resistere da esseri umani, bisogna venire a Medyka e darsi da fare». 

Ostaggi del terrore

Foto AP/Diego Herrera Carcedo

Da qualche giorno il flusso di profughi ha iniziato a rallentare, concedendo un po’ di respiro alle autorità polacche, che domenica hanno annunciato di aver superato il milione di ingressi in Polonia. Ma non è una buona notizia per chi fugge dalla guerra.

Tantissimi quelli che avrebbero voluto lasciare le loro città, assediate, affamate e bombardate, ma che non l’hanno fatto, ostaggio di una strategia del terrore che ha continuato a seminare morte, colpendo senza pietà i convogli di civili e costringendo molti a rinunciare alle evacuazioni e a restare chiusi nei rifugi.

La foto del New York Times che immortala la morte di una mamma e dei suoi due figli, con indosso ancora gli zainetti, può essere già annoverata tra gli orrori delle guerre di tutti i tempi. Diverse ma in fondo sempre uguali, perché ogni guerra, come dice papa Francesco, «è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male».

Sono scampati ai feroci bombardamenti di Karkiv Rafael, la compagna Ivanna e la figlia Emra. «Ho conosciuto la guerra da bambino, perché sono palestinese, di Betlemme», mi dice Rafael, che in Ucraina è arrivato alcuni anni fa per completare gli studi di ingegneria e non se n’è più andato. Fino a quella notte in cui ha sentito «prima le sirene e dopo le bombe», che hanno fatto tremare il pavimento e infranto i vetri delle finestre.

Ad attraversare il confine sono quasi esclusivamente donne, bambini e anziani: Rafael è tra i pochissimi uomini, ma non lo si può certo considerare un privilegiato.

Che fine faranno?

Foto AP/Emilio Morenatti

Sul suo futuro e della sua famiglia infatti pende il decreto legge con cui il governo polacco, nei prossimi giorni, ratificherà la storica direttiva dei ministri dell’Interno dei paesi Ue, che ha accordato la protezione temporanea ai profughi della guerra in Ucraina.

Sarebbe auspicabile che questa venisse recepita anche da Varsavia in senso inclusivo, evitando di discriminare i rifugiati di nazionalità non ucraina. In caso contrario le migliaia di studenti stranieri che hanno lasciato l’Ucraina per rifugiarsi in Polonia dovrebbero scegliere se accettare il rimpatrio nei paesi d’origine o presentare la domanda tradizionale di asilo politico.

Una differenza sostanziale, dal momento che, mentre a chi sarà in possesso della protezione temporanea saranno accordati immediatamente numerosi benefici, in Polonia, durante il processo, i richiedenti asilo non hanno diritto, tra l’altro, all’assistenza sanitaria pubblica, ma sono invitati a stipulare un’assicurazione privata con la mediazione dell’ufficio immigrazione del ministero dell’Interno.

Un sistema che già presenta numerose difficoltà e che rischia di collassare, qualora i tanti Rafael scegliessero di chiedere asilo in Polonia.

Nel frattempo la comunità di sant’Egidio accoglie tutti senza distinzione, in Polonia, Slovacchia e Ungheria. A Varsavia, grazie alla campagna di Domani e alla generosità dei cittadini, in pochi giorni decine di appartamenti hanno accolto famiglie ucraine, come quella di Olya e dei suoi due gemelli, ma anche profughi di altri paesi, come i nigeriani Elvis e Prince, che dall’Ucraina sono fuggiti solo con uno zainetto, ma che adesso si sono uniti ai volontari nell’accoglienza alla stazione. Anche loro convinti che alla guerra si può resistere da essere umani, solo aiutando gli altri.

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