Nella giornata del 13 settembre, in tre stati americani si sono svolte le ultime elezioni primarie di democratici e repubblicani. In uno di questi, il New Hampshire, i repubblicani rischiano di votare due candidati che negano la legittimità del risultato delle elezioni presidenziali del 2020, dove Joe Biden ha prevalso su Donald Trump con sette milioni di voti di margine. «Un’elezione non particolarmente combattuta», aveva sbottato il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell durante quei minuti di dibattito congressuale che hanno preceduto l’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. In quella successione di eventi c’è in nuce la divisione tra i repubblicani attuali, in sintesi estrema: da un lato chi vuole andare oltre l’epoca trumpiana e fare facilmente bottino elettorale criticando gli insuccessi della presidenza di Joe Biden, andando oltre il passato, pur con qualche dubbio sull’integrità del voto, dall’altra chi invece non ha mai superato la cosa e considera l’inaugurazione di Biden un vulnus per la storia americana che va lavata con un’accurata vendetta politica. Da concludersi con una restaurazione al potere di Donald Trump, con contorno di processi politici nei confronti dei membri del “Deep State” che hanno attuato la cospirazione.

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La vittoria dell’ex ghostwriter di Trump

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Nelle primarie per il primo distretto della Camera dei Rappresentanti per il New Hampshire lo scontro era così delineato: si sono scontrati due ex membri dello staff presidenziale di Donald Trump. Da un lato, Karoline Leavitt, ex ghostwriter ed ex membro dell’ufficio stampa della Casa Bianca contro Matt Mowers, membro del team di transizione nel 2016 e poi parte del team del Dipartimento di Stato sotto Rex Tillerson e Mike Pompeo. Difficile determinare da questi dati chi è il trumpiano e chi invece l’istituzionale. Segreto presto svelato: Leavitt afferma con un certo orgoglio di essere l’unica candidata a negare la veridicità della vittoria di Joe Biden. Dall’altro lato Mowers, pur affermando che il processo elettorale ha bisogno di essere “periodicamente controllato”, non nega la sostanziale legittimità delle presidenziali 2020. Di misura ha prevalso Leavitt, vista come più vicina alla versione odierna del trumpismo.

Al Senato è in vantaggio l’ex generale di brigata Donald Bolduc, reduce della guerra in Afghanistan e perfetto rappresentante di tutte le paranoie dell’estrema destra repubblicana, ivi compresa la bufala dei vaccini contenenti microchip.

La vittoria di Leavitt e Bolduc potrebbe essere un perfetto autogol per il partito repubblicano, dato che la sconfitta della senatrice dem in carica Maggie Hassan è una priorità assoluta per una strategia che punti a riottenere la maggioranza nella Camera alta. E il New Hampshire è uno stato dove i dem hanno un vantaggio lievissimo in termini di votanti e di iscritti; quindi, servirebbero candidati come il governatore in carica, il governatore Chris Sununu, in corsa per una facile rielezione. Ai militanti però queste strategie non interessano.

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Tutti i negazionisti in corsa

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Anche a livello nazionale però, i negazionisti del risultato elettorale saranno sulle schede elettorali di molti americani. Un’indagine nazionale curata dal sito FiveThirtyEight, fondato dall’ex sondaggista del New York Times Nate Silver, ha scoperto che su 541 candidati repubblicani in corsa a novembre, ben 199 hanno totalmente negato la legittimità del voto del novembre 2020. Alcuni totalmente insospettabili e senza motivo, come l’anziana governatrice dell’Alabama Kay Ivey, che non ha rivali di rilievo nelle elezioni di novembre e si avvia a una quieta riconferma. Più problematico invece è chi corre per cariche come il governatore o il segretario di Stato negli stati che possono decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

Prendiamo l’Arizona: la presidente del partito Kelli Ward, un’estremista che non si fa mancare nemmeno il cospirazionismo sulle scie chimiche (da cui il nomignolo “Chemtrail Kelli”), aveva detto a gennaio 2021 che i repubblicani in Arizona, per fortuna, non erano più il partito di John McCain, senatore reduce dal Vietnam, per decenni icona del conservatorismo americano e dell’eroismo militare. E a guardare i maggiori candidati sembra proprio così. A partire dalla candidata governatrice Kari Lake, passando per il candidato segretario di Stato Mark Finchem, l’aspirante senatore Blake Master e ben cinque deputati su nove in posizione rieleggibile, tra cui Paul Gosar, noto alle cronache politiche per aver postato sui suoi social un finto anime dove uccide Alexandria Ocasio Cortez e per essere apparso a un meeting di nazionalisti bianchi lo scorso febbraio. Forse il mood elettorale è sfavorevole a questo tipo di Gop in uno stato dove l’uscente Doug Ducey si è scontrato più volte con Donald Trump proprio sul tema delle elezioni rubate.

Il Wisconsis conteso

C’è da dire che l’indagine di Five Thirty Eight riscontra anche una cospicua pattuglia di repubblicani che credono alla legittimità del voto: settantaquattro senza alcun dubbio mentre altri ottantotto, pur non essendo del tutto sicuri, preferiscono comunque andare oltre, per un totale di 162 esponenti politici. Molti di questi sono candidati in Wisconsin, eccettuato il negazionista senatore uscente Ron Johnson, che rischia di non essere rieletto. Anche il Wisconsin deciderà le prossime presidenziali e spesso è stato oggetto di contesa: i dem nel 2016, dopo la vittoria di Donald Trump, avevano espresso dei dubbi sul margine risicato di circa 10mila voti che aveva consegnato la vittoria al tycoon di Manhattan. Forse i negazionisti, pur numerosi, non saranno abbastanza per cambiare le carte in tavola nel 2024, ma sicuramente spingeranno un po’ più in là l’inquinamento del dibattito democratico per una polarizzazione che appare sempre più folle.

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