All’approssimarsi dell’anniversario, si spera primo e ultimo, dell’inizio della guerra in Ucraina cominciata il 24 febbraio 2022, diversi tasselli del complesso scenario diplomatico cominciano a muoversi in direzioni purtroppo opposte. 

Joe Biden si recherà in Polonia, tra i paesi Nato più radicali nell’approccio al dossier ucraino, e martedì terrà un discorso a Varsavia in cui ci si aspetta che indirizzerà un messaggio al presidente russo Vladimir Putin.

Parallelismi

I due omologhi potrebbero, in un confronto a distanza, parlare in contemporanea. Dal leader americano ci si aspetta una retorica intesa a compattare un già coeso “fronte occidentale” spronando gli alleati alla «difesa della democrazia e della libertà», nel solco dell’ormai celebre dicotomia tra “democrazie” e “autocrazie”.

Putin, invece, potrebbe chiedere un nuovo sforzo bellico, magari con una nuova mobilitazione, alla nazione russa, giustificando la necessità della «operazione militare speciale» con gli spericolati argomenti “storici” e nazionalistici a cui si è sempre appellato. 

Nulle le speranze di una miracolosa distensione tra le parti, specialmente in vista di una nuova offensiva russa e di una primavera che vedrà il tentativo ucraino di riconquistare il terreno perduto e ristabilire la sovranità nazionale metro dopo metro. 

Cosa fa l’Onu

Il timore è che la nuova offensiva, già iniziata negli scorsi giorni, possa raggiungere il massimo grado di intensità proprio il 24 febbraio. In relazione agli sforzi multilaterali per la pace  in sede Onu, una mossa di questo tipo corrisponderebbe a quanto accaduto un anno fa. 

Come le truppe russe varcarono i confini ucraini tra il discorso del segretario generale dell’Onu, António Guterres, e i colloqui diplomatici da lui guidati, infatti, così la nuova offensiva potrebbe arrivare in corrispondenza della votazione in sede di Consiglio di sicurezza (Cds) della nuova risoluzione per la pace in Ucraina. 

Infatti, sulla risoluzione, una versione smussata del piano di pace elaborato da Volodymyr Zelensky, si voterà il 22 febbraio in sede di Assemblea generale e due giorni dopo nel consesso più limitato del Cds. Lo scopo della risoluzione, su cui senza dubbio la Russia porrà il veto in consiglio, è costringere i paesi del mondo a prendere una posizione chiara sul conflitto. 

In altre parole: chi sono i “buoni”? Chi i “cattivi”? L’occidente voterà compatto in favore del documento, e con esso gran parte dei paesi finora schierati contro l’aggressione russa e, dall’altra parte, non ci si aspetta un cambio di rotta da parte dei paesi apertamente filorussi, già lo scorso anno opposti alla condanna internazionale dell’invasione, quali Bielorussia, Corea del Nord e Siria. 

Più interessante sarà valutare le decisioni degli astenuti cronici, soprattutto dei Brics, tra cui l’ambigua Cina, e gli ondivaghi Brasile e Sud Africa. Stati Uniti e associati difficilmente considereranno un’astensione come un’apertura, anzi sembra che su questa risoluzione lo spazio per l’ambiguità sia pressoché nullo: o “buoni” o “cattivi”. 

Gli ostacoli al dialogo

È forse proprio questo manicheismo, in parte moralmente giustificabile, che però rende inefficace l’azione dell’Onu, soprattutto alla luce dell’influenza russa sui paesi, per esempio, dell’Africa sub-sahariana, il cui margine di manovra è limitato.

Soprattutto nel sempre meno filoeuropeo Sahel, diversi governi hanno legami, voluti o obbligati, col Cremlino con cui, sotto varie forme, cooperano in termini energetici, diplomatici e di sicurezza, relazionandosi, ad esempio, con l’onnipresente forza mercenaria di Mosca. 

Proprio il rappresentante russo a New York ha detto che dubita «della capacità dell’Onu di mediare tra Russia e Ucraina», una realtà che, però, sono proprio i russi a rinforzare. 

Infatti, i diplomatici di Putin hanno ormai assunto una costante postura ostruzionistica, impedendo i normali lavori dei vari organi anche su questioni poco sostanziali e non direttamente legate alla guerra. Non trapela, dunque, fiducia: l’offensiva concomitante con la votazione in Cds sarebbe solo l’ultima delle spallate russe a multilateralismo e diritto internazionale. 

Eppure, la Russia ha appena presentato in Cds una risoluzione per avviare un’indagine internazionale sulle esplosioni che hanno colpito il gasdotto Nord Stream 2 a setttembre 2022. L’ormai confermata pista del sabotaggio non ha ancora portato a identificare gli autori, ma è chiaro che Mosca punti il dito contro Stati Uniti e Regno Unito. 

© Riproduzione riservata