Mentre Israele si appresta a entrare nella cosiddetta terza fase della guerra a Gaza, emergono chiare divergenze all’interno della leadership israeliana sul futuro del conflitto e dell’assetto della Striscia.

La fragile compattezza del gabinetto di guerra, composto dal premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e il leader del maggior partito di opposizione, nonché ex-capo dell’esercito, Benny Gantz, sta vacillando sempre più.

Questo pone interrogativi su questioni cruciali: come proseguire l’offensiva bellica, con gli obiettivi ultimi di eliminare Hamas e di liberare gli ostaggi, e chi dovrà governare l’enclave quando la guerra sarà finita.

Pressioni esterne

In questa situazione si profila il grave rischio di minare alle basi la strategia militare a Gaza, non avendone chiari gli obiettivi, a fronte di crescenti pressioni del governo americano, delle famiglie dei circa 130 ostaggi ancora a Gaza e della società israeliana, di cui una buona parte ha sempre mal tollerato l’ultimo governo Netanyahu, il più di destra e religioso della storia del paese ebraico.

Ad aggravare la situazione si rincorrono le voci di una scarsa comunicazione, per metterla in termini eufemistici, tra il premier israeliano e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, la cui amministrazione ha chiesto ripetutamente a Israele di limitare le vittime civili a Gaza. Si aggiunga che, malgrado l’opinione pubblica israeliana sia compatta nel volere l’eliminazione di Hamas da Gaza e la liberazione degli ostaggi, non lo è per nulla nel volere che sia l’attuale governo a farlo, come dimostrano la maggioranza dei sondaggi effettuati da quando la guerra è iniziata il 7 ottobre.

Il futuro della Striscia

«Netanyahu è un abilissimo procrastinatore, non vuole prendere decisioni. È lampante. Lui pensa in termini di utilità politica per sé stesso e questo ha delle conseguenze molto negative per la condotta della guerra» spiega Arie Kacowicz, professore di relazioni internazionali all’Università Ebraica di Gerusalemme.

Lunedì, Gallant è stato molto chiaro nel mostrare la sua preoccupazione per la mancanza di chiarezza sul dopoguerra, dicendo che «l’indecisione politica» riguardo al futuro di Gaza «può danneggiare il progresso delle operazioni militari».

Il ministro della Difesa ha sostenuto in più occasioni che è a favore dell’ipotesi di un autogoverno palestinese della Striscia, appoggiato da una task force internazionale guidata dagli Stati Uniti. «Il futuro governo di Gaza deve nascere dalla Striscia. Gaza sarà governata dai palestinesi. La fine della campagna militare deve essere ancorata a una policy» ha continuato Gallant.

Il ruolo dell’Anp

Gli Stati Uniti vorrebbero che un’Autorità Palestinese rinnovata – l’attuale che gestisce parte dei territori occupati della Cisgiordania è screditata sia in Israele che internazionalmente – si facesse carico di Gaza con l’aiuto di paesi arabi moderati.

Ma il coinvolgimento dell’Autorità non gode di grande appoggio in Israele. Nemmeno da parte di Gantz che comunque non la esclude a priori.

Il premier, dal canto suo, continua a non esprimersi sul dopo a Gaza. Di sicuro, sotto pressione dei partiti di estrema destra che appoggiano la sua coalizione di governo, è contrario alla gestione di Gaza da parte dell’Autorità. Tuttavia, non ha fatto sapere sinora quale sia la sua visione per la futura governance della Striscia, mettendo in difficoltà un po’ tutti.

«Sto iniziando a rendermi conto che le stesse domande che faccio a alte cariche israeliane su come le cose andranno sono le domande che alcuni membri del gabinetto di guerra stanno facendo a Netanyahu» Mairav Zonszein, analista israeliana presso l’International Crisis Group, ha scritto su X martedì.

Molti analisti continuano a far notare come i due obiettivi di eliminare Hamas dalla Striscia e liberare gli ostaggi siano in contraddizione tra loro.

Gantz e il suo vice Gadi Eisenkot spingono per intavolare una trattativa con i miliziani per portare a casa gli ostaggi rimasti prigionieri. Al contrario sia Netanyahu sia Gallant sostengono che la continua pressione militare alla fine convincerà Hamas a liberarli.

«Se il fuoco si ferma, il destino degli ostaggi sarà per molti anni la prigionia sotto Hamas. Senza pressione militare, nessuno parlerà con noi. Solo da una posizione di forza gli ostaggi potranno essere liberati» ha detto Gallant lunedì, rimarcando anche che, con l’attuale offensiva al sud di Gaza, Israele punta alla «testa del serpente», cioè a uccidere la leadership di Hamas. «Non capisco quale possa essere l’incentivo di Sinwar (leader di Hamas a Gaza ndr) a negoziare sulla liberazione degli ostaggi se poi la controparte lo ucciderebbe» dice Kacowicz.

La liberazione degli ostaggi

Le famiglie degli ostaggi continuano a manifestare in varie piazze del paese affinché si faccia il possibile per far tornare i propri cari, mostrando chiaramente al governo il proprio sdegno e preoccupazione per i pochi risultati ottenuti sinora con la strategia adottata, basata principalmente sulla pressione militare.

Le manifestazioni, poi, potrebbero diventare più massicce se la componente più moderata del gabinetto di guerra ne uscisse e fosse rimpiazzata da figure più estreme che ora appoggiano il governo più ampio a guida Netanyahu.

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