Tra il dire e il farsi Fratelli tutti c’è tutto il mar Mediterraneo, e nella seconda giornata del suo viaggio apostolico tra Cipro e la Grecia, papa Francesco lo ha avvertito chiaramente nelle parole dell’arcivescovo di Cipro, Chrysostomos II. La guida della chiesa ortodossa autocefala dell’isola, incontrando il pontefice nel palazzo dell’arcivescovado, ha dichiarato laconica quanto profonda è la crepa che divide in due l’isola dal 1974, anno dell’occupazione turca.

Le sue parole non toccano, però, il nodo cipriota della futura strategia geopolitica annunciata di recente dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ma i tragici lasciti della storia: «La Turchia ci ha ferocemente attaccati e ha sequestrato il 38 per cento della nostra patria con la forza delle armi» ha esordito con parole nette, che non lasciano spazio a interpretazioni.

Accuse alla Turchia

Dando voce ai capi della chiesa ortodossa, Chrysostomos II ha accusato la Turchia di aver «sviluppato un piano di pulizia etnica anche nella nostra Cipro. I 200mila abitanti cristiani che sono stati espulsi dalle loro case paterne con incredibile barbarie, sono stati sostituiti da più del doppio dei coloni che sono arrivati dalle profondità dell’Anatolia, distruggendo così la nostra cultura classica formata da tempi immemorabili». È la dura invettiva dei cristiani pungolati dal neo-ottomanismo di Erdogan.

L’ombra turca si traduce in un attacco alle radici cristiane, che Chrysostomos II interpreta come un guanto di sfida all’eredità della cultura europea. Da ciò l’appello diretto a papa Francesco perché garantisca «la protezione e il rispetto del nostro patrimonio culturale e la supremazia dei valori incalcolabili della nostra cultura cristiana, che oggi vengono brutalmente violati dalla Turchia».

Mai il dialogo tra due confessioni è stato così fragile, malgrado gli sforzi che gli ortodossi hanno fatto in passato. In questi casi, l’altra faccia della misericordia può essere solo la mediazione: il quinto capo religioso del mondo ortodosso ha ricordato al papa gli sforzi compiuti dal predecessore Benedetto XVI che, grazie all’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, ha ottenuto la restituzione di 500 frammenti di reperti ciprioti, trafugati dagli archeologi turchi e poi ritrovati in Germania: un gesto piuttosto simbolico, ma comunque lo sforzo verso un risarcimento culturale dopo decenni di soprusi.

Parole di circostanza

Le parole pronunciate dal papa davanti ai leader religiosi riuniti nella cattedrale ortodossa a Nicosia non hanno, però, stemperato quelle di Chrysostomos II. Richiamandosi all’apostolo Barnaba, Bergoglio sembra aver invitato ad abbracciare una dimensione sofferente dell’annuncio evangelico: «La missione, così come la comunione, passa sempre attraverso sacrifici e prove».

A Cipro, Francesco vede un volto di «chiesa della pazienza», capace di «entrare nella vita delle persone fino ad allora sconosciute, di accogliere la novità senza giudicarla frettolosamente». Il discorso del pontefice si fa più stretto quando tocca il tema delle divisioni, interne ed esterne: «Secoli di divisione e distanze ci hanno fatto assimilare, anche involontariamente, non pochi pregiudizi ostili nei riguardi degli altri, preconcetti basati spesso su informazioni scarse e distorte, divulgate da una letteratura aggressiva e polemica. Ma tutto ciò distorce la vita di Dio, che è protesa alla concordia e all’unità [...]. Quante volte nella storia tra cristiani ci siamo preoccupati di opporci agli altri anziché accogliere docilmente la vita di Dio, che tende a ricomporre le divisioni nella carità! Quante volte abbiamo diffuso pregiudizi sugli altri» ha incalzato il papa, stilando un lungo elenco della divisione che, davanti a iati più grandi, suona come di circostanza. Sulla questione turca, nessuna risposta.

Nel 2016 era bastato che il papa menzionasse il «genocidio armeno» perché i diplomatici turchi convocassero il rappresentante della Santa sede ad Ankara e imputassero a Bergoglio uno «spirito da crociata». Sapendo di muoversi su un terreno scivoloso, il papa ha deciso di non andare oltre il protocollo ed evitare recrudescenze.

Una chiesa che sogna

Nell’incontro più atteso della giornata, la preghiera ecumenica con i migranti nella chiesa di santa Croce a Nicosia, Francesco ha ricordato l’importanza di rimpiazzare una chiesa assonnata con una «chiesa che sogna» attraverso le voci dei migranti: «Anche Dio sogna come te un mondo di pace – ha detto il papa rivolgendosi a una rifugiata originaria della Repubblica democratica del Congo –, in cui i suoi figli vivono come fratelli e sorelle».

Poche ore prima, Francesco aveva ricevuto Anna Aristotelus, direttrice carceraria a Cipro, per formalizzare il trasferimento in Vaticano di dieci immigrati irregolari: un esempio di traduzione della preghiera in azione, secondo il precetto caro a Ignazio di Loyola: «Dio chiama anche noi a non rassegnarci a un mondo diviso, a comunità cristiane divise, ma a camminare nella storia attratti dal sogno di Dio: un’umanità senza muri di separazione, liberata dall’inimicizia, senza più stranieri ma solo concittadini». Quando il papa, nella mattina, ha parlato ai giovani riuniti nel GSP Stadium, ha ricordato loro, attraverso il brano evangelico dei due ciechi, che non c’è riconciliazione senza la condivisione del male comune, perché solo spartendo le miserie, si esce dall’individualismo e si lotta insieme: «Usano il noi, non dicono io. Non pensano ciascuno alla propria cecità , ma chiedono aiuto insieme». Un’ennesima lezione all’Europa, oggi orfana del nunzio apostolico Aldo Giordano, morto per complicanze dovute al Covid. E dall’Europa al Sud del mondo. 

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