Il parlamento dell’Unione europea voterà domani una risoluzione con la quale accuserà di “genocidio” la Repubblica popolare cinese per le sue politiche nei confronti delle popolazioni islamiche della regione del Xinjiang, in primo luogo quella di etnia uigura. È la prima volta che l’Unione imputa a Pechino un “genocidio”, un’iniziativa destinata a peggiorare ulteriormente le relazioni tra la Cina e il suo ex primo partner commerciale, superato durante la pandemia dai dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean).

I quattro gruppi più numerosi (popolari, socialisti e democratici, liberali, conservatori e riformisti) hanno limato fino alla tarda serata di ieri il testo che verrà discusso oggi e messo al voto domani. Per essere approvata la risoluzione – non vincolante – ha bisogno della maggioranza semplice, dunque l’eventuale contrarietà della sinistra, dei Verdi e dell’estrema destra sarebbe ininfluente. Negli stralci della bozza diffusi dai media hongkonghesi si legge che «le prove credibili sulle misure di prevenzione delle nascite e la separazione dei bambini uiguri dalle loro famiglie equivalgono a crimini contro l’umanità e genocidio». Il documento aggiunge che «lo Uygur Tribunal e altri organi investigativi e organizzazioni di ricerca credibili e indipendenti» hanno concluso che le politiche di Pechino nella grande regione del nord ovest «equivalgono a crimini contro l’umanità e genocidio».

Quella di Strasburgo arriva dopo una serie di risoluzioni sul “genocidio” degli uiguri già approvate nell’Europa a 27 dai parlamenti di Francia, Olanda, Belgio, Repubblica Ceca e Lituania, oltre a quelli di Stati Uniti, Regno Unito e Canada.

I precedenti

Nella primavera dell’anno scorso, le sanzioni dell’Ue contro funzionari cinesi ritenuti responsabili della repressione di quelli che Pechino ha bollato come i “tre mali” (separatismo, estremismo, terrorismo) avevano fatto scattare controsanzioni nei confronti di parlamentari Ue, causando infine la sospensione del trattato bilaterale sugli investimenti “Comprehensive Agreement on Investment” (Cai) negoziato per sette anni da Bruxelles e Pechino.

Sabato scorso si è conclusa la missione in Cina dell’Alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni unite. Nei sei giorni trascorsi nel paese Michelle Bachelet è stata anche nel Xinjiang, nel capoluogo Urumqi, dove, il 5 luglio 2009, una rivolta uigura ha lasciato sul terreno 197 morti (la maggior parte civili han) e a Kashgar, la capitale culturale degli uiguri turcofoni. Bachelet ha potuto incontrare attivisti e residenti dell’area («tutte queste conversazioni e questi incontri sono stati organizzati da noi e non sono stati sorvegliati») e uno dei “centri di avviamento al lavoro”, ovvero le strutture di rieducazione politica dove – secondo informazioni ritenute credibili dalle stesse Nazioni unite – sono stati rinchiusi circa un milione di islamici.

Bachelet per il dialogo

Figlia di un ex generale dell’aviazione torturato e ucciso nel 1974 dal regime di Pinochet, l’ex presidente cilena ha subìto pressioni da entrambe le parti. Il dipartimento di stato Usa ha criticato l’iniziativa dell’Alto commissariato e si è detto “profondamente preoccupato”, perché il governo cinese non avrebbe garantito pieno e indipendente accesso alle fonti per avere un quadro completo della situazione dei diritti dell’uomo nella regione. Xi Jinping invece ha ricordato a Bachelet senza fronzoli la linea della sua amministrazione, secondo cui «sui diritti umani, non esiste un’utopia impeccabile; i paesi non devono essere trattati con superiorità; ancor meno le questioni relative ai diritti umani dovrebbero essere politicizzate e utilizzate come strumento per applicare doppi standard o come pretesto per interferire negli affari interni di altri paesi».

Bachelet però ha portato avanti il suo lavoro come un estremo tentativo di engagement, di cooperazione, in una fase in cui gli Stati Uniti intendono la loro relazione con la Cina come una lotta per la supremazia geopolitica. L’Alta commissaria ha infatti sottolineato che il suo viaggio non è stato programmato per compiere un’indagine, ma perché ritiene importante mantenere un dialogo diretto con i leader cinesi sui diritti umani. Bachelet è stata criticata dagli attivisti per i diritti dell’uomo perché il rapporto sul Xinjiang che il suo ufficio avrebbe dovuto pubblicare all’inizio dell’anno non ha ancora visto la luce. In Cina l’Alta commissaria ha invitato Pechino a rivedere le politiche anti terrorismo e anti radicalizzazione per uniformarle agli standard internazionali sui diritti umani; a fornire alle famiglie di uiguri all’estero informazioni sui loro cari scomparsi in Cina; e a permettere agli avvocati e ai difensori dei diritti dell’uomo di poter svolgere il loro lavoro.

Con l’Unione europea invece sui diritti umani va avanti quello che alla fine dell’ultimo dialogo strategico Ue-Cina, il primo aprile scorso, l’alto rappresentante della politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha definito un “dialogo tra sordi”.

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