Negli ultimi dieci anni la politica europea è stata per lo più interpretata come uno scontro tra europeisti ed euroscettici. Alle elezioni del 2014 e del 2019 c’erano da un lato gli europeisti, cioè i popolari, i socialisti e i liberali, e dall’altro gli euroscettici, i nuovi movimenti populisti e nazionalisti.

Nel 2024 c’è da chiedersi se queste lenti per interpretare la politica europea siano ancora valide. Gli ultimi cinque anni hanno infatti stravolto molte delle sicurezze politiche che avevamo.

La pandemia, il Regeneration Eu e il Repower Eu, la sospensione del Patto di stabilità, le nuove guerre, la frantumazione della globalizzazione, la crescita del protezionismo hanno messo a soqquadro lo schema politico europeo.

Meloni e Macron

Oggi è difficile vedere una dicotomia netta come quella del passato. Si prenda ad esempio la storia politica di due leader europei: Emmanuel Macron e Giorgia Meloni.

Il primo, quando è stato eletto la prima volta nel 2017, era un riformista di dichiarata fede europeista. In parte lo è rimasto, ma la sua retorica è piuttosto cambiata nel tempo: è diventato più duro sull’immigrazione con provvedimenti nazionali prima che europei, ha teorizzato una «autonomia strategica europea» nell’industria avanzata che si è risolta nel superamento dell’ordoliberalismo che ha segnato gli ultimi vent’anni e in un maggior deficit per gli stati membri, si è mosso con disinvoltura in politica estera, seguendo un’ottica nazionale, alimentando spesso fughe in avanti come quelle recenti sul possibile invio di soldati in Ucraina.

La seconda è diventata presidente del Consiglio nel 2022 da leader del gruppo dei Conservatori europei. La sua ascesa politica deve molto all’euroscetticismo e al ritorno del nazionalismo. Tuttavia, una volta al potere, Meloni da aspra critica di Bruxelles si è trasformata in tessitrice di rapporti trasversali, ha cercato una soluzione europea sull’immigrazione, ha spinto per iniziative comuni in Africa, ha rispettato i patti con la Commissione sul Pnrr e sulla finanza pubblica. Oggi è una delle più strette alleate della presidente Ursula von der Leyen e potrebbe giocare un ruolo importante dopo le elezioni.

Ciò non significa naturalmente che Macron e Meloni siano diventati uguali, ma che entrambi hanno adattato il proprio credo politico alle circostanze dimostrando come la politica sia ben più sfumata degli schemi accademici e mediatici.

Eurexit

Si pensi, allo stesso modo, a come l’uscita dall’euro sia sparita dagli obiettivi politici di partiti ancora esistenti come Lega, Movimento 5 stelle, Front national, Pvv e, in maniera meno esplicita, AfD.

Sono forze che, di fronte alle evoluzioni internazionali, hanno sterzato per opportunismo verso una offerta politica meno estremista. È in fondo lo stesso elettorato a frenare i nazionalpopulisti, i quali non riescono a governare da soli e ai quali si richiede stabilità, e a far cambiare rotta agli europeisti, si pensi alle proteste veementi verso il Green deal e alla spaccatura della maggioranza europea su questi provvedimenti con molti partiti popolari che si sono sfilati.

In sostanza l’ultima legislatura ci mostra che gli europeisti non sono un monolite quando si tratta di programmi e meccanismi di integrazione e che gli euroscettici non sono più soltanto dediti al sabotaggio delle istituzioni europee. Ciò si riflette anche nella forma che l’Unione europea ha assunto negli ultimi anni, che è quello di un ibrido tra progetto europeista e quello euroscettico.

Per molti aspetti, tutti e due i modelli sono falliti e, al tempo stesso, si sono affermati. Il progetto euroscettico è fallito perché gran parte di queste forze hanno rinunciato agli obiettivi politici più audaci come la messa in discussione della moneta unica. Questi partiti si sono in parte “istituzionalizzati”, cioè hanno annacquato il loro intento radicale. Di fatti in questa fase nessuno mette più seriamente in discussione l’esistenza dell’Unione europea, la superiorità del suo diritto o la sopravvivenza della moneta unica.

Tuttavia, al tempo stesso, gli euroscettici sono stati in grado di frenare, su alcuni punti, tanto il prosieguo dell’integrazione politica europea quanto gli eccessi più dirigisti di Bruxelles, come nel caso del Green deal.

Il progetto centrista

Il progetto centrista è fallito perché nessuno oggi vuole più seriamente sedersi a discutere di una costituzione europea. Non ci sono le condizioni per una rifondazione politica, in senso federale, dell’Unione europea. Gli europeisti hanno evitato delle catastrofi, dal loro punto di vista, come l’uscita di qualche paese dall’area euro, ma hanno dovuto accettare che superare davvero il metodo intergovernativo è allo stato attuale impossibile così come difficile è il rafforzamento della politica economica comune che non passi per una via tecnocratica.

In questa ottica il Next generation e il Repower Eu possono essere considerati un successo per gli europeisti, ma al tempo stesso non c’è per ora abbastanza fiducia reciproca per passi in avanti come la creazione di un Tesoro europeo, l’emissione di eurobond o un rafforzamento del parlamento europeo nei processi di governance.

Sono compromessi che dimostrano come la vecchia contrapposizione cristallina tra europeisti ed euroscettici sia diventata molto più appannata e come l’Unione europea sia entrata in una fase di forze ibride e di integrazione selettiva. È il trionfo della prassi sulla teoria.

© Riproduzione riservata