È iniziata la lunga battaglia sulle pensioni: uno scontro che durerà settimane e che determinerà chi e quando potrà ritirarsi dal lavoro nei prossimi anni.

In campo ci sono i sindacati e le forze politiche che vorrebbero conservare “quota 100”, la riforma che ha consentito a quasi 300mila persone di andare in pensione anticipata rispetto alle regole della legge Fornero.

Dall’altro, ci sono i tecnici del governo e una pattuglia di forze politiche che vorrebbero cancellare il più in fretta possibile la riforma votata nel 2018 da Lega e Movimento 5 stelle e tornare il prima possibile alla Fornero.

In mezzo, c’è il presidente del Consiglio Mario Draghi, consapevole di come le riforme pensionistiche siano state spesso la tomba del consenso per i suoi predecessori. Il suo compito sarà trovare una mediazione che difficilmente potrà accontentare tutti.

Quota 100, 102 e 104

Lo scontro ruota intorno alla famosa quota 100, la riforma sperimentale che scadrà a fine anno, e alle possibili “quote” con quale sostituirla temporaneamente in attesa di tornare alla legge Fornero: quota 102 e 104.

Sostanzialmente, queste “quote” sono un canale aggiuntivo per raggiungere la pensione in modo anticipato. Si basano sul conteggio degli anni di lavoro unito al raggiungimento di un’età minima. Quota 100 permette di andare in pensione a chi ha versato 38 anni di contributi una volta che ha raggiunto almeno i 62 anni di età, invece dei 67 prescritti dalla Fornero. 

Quota 100 si esaurirà a fine anno e se non ci saranno interventi aggiuntivi il ritorno al vecchio meccanismo sarà automatico. Significherà che, potenzialmente, chi ha compiuto 62 anni entro il 31 dicembre 2021 potrà andare subito in pensione, mentre, a parità di altre condizioni, chi li compirà successivamente dovrà aspettare ben cinque anni prima di poter fare altrettanto. Questi fenomeni nel gergo pensionistico si chiamano “scaloni” e solitamente le forze politiche preferiscono evitarli, per evidenti ragioni di inequità.

Proseguire però in modo indefinito con quota 100 significherebbe svuotare una parte significativa della riforma Fornero (che di fatto ha già perso molti pezzi negli ultimi dieci anni), con un conseguente aumento cospicuo dei costi per le casse pubbliche, soprattutto nel prossimo futuro (il costo di quota 100 è pari a circa 30 miliardi di euro fino al 2028, secondo le stime dell’Osservatorio conti pubblici dell’Università cattolica).

Per questa ragione sono state proposte diverse soluzioni per ammorbidire il passaggio. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, questa settimana ha illustrato al governo l’ipotesi di passare a quota 102 nel 2022 (va in pensione chi ha 64 anni e 38 di contributi, con un scalone ridotto quindi da 5 a 2 anni) e poi quota 104 nel 2023 (va in pensione chi ha 66 anni e 38 di contributi). 

I “quotisti”

Toccare le pensioni in un paese anziano è sempre una questione molto delicata. In Italia ci sono circa 4 milioni di persone tra i 60 e i 64 anni di età e altri 4,5 milioni tra i 55 e i 59. Solo una parte di questa platea sarà effettivamente coinvolta dalle eventuali manovre, ma si tratta comunque di un blocco elettorale molto cospicuo.

La Lega è da tempo la forza politica che si è esposta maggiormente nella difesa dei “pensionandi”, i lavoratori over 55 vicini all’età pensionabile (nel 2011, l’opposizione della Lega alla riforma delle pensioni chiesa dalle autorità europee è stata una delle ragioni che hanno portato alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi).

Anche questa volta, la Lega non ha fatto eccezione e si è schierata compatta contro le ipotesi di modifica. «Nessuna decisione su quota 100 è stata presa, così come chiesto dai ministri della Lega – ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, considerato vicinissimo a Draghi – Nei prossimi giorni si decideranno modalità e tempi delle modifiche del sistema pensionistico. Escludo qualsiasi ritorno alla legge Fornero». Quando si parla di pensioni, insomma, governisti e movimentisti all’interno della Lega sono compatti.

La Lega non è da sola in questa battaglia. Il Pd, e in particolare la sinistra del partito, ha posizioni non troppo distanti anche se non così radicali. «Mi pare ci sia un principio affermato che condivido: attenuare l’impatto di quota 100 affinché non si arrivi alla Fornero», ha detto il ministro del Lavoro Andrea Orlando, mentre secondo il responsabile economico del partito, Antonio Misiani: «Nessuno vuole tornare alla legge Fornero».

Per non volendo tornare immediatamente alla Fornero, il Pd concentra le sue critiche sulla necessità di riformare quota 100, una riforma che favorisce chi ha avuto carriere lavorative lunghe e continuative, che hanno consentito loro di raggiungere l’obiettivo di 38 anni contributivi. Si tratta soprattutto di lavoratori maschi, che hanno lavorato in grande aziende e che quindi sono spesso del nord. «Una cosa è percorrere la strada di quota 100 con le iniquità che ha generato – ha scritto su Domani  Gianni Cuperlo – Altro è distinguere quelle categorie di lavori gravosi e pesanti per i quali è doveroso prevedere tempi e finestre di uscita compatibili col diritto alla salute di quelle persone».

I sindacati sono una delle forze potenzialmente più rilevanti in questa battaglia e sono schierati nettamente contro il ritorno alla Fornero. Cgil, Cisl e Uil hanno milioni di iscritti pensionati o in procinto di avvicinarsi all’età della pensione. Sabato scorso, in occasione della manifestazione antifascista in piazza San Giovanni, i sindacati hanno fatto una prova di forza, portando in piazza oltre 50mila persone, in buona parte iscritti alle federazione dei pensionati, e lanciando messaggi chiari dal palco. Per Maurizio Landini, segretario della Cgil, le proposte di riforma avanzate fino ad ora «Sono una presa in giro». I leader sindacali hanno promesso che non appena il dibattito inizierà sul serio i sindacati sono pronti ad avanzare la loro proposta di riforma.

I “forneriani”

Viste le poste elettorali in gioco e l’orientamento dell’opinione pubblica, non stupisce che il fronte di chi chiede un più rapido ritorno alla Fornero sia molto ridotto. Tra le forze di maggioranza, spicca Italia Viva, che chiede la cancellazione di Quota 100 pura e semplice, anche se il partito di Matteo Renzi ha già fatto sapere che non farà «barricate» sulle ipotesi di riforma. Accanto a loro si schiera la Confindustria di Carlo Bonomi, che ha definito quota 100 «un furto».

L’ingrato compito di prestare il proprio volto a una difficile soluzione è stato assunto dai tecnici, come il ministro dell’Economia Daniele Franco, a cui Draghi ha affidato lo scomodo ruolo di presentare la riforma nel corso di uno degli ultimi Consigli dei ministri.

Lo stesso Draghi, per il momento ha preferito non esporsi troppo. Quando a fine settembre gli era stato chiesto di quota 100, aveva risposto semplicemente: «È prematuro parlarne». È evidente che la proposta di Franco, ministro scelto dallo stesso Draghi, rappresenta la prima ipotesi di compromesso avanzata dal presidente del Consiglio. Ma Draghi non ha ancora dato segnali che sarà questa la linea del Piave su cui intende combattere la battaglia.

I prossimi passaggi

Siamo probabilmente soltanto alle prime fasi dello scontro. Il piano di quota 102 e 104 è stato illustrato nel corso di una riunione di maggioranza e del consiglio dei ministri che ha approvato il documento programmatico di bilancio. Serviranno altre riunioni per presentare proposte più strutturate. Visto che la materia è complicata, le varie forze presenteranno ulteriori ipotesi di riforma nei prossimi giorni. 

Pd e sindacati, probabilmente procederanno in maniera più o meno compatta, offrendo una soluzione di compromesso che pur superando quota 100 e le sue storture, offra diversi canali di pensione anticipata o altri ammortizzatori alle categorie più fragili, come donne e per chi ha svolto lavori usuranti.

La Lega dovrà decidere quanto porsi come antagonista del governo in questo scontro. Se, cioè, fare le barricate anche per cercare di ottenere spazio mediatico e recuperare la visibilità persa negli ultimi mesi, oppure se accettare un qualche compromesso più o meno annacquato.

Draghi, infine, cercherà di capire quanta resistenza partiti e sindacati sono davvero disposti a fare alla sua prima ipotesi di compromesso. La sua apertura, quota 102 e quota 104, è relativamente generosa, soprattutto rispetto a quanto chiedono forze come Italia Viva o Confindustria. Se a questa base dovessero venire aggiunte ulteriori misure a favore delle categorie fragili, Draghi potrebbe ottenere il sostegno anche di Pd e sindacati.

Se questi ultimi, invece, dovranno irrigidirsi, la posizione di Draghi si farà più complicata. Il presidente del Consiglio dovrà decidere se andare allo scontro con una parte cospicua della sua maggioranza, oppure sconfessare almeno parzialmente i suoi tecnici e presentare una proposta ancora più generosa.

Tutto questo probabilmente confluirà nella legge di stabilità, la manovra economica che andrà approvata prima della fine dell’anno. 

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