«Siamo centomila qui a Pontida. Salutiamo Enrico Letta, lo aspettiamo qui se vuole per offrirgli un panino con la salamella». Esordisce così Matteo Salvini dal palco montato sul prato di Pontida, il luogo sacro dei leghisti del nord. Sui numeri forniti dal partito però non c’è conferma da parte di chi gestisce l’ordine pubblico nell’area del raduno.

Chiediamo a un poliziotto, che chiama il responsabile: «Ci risultano 15mila persone, con una punta massima di 20mila». La differenza è notevole, la propaganda del resto fa il suo mestiere e la spara grossissima. Quando Matteo prende la parola l’orologio segna l’una e un quarto, tre fumogeni colorano l’aria di bianco, rosso e verde. Il tricolore, si mescola alle bandiere dell’autonomia, del leone di San Marco, simbolo dell’indipendentismo veneto. 

Non c’è il pienone

Gadget a Pontida (Foto Claudio Furlan/LaPresse 18-09-2022)
Gadget a Pontida (Foto Claudio Furlan/LaPresse 18-09-2022)

Dunque, il prato di Pontida non è pieno come ai tempi d’oro. Non lo è come nel 2019 e neppure come ai tempi di Umberto Bossi, il fondatore della Lega Nord. Le bandiere della nuova Lega Salvini premier, il nuovo partito creato da Salvini, si mescolano a quelle della vecchia Lega con i suoi simboli dell’autonomia, dell’indipendentismo, del “Prima il Nord”. Passato e presente. Incarnato, per esempio, da un signore sulla sessantina fermo all’entrata del tendone bar. Indossa una camicia verde della “Guardia Padana”.

Nostalgia degli slogan e della linea marcata sulla questione settentrionale? «Certo, un po’ manca quella spinta autonomista, ma noi siamo abituati a stare con i leader, siamo una comunità, Matteo ha deciso la svolta nazionale e va bene, purché assicuri al nord un federalismo serio», dice. Chi vedrebbe come leader alternativo a Salvini? Nessun tentennamento: «Sono piemontese, ma un veneto come Luca Zaia sarebbe perfetto per la nostra storia», aggiunge. 

Salvini 

«Per me è una giornata di festa, non di comizio. Chi non ricorda le radici non ha futuro. Grazie e onore a Umberto Bossi, siamo qua grazie a te e andremo molto lontano seguendo il tuo esempio. Siete una marea». Dopo le lodi al suoi fan, inizia l’affondo. È la più classica delle narrazioni salviniane: lavoro, legge Fornero, fisco, bollette. Il discorso è interrotto da un bambino che si prende la scena correndo sul palco, Salvini non si lascia sfuggire l’occasione: «Edoardo dove vai? Vieni qua». 

Poi è il momento della campagna elettorale e del vittimismo: «Ci accusano di aver preso finanziamenti esteri. Non abbiamo mai preso soldi da nessuno, nessun soldo dalla Russia». Salvini urla il suo appoggio a Donald Trump, e definisce «comunisti a stelle e strisce» i democratici e il presidente Biden. 

Salvini sorprende, invece, sul tema dell’aborto. «Va tutelata la vita, ma la donna ha sempre l’ultima parola». Un’apertura senza precedenti, visione decisamente più morbida rispetto a Giorgia Meloni, sua concorrente di coalizione. 

Applausi per il Doge

Prima del segretario sfilano sul palco i presidenti di regione e i parlamentari più fedeli a Matteo. L’ovazione è totale per Luca Zaia, il governatore del Veneto, regione in cui il conflitto interno al partito è più acuto, frattura  tra chi sostiene un ritorno al partito del nord e chi condivide la svolta nazionalista della nuova Lega. Zaia impiega pochi secondi per lanciare il suo messaggio politico, molto chiaro. E parla con il carisma che, secondo molti presenti sul pratone, lo rende il più adatto a diventare prossimo leader della Lega a trazione settentrionale.

Il presidente “Doge” del Veneto sale con una schiera di collaboratori e assessori munti di una bandiera gigante con il simbolo del leone di San Marco della Serenissima, simbolo dell’indipendenza e dell’autonomia. Il discorso di Zaia è tutto sull’autonomia, sulla necessità di ottenerla il primo possibile, «Prima il Veneto», dice il presidente. La folla nostalgica di Bossi lo acclama. 

Il 25 si vedrà

L'intervista di Giovanni Tizian inviato a Pontida

Il popolo di Pontida che anima il pratone, di proprietà della Lega Nord, acquistato molti anni fa per volere di Bossi, parla e discute del futuro del movimento, che a una settimana dal voto del 25 settembre è a un bivio.

Al contrario, di questo possibile cambio di leader, ne parlano mal volentieri i dirigenti, deputati, senatori. «Non mi fido dei sondaggi», dice a Domani Roberto Calderoli, «da Pontida ripartiremo forte con autonomismo e federalismo». Sulle previsioni non eccellenti dei sondaggisti, Calderoli replica: «Il 26 ci rivediamo e ne riparleremo, nel 2108 ci davano al 10 e siamo arrivati al 18 per cento». Il vicepresidente del senato non vuole sentire parlare del suo ex amico e compagno di partito, Roberto Castelli. L’ex ministro leghista nei governi Berlusconi ha detto in un’intervista a Domani che se la Lega non supera il 10-11 per cento è legittimo mettere in discussione la leadership di Salvini

«Chi l’ha detto? Quello che sostiene Gianluigi Paragone? Ma mi faccia il piacere...se Castelli pensa di andare in un altro partito e dettare le regole in casa nostra». In questa discussione a distanza c’è tutta la differenza tra vecchia e nuova Lega. 

Prima di salire sul palco Massimiliano Fedriga, il presidente del Friuli, ammette che la Lega non è immune alle discussioni tra chi la pensa diversamente, «ma poi facciamo la sintesi, siamo una comunità». Pure Fedriga fa come Zaia. Dal palco parla solo del valore dell’autonomia. La spaccatura è netta.

I governatori del Nord, con anche Attilio Fontana guida della regione Lombardia, sono monotematici dal palco. Salvini non ne ha praticamente parlato. Solo un accenno. Poi nulla più. Su questo si consumerà lo strappo dopo il 25 settembre se la Lega dovesse prendere meno dell’11 per cento. 


 

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