Negli Stati Uniti lo sport universitario è molto amato. Per questo il giro di denaro, tra accordi con le tv e sponsorizzazioni, è da capogiro. Da allenatori pagati decine di milioni di dollari a giocatori che, pur essendo studenti, vengono trattati da professionisti e cambiano più volte casacca, la scelta dell’università non è più legata alla qualità dei corsi, ma alla consistenza degli accordi economici. Con buona pace del valore educativo che lo sport dovrebbe avere a questi livelli
Lo scorso 2 novembre Hugh Freeze, capo allenatore della squadra universitaria di football di Auburn, è stato licenziato. L’Ateneo dovrà versargli una buonuscita di 15.8 milioni di dollari, figlia del contratto da 49 milioni di dollari firmato da Freeze nel 2022.
Quanto successo ad Auburn fa il paio con quanto accaduto poco prima a Baton Rouge, Louisiana, sede della Louisiana State University. Anche LSU ha esonerato il suo allenatore Brian Kelly il quale, dopo aver rifiutato le proposte avanzate dalla scuola, ha dato mandato ai suoi legali di richiedere l’intero pagamento dei 54 milioni di dollari che gli spettano in base all’accordo che lo legava alla scuola fino al 2031.
Le vicende riguardanti Freeze e Kelly sono solo le ultime di una stagione 2025 che ha visto una valanga di licenziamenti colpire tanti allenatori di football americano in diverse università del Paese. Tutti costosissimi. Basti pensare come l’esonero di Kelly abbia portato alla cifra record di 167.7 milioni di dollari il totale dei buyout (cioè della clausola finanziaria di compensazione prevista per un licenziamento) pagati dalle università ai loro ex head coach.
Il giro d’affari
Tutto ciò evidenzia molto bene come il college football, cioè il football giocato alle università, sia ormai ben lungi dall’essere una semplice attività sportiva portata avanti da studenti-atleti (com’era alle origini) e di come invece sia diventato da tempo un vero business.
Che lo sport universitario rappresenti un giro d’affari non indifferente negli Stati Uniti non è una novità. Per rendersene conto è sufficiente guardare la capienza degli stadi delle maggiori università del paese: Michigan gioca al Michigan Stadium, 107.601 posti; Beaver Stadium di Penn State può ospitare 106.572 persone; Ohio State 102.780; il Kyle Field di Texas A&M 102.733, solo per citarne alcuni. Questi stadi sono sempre pieni.
Agli americani piace lo sport universitario, soprattutto il football. Per questo il canale sportivo ESPN, di proprietà della Disney, non ha esitato l’anno scorso a firmare un contratto di esclusiva da 7.8 miliardi di dollari per la trasmissione dei playoff fino alla stagione 2031-32. Tale accordo riguarda la fase finale della stagione, quella che assegna il titolo di campione nazionale. Ci sono poi tutti i contratti firmati per il complesso sistema dei Bowl (finali) che chiudono la stagione regolare e che si disputano in varie parti degli Stati Uniti.
La fine dello spirito dilettantistico
Da tutto questo giro d’affari un tempo erano esclusi i giocatori, cioè i protagonisti che scendono in campo ogni settimana. Fino al 2021 infatti la NCAA (l’ente che regolamenta lo sport universitario americano) vietava qualsiasi forma di pagamento agli studenti-atleti per le loro prestazioni sportive. Un modello amatoriale dunque, che serviva, almeno in apparenza, a salvare quello “spirito dilettantistico” che doveva in qualche modo salvaguardare la purezza del gioco, nella convinzione che lo sport universitario avesse esclusivamente valore educativo.
Così, mentre i vari programmi universitari (e gli allenatori) guadagnavano milioni di dollari da diritti tv, vendita di biglietti e merchandising, gli atleti non ricevevano nulla per i loro sforzi sul terreno di gioco. A partire dal 2021 le cose sono cambiate. Dopo svariate pressioni, anche a livello politico, la NCAA ha infatti accettato di introdurre il sistema NIL (Name, image & likeness) che consente agli atleti di poter guadagnare tramite attività quali sponsorizzazioni, merchandising personale, uso dei social e apparizioni pubbliche retribuite.
A partire da quest’anno inoltre la NCCA ha concesso ai giocatori di poter negoziare con l’università l’accordo che riguarda il NIL prima di iscriversi a detta università (cosa che in precedenza era invece vietata). Tali decisioni hanno finito per cambiare drasticamente il sistema di reclutamento degli atleti da parte dei college. Già in precedenza molti studenti sceglievano l’università dove andare non sulla base dei programmi accademici, ma per la possibilità di essere poi scelti nel draft NFL.
Di conseguenza i giocatori di punta possono assicurarsi un futuro certo anche in caso di fallimento fra i professionisti. Arch Manning, per fare un esempio, quarterback di Texas, ha formato con la Red Bull un accordo di sponsorizzazione da 6.6 milioni di dollari. Ma non è solo questo. Il fatto è che il sistema NIL ha contribuito a creare una sorta di football mercato, con atleti che passano da una università all’altra. E questo in cerca di accordi economici più vantaggiosi, non certo perché i nuovi college abbiano programmi migliori in storia dell’arte o medicina.
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